Nietzsche
Platone
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Nietzsche
considera Platone e Socrate coloro che sbagliano, in un certo senso i suoi
nemici, opposti e tuttavia hanno in comune alcune caratteristiche: sia
Platone che Nietzsche intendono la filosofia nel medesimo modo (filosofia
come mezzo per conoscere se stessi allo scopo di raggiungere la
felicità).
Occorre tener presente che tra i due filosofi ci sono 2000 anni di storia.
In ogni caso, per Socrate la ricerca di sé può realizzarsi solo all’interno
della Polis, attraverso il dialogo; diversamente Nietzsche sostiene che è
necessario recidere ogni rapporto con gli altri, presupponendo, pertanto,
solitudine.
Tutti e due hanno presente il rapporto ragione/istinti
(passioni) e il problema dell’armonia fra queste opposte passioni.
Secondo Nietzsche, Socrate e Platone sono responsabili di una nuova
metafisica, ossia di una gerarchizzazione ragione/passione cause
rispettivamente del bene e del male.
Socrate e Platone operano una
spaccatura che ha come esito la metafisica: la ragione si separa
realizzando il mondo razionale o delle idee o mondo vero escludendo il
mondo delle passioni.
Secondo Nietzsche ciò significa preparare la via dell’annichilimento
completato successivamente dal Cristianesimo e che ha come conseguenza la
negazione della vita (NO alla vita). Socrate dunque sarebbe un decadente,
un debole, privo di forza: infatti debole è colui che non ha il coraggio
di affrontare la vita per quello che essa è veramente, rinviando ad un’altra
vita la perfezione (Cristianesimo).
La vita diviene allora grigia e
monotona.
Forte è invece colui che ha il coraggio di affrontare veramente
la vita e anche la morte: soltanto così può davvero vivere.
Pochi lo sanno fare; gli altri inventano un altro mondo: il Cristianesimo
prevede appunto la Beatitudine Eterna, in un altro mondo, così gli uomini
deboli rinunciano a sostenere il “peso della vita” inventando perciò
la favola metafisica.
Secondo Nietzsche, prima di Socrate i greci avevano
raggiunto il più elevato grado della tragedia toccando il livello più
alto della cultura greca, ossia accettazione gioiosa della vita. I greci
divinizzavano il corpo e spiritualizzavano l’anima, realizzando l’unità
di pensiero e corpo.
Prima di Socrate, Eraclito aveva teorizzato l’unità
del contrasto, ovvero la vita come Polemos o guerra.
La morale, secondo Nietzsche, deriva dalla separazione del razionale dall’irrazionale,
ed è appunto Platone che opera questa separazione, inventando così la
morale. Nietzsche invece sostiene che bene e male non sono naturali, ma
convenzionali. La morale blocca gli istinti. Bene è ciò che corrisponde
a ragione. Se vuoi vivere bene, dunque, blocca le passioni. La morale
blocca l’uomo lo depotenzia. Ma la valorizzazione della morale è
conseguenza dell’invenzione dei valori i quali svalorizzano gli opposti;
meglio ancora i valori dichiarano guerra agli opposti.
La valorizzazione va considerata come storia che semplifica l’uomo e che
lo riduce. La morale espelle cose dalla vita (l’inconscio) come frutto
del processo di eliminazione; l’esito di questa operazione è il
nichilismo, che fa emergere il nulla. La vita adesso non ha più senso
(Dio è morto) come esito della lotta fra valori che si sono annientati l’un
l’altro, creando il deserto. Ciò da origine ad un fatto positivo:
inizia una nuova epoca che si concretizza con la creazione di un altro
uomo che supera il nichilismo.
Volontà
di potenza eterno ritorno.
Se l’uomo vuole conoscere se stesso deve ripercorrere la genealogia
della morale, deve cioè andare “al di là del bene e del male”,
giacchè essi non costituiscono elementi originali: bene e male non
appartengono alla natura dell’uomo e quindi occorre vedere cosa sta
prima della loro distinzione. In natura l’uomo è una molteplicità
composta di tanti punti di volontà: Volontà di potenza anche in
relazione all’Istinto.
L’uomo è l’insieme delle forze e delle volontà che lo compongono; è
in condizione di guerra, di conflitto.
Secondo Nietzsche, se vogliamo diventare noi stessi, dobbiamo fare in modo
che tutti gli istinti (anche quelli celati dalla morale) emergano
(condizione di pericolo). Nietzsche indica la via della felicità nell’atteggiamento
di colui che vuole andare a fondo, guardando dentro se stesso: solo così
uno riesce a manifestarsi veramente e qualora non ci riesca, è condannato
a rimanere incompiuto.
A proposito dell’anarchie degli istinti,
Nietzsche sostiene che occorre adottare una pratica coraggiosa nello
stabilire un ordine, o meglio uno stile che determina la differenza tra
commedia e tragedia.
La società del gregge è costituita dagli uomini della commedia,
che assumono una maschera al fine di evitare i conflitti.
L’uomo della tragedia è colui, invece, che accetta e affronta lo
scontro, giacchè la vita è scontro, e quando l’uomo non è capace di
accettare lo scontro è destinato a soffrire perché incompiuto.
Un tema affrontato anche da Marx a proposito del lavoro come alienazione
(se l’uomo lavora per lo stipendio il lavoro può risultargli
alienante).
La Società democratica è la società del lavoro. La via di Nietzsche, è
una via solitaria che gli produce sofferenza anche se egli non avrebbe
voluto rimanere solo. Scrivendo egli tenta di essere riconosciuto. Solo
all’interno della Polis, però, si può uscire dalla solitudine
attraverso la relazione e quindi con possibilità di riconoscimento.
Ma per comunicare, sia Platone che Nietzsche, sostengono che non bastano
le stesse parole, ma occorre avere in comune le medesime esperienze,
sentire le medesime cose, altrimenti l’anima non si muove.
L’Eterno Ritorno costituisce il “peso più grande”, il
centro della nostra vita, il fine della vita stessa. Il peso più grande
è Dio (vita eterna).
In questa vita priva di perfezione, occorre compiere
dei sacrifici in funzione dell’aldilà. Per Nietzsche, invece, il
centro di gravità è questa vita, dove si manifesta la passione per l’Eterno
Ritorno “tutto quello che viviamo, lo viviamo in eterno” sta a
significare (in metafora) che esso rappresenta l’unicità del nostro
agire, pertanto non bisogna rinunciare a manifestare noi stessi.
E’, in sostanza, un’azione che non rinuncia a niente, perchè è l’unica
occasione in questa vita. Ciò che è bello è anche eterno, perché
perfetto e non ha bisogno di nient’altro. Ogni azione compiuta non ha
bisogno di nulla. Ho dunque compiuto me stesso, ho raggiunto la finitezza,
la felicità (come in Socrate).
Il non aver bisogno di nulla, nemmeno della vita. E, il bello, in quanto
perfetto, è sottratto al tempo (che altrimenti sarebbe mancante). La
morte altrimenti ci coglierebbe nella mancanza (affinità Socrate, Platone
e Nietzsche).
Piena accettazione della vita, dunque: solo così, è
possibile sottrarsi alla paura della morte, solo attraverso questa
completa accettazione, l’uomo può manifestare compiutamente se stesso.
Tragedia, e non commedia, equivale alla divinizzazione dell’uomo perfetto
e divino.
Etica
oltre la morale
All’uomo è assegnato un compito dalla natura.
Questo compito è quello di essere felice.
Ergon che vuol dire essere felici e giusti.
Aretè: virtù ossia disposizione migliore.
Etica quindi precedente alla morale, che si concretizza nel prendersi cura
di se stessi e degli altri.
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