intervista a Tiepolo

di Mila Di Francesco

Con un gruppo di corsisti dell’Associazione “Saba” stiamo salendo lo scalone di Cà Rezzonico, quello che porta, dopo due solenni rampe, al salone da ballo...
C’è molta confusione, vari gruppi di visitatori si affollano davanti ai dipinti che testimoniano la presenza di Gian Battista Tiepolo in un arco di tempo piuttosto lungo che va dal 1715 al 1770 in diversi luoghi, Venezia, Milano, Würzburg, Madrid ma anche Lendinara, Thiene, Camerino. Gli eroi e le eroine della storia romana, le sensuali tentatrici della mitologia e della letteratura, le diafane martiri cristiane, le castissime Madonne, gli anziani Merito e Valore, la doppia Prudenza, la squillante Fama, i tenerissimi Bambinelli e i putti alati, il bellissimo Apollo: ecco una galleria di tipologie di personaggi, ognuno con propri tratti denotativi. Ma ognuno, anche, con una propria personalità plasmata con linee, forme, colori da quel grande genio che ha saputo rendere visibile la vita e la morte, l’amore, il dolore e la disperazione, l’accettazione del proprio destino e del dovere morale, l’estasi religiosa. A volte con un pizzico di ironia, ma sempre coinvolgendo lo spettatore, entusiasmandolo con soluzioni compositive ed artistiche in grado di evocare sentimenti, condizioni spirituali, richiami culturali. Non è descrivibile l’emozione che dà, oggi, osservare la superficie pittorica dei dipinti, dei bozzetti, dove la mano del maestro, traduttrice simultanea del pensiero, è ancora visibile nell’intensità della pennellata, nel brio con il quale passa da una nota altissima di luce ad una un po’ più spenta, nella spregiudicatezza di un accostamento cromatico. C’è un dipinto, all’inizio della mostra, che ci colpisce, Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle. Conscio del suo valore Tiepolo si raffigura in Apelle, e si gira per osservare un particolare del viso di sua moglie Cecilia, che nel ritratto di Apelle è Campaspe, la favorita di Alessandro Magno. Tiepolo è dunque presente tra noi - grandezza della pittura - come lo è a Palazzo Labia, all’Arcivescovando di Udine, a Würzburg. Forse possiamo tentare di porgli qualche domanda, sono ancora tante quelle che aspettano una risposta da quasi tre secoli.

Qualcuna è un po’ scontata, ma proviamo ugualmente.

-Maestro, come ha cominciato? Tra il brusio della folla stupita ci pare di cogliere il nome di Gregorio Lazzarini, sì uno degli artisti più affermati del tempo a Venezia, ma anche dei “tenebrosi”, Bencovich e l’essenziale Piazzatta, dal quale derivano i dipinti scuri e fortemente contrastati della produzione giovanile. Però il vero riferimento è stato Paolo Veronese, la sua pittura timbrica, nella quale colori diversi si scontrano in una vibrazione luminosa dinamica.

A lui lo lega il filo, che non si è mai spezzato, del forte cromatismo veneto, splendente come i mosaici di S.Marco, e della composizione ardita e scorciata, popolata di esseri umani in costante dialogo fra loro. -Maestro, quali sono i punti fondamentali del suo linguaggio? Apelle-Gian Battista gira intorno il suo sguardo e lo posa su Cecilia; pare si siano amati teneramente, malgrado la sfilata di donne provocanti, forse deviazioni sentimentali esclusivamente artistiche. La sua risposta è implicita nella mostra, basta osservare un affresco, una tela. E’ la luce, una luce che irradia uno spazio illimitato, luogo di esplosione dell’immaginazione smisurata. Ma anche, come ebbe a dire Anton Maria Zanetti il Giovane, la conoscenza e l’applicazione della “grand’arte de’ contrapposti”.

-Maestro, ci illumini sul suo credo estetico. Ora la sua voce ci giunge più chiara e ferma, anche se egli ha già sessantasei anni e sta per partire per Madrid, chiamato da Carlo III di Spagna. “Li pittori devono procurare di riuscire nelle opere grandi, cioè in quelle che possono piacere alli Signori nobili, e Ricchi, perché questi fanno la fortuna de’ Professori, e non già l’altra gente, la quale non può comprare Quadri di molto valore. Quindi è che la mente del Pittore deve sempre tendere al Sublime, all’Eroico, alla Perfezione”. E noi, esemplari di una razza destinata all’estinzione per aridità di idee, usciamo da Cà Rezzonico con un misto di gioia esplosiva per l'Allegoria nuziale e di tristezza per la Deposizione nel sepolcro; così tragicamente “ultima” e immodificabile realtà, ma consapevoli di essere stati testimoni del passaggio di un genio.

Per saperne di più:

La mostra di Ca' Rezzonico
La mostra di Würzburg
Itinerari veneziani
Tiepolo a Udine
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