Più
volte ho cercato in varie biblioteche qualche documento che mi parlasse
della storia di Carpenedo, ma invano. Poco tempo fa il caso volle che
entrassi nella chiesetta del cimitero di Mestre dove su un piccolo tavolo
faceva bella mostra un volume dal titolo Pagine di Storia di Carpenedo
edito dalla Carpinetum, edizione curata da: Don Armando Trevisiol, Firmo
Arcangeli, Gianni Finco, Cesare Rallo, Tino Schiavon.
Misi nel cassetto del tavolo lofferta richiesta e lo portai a
casa e dopo averlo letto ho pensato di trascrivere in questo articolo
la parte che riguarda la storia di Carpenedo, sperando di fare cosa
gradita sia agli autori sia agli amanti della storia di Mestre e della
sua periferia.
Prefazione
Carpenedo non ha alle spalle il passato di Venezia, né quello
di Roma e tantomeno quello di Atene. Carpenedo è stato fino a
pochi anni fa un piccolo agglomerato di case della periferia di Mestre,
città cresciuta in fretta dopo lultima guerra e nel passato
fu un minuscolo borgo di campagna che, pur essendo pieve fin dallanno
mille, crebbe poco e rimase ai margini della storia pur trovandosi ad
un passo dalla Serenissima.
Il sogno di stampare un volume per esporre in maniera organica e secondo
i criteri della moderna storiografia, è rimasto finora un sogno
e tutto fa pensare che lo rimarrà per sempre, non tanto perché
non si sia trovato uno scrittore capace di questa impresa, ma semplicemente
perché manca la materia prima: fatti storici di una certa rilevanza,
personaggi, opere ed edifici.
Cè stato nel 1848 un prete, Giovanni Antonio Gallicciolli,
che ha raccolto dati che ora risultano preziosi e che ha pubblicato
in uno zibaldone intitolato Cenni storici antichi e moderni, sacri e
profani sopra la villa e la parrocchia di Carpenedo.
Il volume è rimasto impubblicato fino ad alcuni anni fa, poi
per merito del Centro di studi storici di Mestre, nel 1984, a cura di
Tiziano Zanato, è uscita finalmente unedizione critica,
ora esaurita.
Nel 1990 la parrocchia di Carpenedo ha pubblicato, attraverso il Circolo
culturale La Rotonda, un quaderno che raccoglie una serie di articoli
apparsi sul mensile Carpinetum, col titolo Pagine di Storia di Carpenedo,
volume pure esaurito.
Nel 1997, sempre avendo come base queste ricerche della stessa rivista,
è uscito un volume più corposo di 295 pagine, opera in
cui si è tentato di sistemare in maniera più organica
i risultati di queste ricerche e delle relative modeste scoperte. Limpresa
era probabilmente superiore alle forze di chi si è cimentato
in questo progetto.
Il risultato di questa operazione non fu molto brillante perché
savverte più che mai la natura di un collage un po
approssimativo e non legato al respiro della storia.
Il bilancio di questo sforzo fu certamente positivo, tanto che tutte
le mille copie si sono esaurite in pochissimi mesi ed il volume è
oggi introvabile.
Comunque questa impresa ha certamente il merito di aver messo in archivio
una serie notevole di notizie per cui, se un domani qualcuno vorrà
mettere mano ad unopera più completa ed organica, ha dove
attingere.
Ora sono qui a presentare il quarto sforzo di portare a conoscenza della
comunità aspetti che molti non conoscono e che altrimenti rischierebbero
di andar perduti.
Nel quaderno che pubblichiamo non cè nessun intento di
presentare in maniera scientifica le piccole tessere che siamo andati
scoprendo un po ovunque, le abbiamo solamente ripulite per renderle
più leggibili e poi le abbiamo sistemate in vetrina senza la
pretesa di offrirle in ordine di tempo o di argomento, sono così
come le abbiamo trovate scavando nelle carte vecchie del passato.
La nostra è più che altro unoperazione di archiviazione
e di custodia.
Al materiale in nostro possesso non abbiamo aggiunto nulla, anzi pubblichiamo
il tutto con le brevi presentazioni con cui le abbiamo offerte di mese
in mese ai lettori della rivista Carpinetum, in maniera tale che i lettori
colgano queste notizie pur con le frettolose cornici con le quali sono
venute alla luce, perché così hanno almeno il pregio dessere
originali.
Mi pare daver detto tutto; mi auguro infine che il quaderno ottenga
il risultato dei precedenti perché non cè molto
sul passato della nostra comunità, ma quello che esiste ancora
labbiamo tutto noi ed è gelosamente custodito non solamente
nellarchivio parrocchiale, ma son certo che verrà collocato
in posto degno anche in ogni famiglia.
Don Armando Trevisiol
Carpenedo: origini
Verso il 400 D,C. alcuni poveri pastori, venuti da varie località,
trovarono buona opportunità di sistemarsi nella zona dove ora
sorge Carpenedo in via definitiva. Il fitto bosco di carpini, che costeggiava
tutta la via Altinate fino a Dese, forniva materiale abbondante per
trafficare e luoghi propizi alla pastorizia ed alla caccia. La vicinanza,
poi, dei grandi centri di allora: Eraclea, Jesolo, Altino, Caorle, Aquileia,
centri fiorenti di industrie e commerci, ricchi di templi, scuole, ville
eleganti, faceva di questa pianura un centro fertilissimo di vita.
Altino, bella ed elegante città, ben popolata, ricca di palazzi
e ville ed anche Sede Vescovile, costituiva un importante centro di
attività per tutti i paesi che le sorgevano vicino ed in particolare
per Carpenedo.
Questa è lumile origine del nostro paese il quale lentamente
si formò in una piccola comunità che prese il nome di
Carpineto dal fitto bosco di carpini, con poche capanne e casolari eretti
con canne impastate di creta e coperte di paglia, con una Cappella ove
ascoltare la S.Messa e dove i figli dei villici potessero essere istruiti
nella religione.
Per il piccolo centro di Carpenedo non si presentarono, già fin
dallinizio, periodi di facile vita e tranquillità: infatti
Attila, re degli Unni, nel 452 discese in Italia mettendo a ferro e
fuoco Aquileia, Concordia, Altino, Mestre, distruggendo ville e castelli
e spargendo il terrore fra gli abitanti. Stragi che si rinnovarono negli
anni successivi e che portarono alla distruzione completa di Altino
il cui vescovo dovette trasferire la sua sede a Torcello.
Verso il 1000 Mestre, Carpenedo, Favaro, Campalto, sopravvissute alle
varie stragi dei barbari, vennero incorporate alla diocesi di Treviso,
ma anche allora, per le frequenti guerre sorte fra le Signorie e le
Repubbliche di Treviso e Padova, Carpenedo, sorta proprio alle porte
dei castello di Mestre, diventò facile occasione di rapine e
saccheggi, per cui la popolazione venne ridotta alla più squallida
miseria, vennero distrutte le sue povere case e gli abitanti dispersi.
Finalmente il 28 settembre 1337 Mestre, con tutti i paesi suffraganei,
passarono sotto la Signoria della Repubblica di Venezia e incominciò
così per Carpenedo un periodo di pace e prosperità.
In tale periodo di tranquillità gli abitanti di Carpenedo cominciarono
a ricostruire le loro umili case ed a sistemare le terre per lagricoltura
necessaria alla vita, dando aspetto sempre più uniforme alla
zona già assai promettente. Ma tale stato di benessere durò
soltanto per qualche centinaio di anni, perché, verso la fine
del 1400, gli Imperiali segnarono unora tragica per Carpenedo,
lasciando triste orma del loro passaggio per incendi, devastazioni e
rovine.
Terminata la guerra, Carpenedo in breve tempo divenne ricca ed amena:
i nobili veneziani vi costruirono delle ville lussuose dove, fra passatempi
di gaie brigate, si riposavano dalle cure degli affari di stato. I contadini
si dedicarono con alacrità al lavoro dei campi che davano messi
abbondanti e pascoli copiosi al numeroso gregge. Ma intanto, nel 1797,
cadeva la Repubblica di Venezia e si costituivano ovunque i Comuni:
anche Carpenedo ebbe il suo sindaco e la sua giurisdizione si estendeva
sulle parrocchie di Campalto, Favaro e Dese.
Con il sorgere del Regno Lombardo-Veneto, sotto il dominio austriaco,
Carpenedo divenne frazione di Mestre: la vita sotto lAustria si
fece misera e dura, fu impoverito il bestiame che divenne insufficiente
per i lavori agricoli; gravi erano gli affitti, scarso il lavoro, la
situazione quindi si faceva sempre più pesante e dura fino a
che gli avvenimenti dei 1848 riaccesero negli animi fondate speranze
di liberazione.
Da allora il paese seguì le sorti dellItalia, dalle guerre
dAfrica a quella di Libia, dalla guerra mondiale allultima
guerra. In quei periodi gran parte della popolazione andò profuga;
molti rimasero nelle case ed al lavoro, altri compirono il proprio dovere
difendendo la Patria ed immolando sui vari campi di battaglia la loro
giovane vita.
Il dopoguerra portò movimento e vita nuova: Carpenedo si estese
grandemente; caseggiati e strade si moltiplicarono cambiando così
la fisionomia del paese, divenuto ormai un grosso centro borghese, ove
con il lavoro e lamore della propria famiglia, ognuno contribuì
alla maggior prosperità del paese.
La storia
Carpenedo, oggi è un quartiere di Mestre, Carpenedo-Bissuola,
con i suoi abitanti, i suoi problemi, i suoi progetti per le strade,
il verde pubblico, le scuole, i servizi, come tutti gli altri quartieri
del Comune. Ma chi lo conosce e osserva con curiosità e con attenzione
la struttura e le costruzioni presenti lungo le strade, nota subito
ciò che lo differenzia sia da Mestre che dagli altri quartieri,
qualcosa che richiama gli aspetti tipici della sua storia.
Da qui nasce linteresse e lesigenza di molti abitanti e
di gruppi di studio di ricostruire lantica configurazione, per
poter recuperare le tradizioni e le caratteristiche culturali proprie
di questo centro abitato.
E ciò si rivela tanto più significativo nel caso di una
città come Mestre che, in seguito allo sviluppo industriale massiccio
ed improvviso degli ultimi 50 anni, è cresciuta e si è
allargata, rischiando di cancellare quasi del tutto la sua identità
storica.
Alla sua origine, Carpenedo si delinea alla periferia del centro fortificato,
qual era lantico castello di Mestre, nella zona dellentroterra
veneziano prospicente la laguna. La sua storia segue da vicino le vicende
che interessano tutto il territorio mestrino sottoposto, a partire dal
periodo longobardo, alla Marca Trevigiana. Da Treviso dipendono i quattro
castelli di: Mestre, Asolo, Castelfranco e Oderzo.
Larea territoriale è divisa in regole o comuni. A loro
volta le regole comprendono più frazioni o colmelli. Tale divisione
amministrativa, in origine, corrisponde a quella ecclesiastica: ogni
regola si identifica con la pieve o chiesa matrice da cui dipendono
altre chiese minori. Così si presenta il comune di Carpenedo,
verso il 1300, diviso in sette colmelli: Carpenedo, Campocastello o
Malpaga, Cavergnago, Bissuola, Barban con Ronchi e S.Nicolò.
Esso è abbastanza vasto ed è delimitato, a sud dal castello
di Mestre, a est da Favaro e Campalto, a ovest dal Terraglio, a nord
fino al confine con Marcon, si estende il bosco dei carpini da cui trae
origine il nome del paese.
Il Gallicciolli, sacerdote vissuto presso la chiesa di Carpenedo nella
prima metà del 1800, autore del manoscritto Cenni storici antichi
e moderni sacri e profani sopra la villa e la parrocchia di Carpenedo,
ricorda che questa località famosa da tempo per la salubrità
dellaria regalo del grande e folto bosco di Valdemare (zona forte
Carpenedo) in origine doveva esser letto di pantanose paludi e sede
di selvagge boscaglie, disabitata fino al primo grande migrare delle
popolazioni dai centri fortificati cittadini verso la campagna, in seguito
alle incursioni di Attila (452). Dopo di che, come Mestre, subisce le
incursioni e i saccheggi delle soldatesche di Ezzelino da Romano (1200
circa).
Nel 1337 Venezia conquista il castello di Mestre e vi insedia un podestà,
che però era sottoposto al podestà di Treviso, ciò
fino alla caduta della Repubblica Serenissima (1797). Solo nel 1807,
lintero territorio viene annesso al Dipartimento dellAdriatico,
sotto la provincia di Venezia. La chiesa invece continua a rimanere
sotto la diocesi di Treviso fino al 1927.
Per tutto il 1800 figurano comuni a sé stanti, Carpenedo, Favaro,
Zelarino, Campalto, fino alla definitiva annessione al comune di Venezia
avvenuta nel 1926.
La gente
Cerchiamo di capire, attingendo dalle fonti darchivio e dagli
scritti in nostro possesso, come vivevano un tempo gli abitanti di Carpenedo,
comerano le abitazioni, quali le attività prevalenti, per
avere unidea più vicina alla realtà e coglier le
trasformazioni susseguitesi fino ai giorni nostri.
Facciamo riferimento agli estimi trovati tra i manoscritti della Biblioteca
Marciana a Venezia, risalenti alla metà del 500, ad alcune
mappe del territorio conservate presso lArchivio di Stato di Venezia,
di epoca compresa tra il 600 e il 700, e infine allopera
già citata del Gallicciolli, che pur essendo una raccolta sparsa
di notizie, riesce a dare un quadro vivace e dettagliato del periodo
tra '700 e '800.
E bello leggere: Laria è pura, abbastanza salubre,
ad eccezione di Bissuola la quale dalle esalazioni delle circostanti
paludi è resa nebulosa e grave. E ancora: Il temperamento caratteristico
degli abitanti è bilioso flemmatico, che si manifesta dal colore
giallogno del volto, alla pelle arida ed appassita, agli occhi languidi,
al lento giro del sangue, alla tardità delle operazioni dello
spirito. Lindole pieghevole, dolce e mansueta. Sono probi, timorati,
inclinati a sovvenire le altrui necessità quantunque essi pure
sentano le strette dei bisogni. La gioventù specialmente si distingue
pel cuore tenero, sensibile, dolce ed arrendevole. Delitti qui non si
commettono e, se si eccettui qualche contraffazione nel vicino bosco
di Carpenedo (asportazione di legname), qualche cartuccia di zucchero
e caffè di contrabbando, essi non danno pensiero alcuno alle
pubbliche autorità.
Neanche riusciamo ad immaginarcelo ora, col nostro ritmo frenetico e
il nostro inquinamento! Carpenedo era un borgo di campagna e la popolazione
del luogo non era certamente ricca. Viveva prevalentemente di agricoltura,
di allevamento di bestiame e del commercio dei prodotti della campagna.
Al comune appartiene fin dal XIV° secolo un fondo di 300 campi,
pari allincirca a 150 ettari di terreno, in parte boschivo, in
parte arativo e prativo. Le terre, di proprietà della mensa vescovile
di Treviso, vengono concesse dal vescovo a beneficio degli abitanti
del comune, il 5 novembre 1360, con contratto a livello, che viene rinnovato
ogni ventinove anni, tramite pagamento di un canone stabilito.
Una iscrizione, datata 11 dicembre 1603, riporta latto di rinnovo
della investitura per opera del Vescovo di Treviso Luigi Molin e richiama
gli articoli fondamentali del contratto: gli abitanti godono per intero
lusufrutto delle terre, che però non possono essere né
vendute, né donate, né alienate.
La Repubblica di Venezia riconosce tale possesso in base al privilegio
ottenuto e come tale ritiene il fondo esente da tasse. La produzione
di legname pregiato costituisce per lungo tempo la più alta fonte
di rendita per la comunità degli abitanti.
Inoltre rappresenta una valida risorsa di materie prime, largamente
impiegata nella costruzione delle case e nello stesso restauro della
chiesa e del campanile. Numerose altre terre della zona poi, figurano
appartenenti ad enti ecclesiastici e congregazioni religiose. Nei primi
anni del 400 i monasteri di S.Giorgio in Alga e di S.Cipriano
di Murano, risultano proprietari di terre in Carpenedo.
Alla metà del 500 nellestimo dei beni del clero,
si aggiungono i principali enti religiosi di Venezia. Sui fondi coltivati
sorgono le costruzioni per labitazione dei coloni e per le necessità
inerenti ai lavori agricoli. Ve ne sono di diversi tipi, ma in genere
si tratta di casoni costruiti in legno e coperti di paglia.
Accanto a questi compare qualche casa in muratura coperta di tegole,
con il pozzo e il forno. Le vaste proprietà ecclesiastiche sono
affidate in piccole porzioni a famiglie locali che coltivano la terra
e corrispondono annualmente laffitto in natura, con frumento,
vino ed altri prodotti.
Il patriziato veneto a Carpenedo
Confinanti con le terre succitate, negli estimi del 500 compaiono
le proprietà di prestigio dei nobili veneziani. I loro nomi spiccano
fra gli altri, contrassegnati dallappellativo che designa lappartenenza
alla classe patrizia. Citiamo Francesco Pesaro, Alvise Michiel, Francesco
Morosini, Alvise Badoer. Essi fanno costruire le case di villeggiatura
nella campagna dove possono risiedere gran parte dellanno e gestire
direttamente le loro proprietà. A fianco delle semplici costruzioni
coloniche, compaiono infatti le prime ville, poste in rilievo per la
loro particolare architettura.
Le strade e le case
Il processo di trasformazione che si manifesta a cavallo del XVII secolo
può essere meglio evidenziato, per quanto riguarda il nostro
territorio, dallesame di alcune carte topografiche del periodo,
custodite presso lArchivio di Stato di Venezia.
Poniamo a confronto tra loro due rilievi della zona che si riferiscono
a due momenti diversi, cioè allinizio e alla fine del 600
e cogliamo immediatamente il cambiamento verificatosi nellintervallo
di tempo.
Nella prima, datata 1603, è rappresentata la zona compresa tra
Mestre e Tessera: si distingue chiaramente la cinta di mura che delinea
Mestre e verso sud figura lantica Marghera. I centri minori si
notano appena, segnati dalla presenza della chiesa e da poche case raggruppate
nelle vicinanze. Carpenedo appare a nord, lungo la strada che dal Terraglio
si dirige ad est verso Tessera e Campalto.
Due vie parallele lo collegano a Mestre e corrispondono attualmente
a via S.Maria dei Battuti e via Ca Rossa. Nella seconda carta
appare lo stesso territorio compreso tra Mestre, Carpenedo, Bissuola
e Favaro, rilevato però alla fine del '600 (1694): è più
dettagliato e risulta di più facile lettura anche per il miglior
stato di conservazione. Dallesame del disegno possiamo verificare
la nuova configurazione del territorio, in uno dei momenti determinanti
del suo sviluppo. Infatti, proprio in questo periodo, il centro prevalentemente
rurale, si trasforma in zona privilegiata di residenza patrizia.
Lungo il percorso delle due strade parallele da Carpenedo a Favaro,
appaiono disseminate numerose piccole costruzioni per lo più
molto semplici, ad un solo piano, edificate sui fondi coltivati da coloni
e fittavoli. In centro di Carpenedo, presso la chiesa, spiccano invece
alcuni palazzi di nuova costruzione, posti in evidenza per la loro particolare
architettura; la parte centrale di residenza si alza a due o tre piani
e nelle immediate vicinanze sorgono, a pian terreno, le costruzioni
riservate ai servizi.
Nello stesso ambito territoriale, vecchio e nuovo si compenetrano: accanto
alla villa, sono ancora evidenti gli aspetti tipici del mondo rurale.
La presenza della hostaria in posizione centrale, a fianco della chiesa,
in un edificio in muratura, ne è un esempio significativo.
Le costruzioni rurali sparse nelle vicinanze sono ancora numerose e
persistono anche in seguito. In un disegno del 700, che rileva
i beni appartenenti al Monastero di S.Nicolò del Lido, si notano
i caratteristici casoni in legno coperti di paglia. Ancora nell800
molte case coloniche si trovano costruite completamente o in parte in
legno oppure in muratura e spesso sono coperte di paglia.
Economia
La principale fonte di guadagno degli abitanti di Carpenedo era lagricoltura
ed i prodotti preminenti erano: granoturco e vino. Di essi si faceva
commercio. Per uso familiare venivano coltivati: fagioli, miglio, avena,
grano, canapa, ortaggi. La poca quantità di pere, pesche e ciliege,
anche se di bellaspetto, non era molto saporita. Facevano eccezione
i meli che crescevano rigogliosi e davano un ottimo prodotto.
Era pure coltivato il mais cinquantino, quello seminato dopo la raccolta
del frumento che, però, cresceva stentatamente ed era il cibo
della povera gente. Le donne, nei ritagli di tempo, allevavano galline,
colombi, tortore che poi portavano a vendere al mercato di Mestre per
poter disporre di un po di denaro spicciolo. Ai padroni erano
riservati i capponi, le oche, le anatre e i tacchini. Dalle mucche si
otteneva il latte che era venduto a Venezia.
Crescevano spontaneamente molte piante medicinali, adoperate per curare
le più svariate malattie. Comunissime erano: sambuco, timo, ruta,
melissa, basilico, erba luigia, altea, ninfea, menta, finocchio, tiglio.
La caccia era poco praticata, in compenso vi era abbondanza di pesce.
Se diamo unocchiata a comera divisa la popolazione, vediamo
che cerano: agricoltori, artigiani, castaldi.
Di costoro, chi stava meglio di tutti erano i castaldi. Gli artigiani
che comprendevano falegnami, fabbri, carradori, calzolai, tessitori,
non pativano la fame, ma non potevano mettere da parte qualche soldo
in caso di necessità. I contadini, come sappiamo, erano divisi
in massariotti e pisnenti.
I massariotti avevano il necessario per vivere, mentre i pisnenti, per
poter sopravvivere, in estate andavano a prestare la loro opera (andar
a opera, come si diceva) nelle terre degli altri, nelle altre stagioni
si arrangiavano con il commercio spicciolo: vendita di scartozzi per
i pajoni, di frutta e verdura, di fiori, di piuma doca, di gallina
o danatra per le coltri; vendevano molto bene i lucci, le tinche,
le anguille e i pesci persici. Durante linverno, quando la terra
non si può coltivare, riparavano gli attrezzi agricoli sostituendovi
le parti di legno rovinate, fabbricavano sedie rudimentali, sostituivano
le borchie alle suole degli zoccoli, oppure i denti ai rastrelli o i
manici ad attrezzi vari. Andavano a far siesa, a ripulire cioè
le siepi dai rovi che mettevano da parte per il pan e vin.
Anche le donne dovevano lavorare duramente; diverse si recavano a Mestre
o a Venezia a vendere latte, uova, polli, erbaggi, funghi, rane, foglie
di vite, legna secca. Il guadagno della famiglia era misero per cui,
se avessero avuto bisogno delle cure del medico, dovevano essere aiutate
e sorrette dai vicini.
Il cibo, in generale, era la polenta di cinquantino, erbe dei campi,
pane confezionato con farina di frumento non troppo setaccíata,
puina (ricotta) fatta in casa, qualche rara fetta di salame, latte,
pesce piccolo fritto nello strutto, che era il condimento principale,
ed era conservato nella vescica del maiale. Il tutto era anche spesso
poco salato perché il sale costava caro. Tipico nutrimento erano
le pojanelle, cioè piccoli pesci azzurri di importazione conservati
sotto sale; venivano lavati, infilzati a mo di collana, appesi
sotto il camino ad affumicare, cotti sulle braci e mangiati con la polenta
(tanta polenta e poco pesce).
Per bere usavano lacqua dei pozzi, che non era molto pura, e un
po di vino nelle occasioni solenni; altra bevanda era il vino
eterno. Ora qualche parola su questa bevanda che molti non hanno conosciuto
per il benessere, più o meno effettivo oggi esistente, ma che
era usata anche una cinquantina danni fa.
Il vino eterno, detto volgarmente Vin Terno, del vino aveva ben poco.
Dopo aver ottenuto il vino, le vinacce venivano rimesse nel tino e ricoperte
abbondantemente di acqua. Dopo qualche giorno si spillava il liquido
che, filtrando, assumeva un colore rosato ed un gusto di vino. Quando
il liquido stava per terminare, si aggiungeva dellaltra acqua
e così il vino eterno durava uneternità. Nei mesi
estivi, quando la calura si faceva sentire, ed il poco vino tenuto per
le esigenze familiari era esaurito, per calmare la sete dei lavoratori
dei campi si usava portar loro dei secchi contenenti acqua acidulata
con aceto. Altre bevande erano quasi sconosciute, o poco usate.
Il caffè era usato in casi veramente eccezionali; veniva offerto
al medico, alla levatrice, al parroco, qualche volta anche agli ammalati
anche perché lo zucchero, allora venduto in blocchi, era una
vera leccornia e non era alla portata di tutte le borse.
Malattie
Se si tiene in considerazione la poco salubrità della zona del
Colmello e le dure condizioni di vita cui erano sottoposti gli abitanti,
non sarà difficile arguire che la mortalità infantile
era molto elevata. A questi fattori è da aggiungere anche la
profonda ignoranza delle più elementari norme igieniche, dovute
principalmente al grande analfabetismo e alle pratiche di fattucchieri
vari. I bambini morivano principalmente per vermi, anche se si mettevano
loro al collo delle collane di aglio, e per febbri intestinali, non
meglio definite.
La scabbia e il tifo erano malattie comuni; facevano la loro apparizione
il colera, il vaiolo e le infiammazioni intestinali, il catarro e la
tubercolosi. E inutile dire che pidocchi, pulci, cimici e scarafaggi
la facevano da padroni. Era frequente il vaiolo, ma questo regredì
per la scoperta del vaccino; la vaccinazione era praticata due volte
allanno, in primavera e in autunno; la Casa degli Esposti mandava
alcuni bambini immuni dal medico condotto il quale estraeva da essi
il siero da iniettare a quelli da vaccinare. Le altre affezioni seguivano
il loro corso, come la malaria. La Repubblica aveva a cuore la salute
pubblica ed aveva degli incaricati a tale scopo.
Il medico condotto era pagato dal Comune, perciò le visite erano
gratuite, ma le medicine erano a completo carico dellammalato
che, come abbiamo visto, non sempre era in grado di sopperire alle spese
ed allora interveniva la carità pubblica. Dato il rilevante tasso
di umidità prodotto dagli acquitrini e dai numerosi fossati e
scoli, erano presenti anche i reumatismi e lartrite anche deformante.
Per sopperire alle spese dei medicinali venivano usati cataplasmi ottenuti
dalle erbe spontanee e, su foruncoli e ferite varie, venivano applicate
foglie di varia natura.
Cera pure la credenza che certi porri o verruche, potessero essere
eliminati solamente dicendo di avere questi piccoli malanni a certe
persone che, si credeva, erano in grado di farle sparire solamente per
il fatto di esserne a conoscenza. Le malattie del bestiame erano frequenti,
ma era credenza che le mucche dovessero per forza essere bolse, cioè
tubercolitiche. Qualche donna era specializzata a trattare i galletti
per ottenere i capponi.
Queste donne, che per ricompensa ricevevano quanto avevano tolto ai
galletti, senza tante cerimonie toglievano le penne posteriori alle
loro vittime poi, con le forbici, praticavano un taglio orizzontale
sotto la coda, introducevano un dito nella ferita, asportavano quanto
dovevano asportare e poi ricucivano con ago e filo. Fatto questo, tagliavano
cresta e barbigli disinfettando le ferite con la cenere di legna.
Nonostante la mancanza di qualsiasi norma igienica, era maggiore il
numero di capponi ottenuti che quello dei galletti morti.
Le parti asportate dai galletti venivano consumate a cena.