Professore, la volta scorsa aveva
fatto riferimento a una parola ‘magica’: multimedialità; che cosa
intendeva dire esattamente?
Intendevo dire che il futuro della comunicazione è
ormai legato a questa parola (o meglio alla tecnica che la parola
sottintende).
Multimediale significa che il messaggio viene trasmesso mediante più di
un mezzo:
testo scritto, immagini fisse o in movimento, suoni, animazioni.
C’è un solo veicolo in grado di produrre questa varietà di
comportamenti: il computer.
La multimedialità è dunque strettamente connessa alle nuove tecnologie
digitali.
La multimedialità allora è un fatto del tutto nuovo?
Non si può affermare questo in senso assoluto. Infatti
già il cinema e la televisione hanno introdotto una forma di
comunicazione a più voci. La vera novità è che con il computer non solo
queste possibilità vengono potenziate e ampliate, ma escono da un ambito
in cui solo pochi specialisti sono in grado di gestirle e diventano almeno
virtualmente patrimonio di tutti.
Vi è inoltre un aspetto di questa tecnica che era impensabile senza le
nuove tecnologie: questa caratteristica si chiama interattività.
Si tratta della possibilità che l’utente intervenga attivamente nel
processo comunicativo, addirittura modificandone i dati e i percorsi.
Si arriva così ad un’altra forma di comunicazione che viene chiamata ipermedialità.
Cominciamo a non capire più niente; potrebbe essere
più chiaro?
Avete ragione; mi spiegherò con un esempio. Supponiamo
che io voglia fare una lezione, mettiamo, di astronomia.
Vediamo come si sarebbe presentato lo scenario fino a qualche anno fa: avrei avuto a mia disposizione una lavagna, un gesso
e la mia capacità di parlare; avrei anche potuto mostrarvi delle immagini
da un libro o anche delle diapositive. Volendo strafare vi avrei anche
mostrato un filmato con bellissime immagini in movimento.
Insomma avrei fatto una comunicazione multimediale, ma alla
vecchia maniera.
Vediamo ora lo scenario attuale: abbiamo a disposizione un disco di 10 cm.
circa di diametro; su questo esile supporto si trovano milioni di
caratteri di testo scritto, diverse ore di testo parlato, decine di minuti
di musica, filmati e centinaia di immagini. Tutte queste informazioni sono
integrate fra loro e non sono una somma di dati incoerenti e ammassati uno
su l’altro. Servendomi di questo disco avrei fatto una comunicazione
autenticamente multimediale (a prescindere dal contenuto,
naturalmente, che può essere buono o anche pessimo).
Ora, supponete di voler valutare quanto avete capito della lezione.
Sul nostro disco (un CD ROM, che di questo si tratta) potremmo trovare dei
test che fanno per voi; sarete sottoposti a delle domande, sulle vostre
risposte saranno espressi dei commenti positivi o negativi e infine
potrete avere anche una valutazione con un punteggio.
Vi si potrà anche consigliare di ripetere un certo argomento che non
avete afferrato completamente.
Insomma avrete così sperimentato una certa dose di interattività.
Lei però ha anche parlato di ipermedialità.
Certo.
La parola ipermedia deriva da un’estensione della parola ipertesto,
un neologismo che significa "oltre il testo".
Un ipertesto differisce da un testo normale dal modo con cui viene letto.
Mentre in un testo convenzionale la lettura è sequenziale (si legge prima
la pagina 1 e poi la pagina 2 e così via), in un ipertesto la lettura è
molto più libera e non segue un percorso predeterminato.
Il lettore può scegliere, in una certa misura più o meno accentuata, il
proprio percorso in genere seguendo zone di interesse o associazioni di
argomento e significato, a volte con lo scopo di approfondire un tema o
comunque senza vincoli di sorta.
Se invece di un testo abbiamo una comunicazione multimediale, allora la
lettura può diventare ipermediale cioè ancora una volta
non vincolata ad un percorso scelto da altri, ma determinata unicamente
dagli interessi del lettore.
In un siffatto ambiente vi saranno delle parole (cosiddette ‘calde’)
che, con un clic del mouse, vi rimandano ad altre pagine e ad altri
argomenti permettendovi di ‘navigare’ liberamente nel mezzo.
In questo modo possiamo anche distinguere un tipo di multimedialità
passiva come può essere quella della televisione, da un tipo di multimedialità
attiva in cui il lettore diventa realmente partecipe interagendo
con il mezzo.
Veniamo ora al laboratorio. Ci può dire cosa fate
concretamente?
Come tutti i laboratori, non si prefigge di dare solo
cognizioni teoriche o di fare esercitazioni su di esse; vogliamo che da
qua escano dei prodotti originali che possano essere fruiti da altri.
Il primo lavoro che abbiamo creato è, come sapete, un CD ROM sul nostro
giornale ‘EP’.
Avete potuto vedere che si tratta di un prodotto multimediale: contiene
tutti i testi degli otto numeri della rivista usciti finora, naturalmente
corredati da immagini e anche da due brevi filmati.
I testi si possono scorrere in modo sequenziale oppure no; vi sono dei
rimandi ad altre parti e soprattutto collegamenti con il nostro sito
internet, per cui è possibile iniziare anche la navigazione in rete.
Naturalmente si tratta di un primo esperimento e, a rigore, non possiamo
considerarlo un vero e proprio ipermedia perchè le varie forme di
comunicazione non sono sufficientemente integrate fra loro.
Abbiamo in cantiere un secondo CD ROM che dovrebbe uscire a fine anno. Non
voglio anticipare niente però. Sarà una sorpresa.
Creare un’applicazione multimediale
Iniziamo qui una serie di lezioni sulla multimedialità, sperando di fare cosa gradita non solo a quelli che intendono seguire il
Laboratorio, ma anche a quelle persone che vedono con curiosità e interesse queste nuove esperienze.
Creare suoni
Si possono usare due tipi di suoni in una presentazione multimediale; quando i suoni sono generati completamente dal computer si parla di sintesi, quando invece vengono importati da una fonte esterna (un registratore o un microfono) si parla di digitalizzazione.
Il suono è una vibrazione che si sposta attraverso l’aria fino all’orecchio. La forma della vibrazione determina il tipo di suono. Nel suono sintetizzato la forma della vibrazione è descritta da una formula matematica che riproduce la curva del suono.
I primi personal computer potevano riprodurre solo suoni elementari tipo “bip”, un suono breve e distinto. I computer più moderni possono riprodurre una gamma più ampia e complessa di suoni. Utilizzando una serie di curve può essere sintetizzata anche la voce umana. I suoni sintetizzati hanno comunque un timbro innaturale e elettronico perché non possiedono le sfumature e le sottili variazioni dei veri strumenti. Per avere musica digitale i suoni vengono immessi in un computer. Questa è la ragione per cui una scheda sonora ha prese per microfoni e per altri apparecchi come piastre di registrazione e lettori CD. Il computer registra la posizione delle onde sonore migliaia di volte ogni secondo (questo processo è detto campionamento).
Quante più volte in un secondo il suono viene campionato, tanto più precisamente viene riprodotta la forma
dell’onda sonora originale. In questo modo si possono avere riproduzioni molto fedeli. I CD musicali si basano su questo sistema e riescono a campionare il suono 40.000 volte al secondo.
Un suono campionato occupa molto spazio. Per questo motivo fondamentale sono stati inventati i CD; occorreva infatti un supporto che potesse contenere 10 megabyte di audio digitale al minuto.
Programmi di editing di campioni
Una volta che si ha un suono campionato (sia che lo si sia campionato personalmente da una fonte esterna, sia che si possegga una copia di un brano già campionato in precedenza) si possono effettuare tutti i cambiamenti voluti. Un editor di campioni è in grado di intervenire su un suono già campionato come un word processor fa su una lettera scritta in precedenza.
Così come in un word processor esiste la possibilità di mettere le parole in corsivo o in grassetto, analogamente si possono variare i suoni campionati rendendoli più alti o bassi e aggiungere effetti di eco o vibrato.
Dal momento che i suoni vengono memorizzati come numeri, le variazioni vengono eseguite operando serie di calcoli matematici con questi numeri.
Il mixaggio permette di sovrapporre campioni uno sull’altro.
Nella registrazione di una canzone spesso i musicisti registrano separatamente le parti suonate dai vari strumenti e poi le assemblano successivamente.
In questo modo è possibile effettuare distinte regolazioni sul volume e sul tono dei vari strumenti.
Possiamo registrarci mentre cantiamo alcune note di una canzone...
... e poi registrarci mentre cantiamo lo stesso brano un’altra volta...
e poi mixare le due cose per creare l’effetto di un duetto con se stessi!
Il formato file standard per il suono digitale in ambiente MS-DOS e Windows è noto come Wave. I file Wave (che hanno l’estensione WAV) comprendono dati sulla velocità di campionamento e sulla risoluzione oltre a quelli relativi al semplice suono
digitalizzato. |