Racconti Brevi
Uno scrittore per amico.

di Valter Fontanella

Valter Fontanella è nato
a Mestre nel 1938, ha studiato all’Università
di Padova e si è laureato
in Lettere classiche.
Ha collaborato con gli Istituti di Latino di Padova
e di Venezia e ha al suo attivo recensioni e articoli specialistici di filologia classica, oltre a una voce dell’enciclopedia virgiliana (Virgo e Virgineus) e l’edizione in due volumi del De Die Natali di Censorino. Recentemente, in occasione dei nostri LUNED’ARTE,
ha presentato il romanzo FONDANDO VENEZIA TRA VELME E BARENE
e si è reso disponibile
a collaborare con la nostra rivista con dei brevi racconti inediti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È sabato mattina, papà e mamma non si sono alzati presto per andare al lavoro e la casa si è risvegliata con calma e un poco più tardi del solito. Luigi Ballarin, non appena ha aperto gli occhi, è saltato giù dal suo lettino ed è corso nella camera dei genitori. Qui, dopo aver fatto colazione nel lettone grande tra le braccia della mamma con un biberon bello pieno di latte, è rimasto per un poco al calduccio, a farsi coccolare, poi è ritornato nella sua cameretta.
Questo è un giorno importante per Luigi, lui però non lo sa, indossa ancora il pigiama e, seduto sul pavimento della sua bella e allegra cameretta, gioca con la pista e le piccole automobili che i nonni gli hanno regalato per il suo compleanno. Papà e mamma hanno da poco comperato la barca nuova e oggi, dopo molti giorni di tempo nuvoloso e instabile, di vento e pioggia, il sole, anche se ottobre è ormai quasi alla fine, ritorna un poco alla volta a splendere luminoso in un cielo fattosi rapidamente sereno.
Finalmente una giornata ideale, calma e tranquilla. Oggi è il giorno perfetto per provare la barca nuova dice papà tutto eccitato e allegro alla mamma, affacciandosi alla porta della cameretta in cui lei era entrata per vedere cosa combinava il suo piccolino, così silenzioso. Papà fa per andarsene, ma ci ripensa, entra anche lui nella cameretta, prende in braccio il suo ometto e gli dice sorridendo: Luigino, oggi facciamo un bel giretto in laguna con la barca nuova. Pensa, sarà il tuo primo giro in barca. Vedrai come sarà bello! Subito lo rimette a terra, gli scompiglia rapido i bei riccioli e se ne va di fretta.
Ecco, comincia a pensare Luigi, ecco, anche papà è come tutti gli altri, gli fa le coccole, come aveva fatto prima, quando erano insieme nel letto grande, qualche volta lo fa ridere e divertire, gioca e scherza con lui, qualche altra volta gli parla con serietà, eppure perfino lui, come la mamma e come gli altri, continua a chiamarlo Luigino e non Luigi, ma un bel giorno finirà questa storia del Luigino.
Prima lui era stato soltanto Luigino, con la scusa che era il più piccolo di tutta quanta la famiglia; poi era diventato Luigino dentini, anzi, per essere esatti, era diventato Luigino, ma che bei dentini, e lui allora subito sorrideva felice per mostrare con legittimo orgoglio i suoi dentini nuovi nuovi, di cui era tanto soddisfatto, perché richiamavano su di lui l’attenzione, i sorrisi e le carezze di tutti.
Poi ancora gli erano spuntati, in alto e proprio sopra i primi due, altri due dentini, che qualche volta facevano da soli un rumore nella bocca con gli altri due dentini, quelli che erano spuntati per primi, in basso. Da quel momento dentini era sparito e lui era diventato di nuovo e soltanto Luigino, e così continuava a essere chiamato da tutti, anche da papà e mamma.
Ma che cosa è la barcanuova? Si chiede per-plesso, subito dopo le sue risentite lamentele mentali sull’incomprensione di papà e mamma. Luigi vuole chiederlo a papà, abbandona subito la pista e le automobili dei nonni, si alza da terra e lo rincorre in corridoio per farlo, ma papà si sta già chiudendo la porta di casa alle spalle. Vado in garage per tirare fuori tutto. Tu intanto vesti Luigino, coprilo bene, mi raccomando, in barca potrà fare piuttosto freddo anche se c’è il sole. Quando sono pronto, suono e tu lo porti giù ha detto a voce alta papà alla mamma, uscendo dalla porta senza accorgersi che Luigi vuole parlargli.
Dopo pochi minuti il campanello suona, è papà che chiama, che avvisa la mamma di scendere con il piccolino. Vieni Luigino, non facciamo aspettare papà, che oggi ha una gran fretta. Sai quanto è impaziente qualche volta gli dice allora la mamma, che ha appena finito di vestirlo. Subito lei indossa un giaccone, prende in braccio il suo piccino e scende veloce le scale per portarlo presto giù in strada, dove l’automobile di papà li sta aspettando, facendo un poco di rumore. Luigi, buono buono, si lascia sistemare dalla mamma sul suo seggiolino personale con le cinture, poi la mamma si siede davanti, chiude la porta e papà, svelto, fa partire il tutù con un gran rumore.
Mentre l’automobile corre per le strade, Luigi segue con scarsa attenzione quello che dicono mamma e papà, tutti e due vivaci e allegri, distratto come è da tutto quello che corre di fianco all’automobile. Poco dopo papà ferma l’automobile. Luigi vede allora che sono giunti in un posto in cui c’è tanta acqua. Luigi conosce quell’acqua grande, perché è già stato al mare, ma questa gli sembra un poco diversa, un poco più piccola e senza onde.
Ecco la nostra barca nuova! esclama papà tutto allegro, vivace e soddisfatto, mentre scende svelto dall’automobile. Non è bella? chiede poi, e intanto indica con il dito qualcosa. Luigi non sa quale cosa indica papà, ma, curioso, guarda anche lui, e intanto la mamma lo ha liberato dalle cinture del seggiolino e lo ha preso in braccio per farlo scendere dal tutù.
È più bella ancora, vista così, in acqua, e come galleggia bene dice la mamma, che mette il suo piccolino per terra e subito lo prende per mano, e si avvia lentamente verso l’acqua, con Luigino che le trotterella al fianco con passo poco sicuro a causa del terreno sconnesso, mentre papà chiude le porte dell’automobile, tira fuori una grossa sacca dal portabagagli, chiude il portellone con un tonfo, e presto li supera a passi lunghi, veloci e impazienti.
Ora finalmente Luigi può vedere la barca nuova di papà e mamma, e vede che è una cosa bianca che sta in mezzo all’acqua.
Dopo che la mamma, un poco impacciata, lo ha fatto salire a bordo con qualche difficoltà e gli ha mostrato tutto, e lui ha guardato tutto con curiosità, Luigi pensa che la barca nuova è come la casa, molto più piccola però, e con una differenza molto grande, per entrare in casa si salgono le scale, per entrare in barca si scende. Però la barca è proprio come la casa, ha i letti, la cucina, le finestre, un posto piccolo piccolo in cui si fa la pipì e la pupù, ha detto la mamma sorridendo, e una piccola scaletta, su cui è bello e divertente arrampicarsi in su e in giù, fino a che papà non gli dice di smettere, perché quel gioco è pericoloso.
Luigi si accorge ben presto che la cosa più difficile, in barca, è stare in piedi da soli, perché il pavimento non sta mai fermo, va di qua e di là, in su e in giù. Dopo poco Luigi si è definitivamente convinto che la barca nuova di papà è come una casa più piccola, che però non sta mai ferma, e la mamma qui è preoccupata per il suo piccolino, che, più irrequieto del solito, non vuole stare seduto e ha cominciato a curiosare dappertutto, e molto spesso gli ha dato la mano per evitare che cada, quello che in quell’altra casa lei ormai non fa più.
Mentre sta cercando di vedere cosa c’è in fondo al lungo letto su cui a un certo momento la mamma lo ha costretto con dolcezza a sedersi, Luigi sente venire dall’alto la voce di papà. Ada – dice papà -, ho finito di mettere a posto e ho controllato tutto, ora metto in moto e faccio riscaldare un poco il motore. Tra due o tre minuti vieni fuori e mi aiuti a mollare gli ormeggi. Mi raccomando il piccolo, fagli capire bene che non deve muoversi dalla cuccetta mentre sei fuori.
Poco dopo che papà ha parlato, la mamma si alza dal lungo letto, raccomanda a Luigino, al suo piccolo ometto, di fare il bravo e di stare buono per un poco, di non muoversi dalla cuccetta, di stare seduto e, soprattutto, di non uscire fuori dalla cabina. La mamma gli lascia allora la mano e si affretta a uscire, e quasi subito la barca nuova fa più rumore e si agita, e Luigi si preoccupa non poco, ma la mamma rientra quasi subito e lo prende in braccio, per portarlo fuori della cabina, finalmente all’aria aperta, e lo fa sedere abbastanza vicino a papà.
Qui, accanto a papà, Luigi finalmente capisce a cosa serve la barca, è come l’automobile e serve per muoversi sull’acqua.
Luigi comincia a guardarsi intorno tutto curioso, anche perché la barca non corre forte come l’automobile, va piano, e lui ha modo di osservare cosa succede intorno. Sta guardando l’acqua che corre e i pali che corrono con l’acqua, quando, in mezzo all’acqua, di fianco alla barca e un poco lontano, qualcosa attira la sua attenzione, qualcosa che c’è e non c’è. Ora sì, c’è, e ora no, non c’è. Luigi si stropiccia gli occhi e crede di immaginare che ci sia qualcosa, perché non è ben sicuro di avere visto quello che subito dopo già non riesce più a vedere.
Non ne è ben sicuro, ma quelle cose stranissime, che ora ci sono e ora non ci sono, assomigliano proprio alle anatrine che la mamma mette nella vaschetta, perché lui ci giochi un poco, quando fa il bagnetto.
Luigi guarda e riguarda, e alla fine è sicuro: qua e là ci sono degli uccellini in mezzo all’acqua, che ora ci sono e dopo poco spariscono, per apparire di nuovo dopo un altro poco. Ora sì e ora no, ed è una faccenda molto strana e molto difficile da capire da soli, ma che fa diventare assai curiosi. Pensa allora di rivolgersi a papà, che però guarda in avanti tutto attento e non deve essersi accorto di quegli uccellini. Luigi allora alza il viso, guarda la mamma che gli siede accanto e le dice voio papà. Lei lo porta più vicino ancora al suo papà e lui subito gli tira la manica. Papà lo guarda, gli sorride e chiede: Cosa vuole il mio ometto? Luigi allora gli indica con il dito teso un punto sull’acqua.
Papà non capisce e gli chiede cosa c’è là, Luigi dice guada quelli là. Papà gira la testa per guardare, e anche Luigi guarda, ma è il momento no. Là non c’è proprio nulla, e Luigi si sente un poco deluso, ma aspetta con fiducia, sa che fra poco ci saranno ancora. Ed ecco che l’attesa finisce, all’improvviso ne ricompaiono due. Subito Luigi si rivolge di nuovo a papà, che questa volta è svelto a guardare, e finalmente li vede anche lui.
E allora papà, che, come tutti i papà, sa sempre tutto, gli spiega che quelli là in fondo sono degli uccellini che si chiamano folaghe e che vivono sempre nell’acqua. Quando non ci sono, le folaghe sono andate sotto acqua per trovare la pappa, quando hanno trovato la pappa, ci sono di nuovo per mangiarla. E poi, continua a spiegare papà, mentre indica con il dito, quell’uccello nero sopra la briccola e con le ali spalancate per prendere il sole si chiama cormorano, quegli altri invece, che volano alti in cielo, sono gabbiani…
Luigi però non segue più le spiegazioni di papà, a lui interessano solo quelle specie di anatrine che ora ci sono e ora non ci sono, e ora è felice, perché ora sa tutto di quegli uccellini che sono in acqua, e vorrebbe che papà fermasse la barca nuova per permettergli di giocare con loro sopra e sotto l’acqua, ma sente di essere ancora troppo piccolo per farlo. Sa però che si può fare, che si può andare sotto acqua. Quando sarà diventato solo un poco più grande, farà come ha visto fare a papà, come lui metterà gli occhiali e i grandi piedoni, quelli con cui papà lo ha lasciato giocare in spiaggia sotto l’ombrellone. Anche lui farà ora sì e ora no insieme con le folaghe e potrà giocare tutto il giorno con loro a rincorrersi, a nascondersi tra gli alberi che crescono sotto acqua, proprio come fa in parco con la mamma e la nonna. Quando finisce con le sue spiegazioni, papà gli getta un’occhiata, lo vede tutto pensieroso e gli chiede cosa pensa il suo adorato pulcino. Luigi prima sospira e poi risponde. Domani gioco in acqua con i bambini delle folaghe dice tutto serio e convinto. Papà sorride e lo guarda un poco interrogativo, ma non dice nulla e gli accarezza più volte i capelli.
Intanto la barca è andata avanti, ha lasciato indietro il posto tranquillo in cui sono le folaghe, ora corre in un luogo buffo, perché le case lì sono in acqua, ma è anche fastidioso quel posto, perché la barca si trova a correre in mezzo a tante altre barche, grandi e piccine, che smuovono tutta l’acqua e agitano anche la barca di papà, e lì quegli uccellini non ci sono proprio, e hanno ragione a non stare lì in mezzo a tutta quella gran confusione.
A un certo momento Luigi sente papà che dice alla mamma: Per oggi ci siamo fatti un bel giretto, ma adesso è meglio che torniamo indietro. Non mi piacciono quelle nuvole che vengono avanti. Mi sa che fra poco si mette a piovere e non abbiamo portato nulla per ripararci, nemmeno un ombrello. Con il piccino, poi, è meglio evitare una lavata. Ma chi pensava che il tempo cambiasse così in fretta anche in questa stagione? Con questo tempo non ci si capisce proprio più nulla. Ora viro e torniamo indietro. Subito dopo che papà ha parlato, Luigi vede tutto girare attorno alla barca e poi tutto va di nuovo diritto. Mentre stanno facendo ritorno al posto della barca, il cielo si è imbronciato ancora di più, prima si è ingrigito velocemente e si è parecchio rattristato, poi si è coperto di grosse nubi. Intanto non c’è più nulla di nuovo da vedere, Luigi pensa di aver visto tutto e si sta annoiando sempre di più dell’intera faccenda della barca nuova di papà e mamma, anche perché non si vedono più quegli uccellini buffi che ora sì, ci sono, ora no, non ci sono. Che fare? pensa sbadigliando, con gli occhi che vogliono chiudersi da soli. Un poco stanco, va a rifugiarsi tra le calde, morbide e protettive braccia della mamma, qui, al sicuro, coccolato dalla mamma, cullato dal moto della barca, stancato dal rombo del motore, chiude gli occhi e si addormenta, e sogna.
Sogna di mettersi a giocare con quegli uccellini che vivono sull’acqua, di giocare con loro come se fossero i pupazzi pelosi che sono nella sua cameretta, di prenderli con le mani e accarezzarli. Ma quegli uccellini sono piuttosto dispettosi, ora ci sono e ora non ci sono, e lui invece vorrebbe che ci fossero sempre.
Allora vorrebbe afferrarli con forza, tenerli ben fermi, ma non ci riesce e comincia ad arrabbiarsi. E allora vorrebbe stringerli forte con le manine, più forte ancora, fino a che non si muovono proprio più, come i pupazzi pelosi che sono nella sua cameretta, che non gli fanno mai i dispetti e che stanno sempre fermi immobili ad aspettare che lui decida di giocare con loro, piuttosto che con la pista e le automobiline.

 

L’acqua che attraverso i secoli i pozzi avevano offerto agli abitanti di Mestre non era mai stata né eccellente né sufficiente.
L’idea di costruire un acquedotto per attingere acqua potabile ed abbondante da luogo idoneo e convogliarla al centro abitato risale al 1896 ma l’opera non ebbe attuazione immediata e per l’esecuzione di un progetto si dovette attendere fino al 1912: in quell’anno, in occasione della ricorrenza del 27 ottobre, l’acquedotto fu inaugurato.
Attingendo da una falda in località Zero Branco con una tubazione della lunghezza di m. 15.912 l’acqua veniva convogliata fino al centro di Mestre e di qui immessa in una rete di distribuzione cittadina di 20.646 metri.
Il costo dell’opera superò le lire 800.000 e l’esercizio ebbe inizio con oltre 1.000 utenti su una popolazione di circa 18.000 abitanti.
Sulle qualità dell’acqua la competente autorità sanitaria dichiarò trattarsi di acqua ottima per l’uso potabile, per la sua purezza batterica e per la sua costituzione chimica.


Dal libro: Uomini, cose e fatti di Mestre di Luigi Brunello.