Martedì 30 ottobre presso l’Aula Magna della SMS “Giulio Cesare”, Via Cappuccina Mestre, unificate dal tema “Sguardi su Venezia”, sono state esposte alcune serie fotografiche di autori diversi per formazione, intenti e sensibilità. Sono messaggi che rivelano differenti modi di entrare in sintonia con la città, incontri-testimonianze lontani l’uno dall’altra così da permettere un dialogo più che un confronto.

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Caneva 

Rustega caneva antica,
co i travi mezi rosegli dal tempo,
da tanti nomi frequentada,
tanti quanti se ne porta el vento…
quel vento che ne seca la memoria
o pur ne lassa
la malinconia… 

Vecia caneva, i ani passa,
ma i nomi forse tornaria… 

Vecia caneva antica,
nomi squasi desmentegai,
ma spiriti presenti,
tuti qua,
nel goto malegnaso.

Attilio Farinati

Il bianco e nero di elegante classicità di Elena Degetto e Corrado Levis offre una Venezia intima, osservata nel suo quotidiano e lento fluire: luogo di solitudini, di assenze e rare presenze discrete, ambiente di ricordi che gli autori propongono in foto stampate personalmente con grande attenzione per la luce, servendosi della quale accentuano una sensazione, intensificano un’emozione, osano talvolta al di là della forma. 

Gli scatti di Roberta Fabris, nati da una nostalgia che rifiuta se stessa: momenti in cui l’evento fotografico cerca di fermare il tempo e di liberare il pensiero, attimi di risonanza, vibrazioni, emozioni libere da qualsiasi progetto, sguardi che rinunciano ad essere espliciti per immergersi nei dettagli e nella parte segreta delle cose. 

L’occhio entusiasta di Krysatof Pisarek, artista polacco che ritrae durante un breve soggiorno estivo o un paesaggio veneziano carico di vitalità e di colori.
Sguardo nordico il suo, capace di cogliere immagini dell’estuario dai forti contrasti, ma sguardo sensibile che si ricompone e diviene riservato, quasi timido, quando sorprende Venezia alle prime luci dell’alba: una Venezia immobile nella luce radente, quasi attonita nell’attesa di grandi eventi. 

L’obiettivo malinconico di Luigi Storto, alla scoperta di solitudini lagunari. Foto dal colore monocromo nei quali il grigio dell’acqua e del cielo si fondono illuminati da delicate controluce. Immagini raccolte da una barca a remi che sfiora appena l’acqua, immagini silenziose che conservano il sapore salmastro del luogo, sospendono lo scorrere del tempo e invitano alla contemplazione. 

Alle ore 17 è stata data lettura di alcune liriche del poeta veneziano Attilio Farinati, tratte dalla sua raccolta di versi "Girandole".

 

Attimi di risonanza, momenti di vibrazione che divengono scatti prima
che la vibrazione cessi, emozioni libere da qualsiasi progetto...            

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di Roberta Fabris

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Krysatof Pisarek. "Burano 1999"

 

 

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Luigi Storto.
"Laguna 2000"

 

 

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Roberta Fabris. "Risonanza"

 

 

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E. Degetto C. Levis. "Venezia"

 

Parlare di Venezia è sempre difficile, raccontare dello sguardo con cui si entra in rapporto con la città nella quale si è nati e vissuti per molti anni e alla quale si vorrebbe ritornare implica una difficoltà maggiore, perché parlare di uno sguardo significa parlare di un rapporto, di un legame, di sensazioni, di desideri, di quella interazione tra se stessi e il mondo da cui si origina la relazione.
Sguardo significa allontanamento o avvicinamento, amore o odio, perché implica l’accoglienza o il rifiuto e in ogni caso è accompagnato da una risposta.
Lo sguardo riduce le distanze e costruisce le proprie distanze. Reinventa o annulla. Instaura legami silenziosi e profondi, cattura, avvinghia, comunica o, al contrario si carica di non detto, di solo accennato, di attesa.
Fratello del silenzio col quale si accompagna, lo sguardo implica il riconoscimento dell’attimo e come l’attimo ha la sua unicità ed irripetibilità.
Lo sguardo delimita lo spazio dentro e fuori di noi, esprime il tempo, carico di possibilità ma fugace; anzi ogni sguardo si avvale del tempo e si proietta in uno spazio, lo delimita, lo dilata a suo piacimento, lo trasforma, lo carica del peso di una vita o lo alleggerisce con la luce di un sorriso: insostenibile talvolta, in altri momenti scoppiettante di promesse.
Dialettica complessa quando lo sguardo è segnale di comunicazione tra due umanità, diviene tanto più complicata quando una delle due parti è una realtà fisica e il mezzo di trasmissione è il linguaggio fotografico.
La fotografia si avvale dell’immagine per fermare l’attimo, trasformandolo in un istante non più soggetto al divenire, non più responsabile.
La fotografia è la realtà che cambia nome.
In quanto racchiude la duplicità di significato, reale e simbolico, la fotografia è rivelazione, apertura al possibile.
Testimonianza di un rapporto unico tra chi realizza l’immagine e la realtà, la foto esprime in modo più o meno esplicito una relazione, con tutta la gamma di significati che il termine relazione comporta: concretezza che sfuma nell’altro da sé e in lui si riconosce; intervento talvolta crudele sulla realtà, violentata, distorta e alla fine riscattata dalla pregnanza del simbolo; proiezione dei propri fantasmi o dei propri bisogni, elle proprie fantasie delicate e malinconiche o contrastate ed inquiete.
Le foto dunque sono tracce, memorie, concetti, ricerca nei territori della mente in cui l’attesa, il senso del tempo, la comunicazione, divengono guida alla ricerca che ognuno di noi intraprende dentro e fuori di sé.
Luoghi della memoria, frammenti della individuazione, le foto divengono dunque "sguardi", ma sguardi particolari che coinvolgono la realtà senza rimanerne del tutto assoggettati, in quanto quella realtà viene scelta, rivisitata e reinterpretata, trasformata in momento decisivo della propria esistenza. Si fissa allora in uno scatto il percorso anzi in più scatti i passi di un itinerario nel reale oppure semplicemente lo specchiarsi dei sensi o l’aspirazione ad essere per un attimo altro da sé: solo per un attimo, il tempo di uno scatto, il tempo di uno sguardo.
Le mie foto vogliono essere solo questo: attimi rubati alla nostalgia che rifiuta se stessa, momenti in cui l’evento fotografico cerca di fermare il tempo, di liberare il pensiero. Allora lo sguardo nasconde il sentimento che lo ha generato, rinuncia ad essere esplicito, si immerge nei dettagli, scopre quello che altri non possono vedere, la parte segreta, e comincia ad accarezzare i muri screpolati, affonda tra le alghe delle rive, si accende di vibrazioni per un gioco di sole, si nasconde, si impone, in un’al-ternanza di piacere e sofferenza, di possesso e privazione e si appropria quindi di qualcosa che inizialmente non gli appartiene ma con cui entra in sintonia e lo scattare una foto diviene un gesto magico. Le mie foto dunque non vogliono essere mai una denuncia del degrado o una testimonianza, sono piuttosto una dichiarazione d’amore come lo può essere uno sguardo, sono doni o forse, proprio perché foto, sono un collage di eventi, un peccato di possesso, il racconto di un sentimento nato privatamente.
Sono attimi di risonanza, momenti di vibrazione che divengono scatti prima che la vibrazione cessi, sono emozioni libere da qualsiasi progetto, "sguardi" appunto che solo occasionalmente incontrano altri sguardi, possono entrare in dialogo con loro e possono essere a loro volta catturati o negati o semplicemente non visti.