Per non dimenticare
Errori-orrori della guerra.
a cura di Aldo Ghioldi

Per la gente di Chioggia, di Pellestrina e di Venezia, il tragico affondamento del piroscafo “Giudecca”, avvenuto il 13 ottobre 1944, continua ad essere un forte monito contro errori ed orrori della guerra.

 

 


Il piroscafo Giudecca.

 


Una immagine di Chioggia

 



Pellestrina e Chioggia.
Annuale cerimonia commemorativa dell’affondamento della motonave Giudecca.


Nel 1944 avevo cinque anni e quindi non potevo capire appieno che cosa fosse successo in quel giorno, il 13 ottobre. Ma ricordo che in casa se ne parlò per molto tempo e alcuni anni dopo mio padre mi raccontò.
Due erano i motivi di questo continuo parlare.
Il primo, il tragico affondamento del piroscafo Giudecca, e il secondo perché anche mia madre poteva essere una passeggera del Giudecca.
Siamo in tempo di guerra e la vita è dura per tutti.
Oltre al pericolo dei bombardamenti c’è la necessità di procurare generi alimentari per il fabbisogno della famiglia.
Mia madre, come molte altre persone abitanti a Venezia, spesso si recava nelle vicine zone di campagna o isole, per barattare, con i contadini del luogo, vestiario in cambio di farina, pasta, burro e quant’altro poteva portare a casa.
Dovete sapere che durante la seconda guerra mondiale, esisteva un distaccamento dei vigili del fuoco, alloggiati in alcuni locali posti al piano terra, del Palazzo Ducale.
Mio padre era un vigile del fuoco ed era in servizio presso questo distaccamento.
I vigili del fuoco di questo distaccamento, avevano, tra gli altri compiti, quello di avvistare e segnalare agli altri distaccamenti, le zone bombardate o incendi sviluppatesi in conseguenza a bombardamenti.
Per poter svolgere questo servizio, si servivano del campanile di San Marco. Una volta saliti nella zona campanaria, la zona di osservazione si estendeva su Venezia, Lido, Marghera, Chioggia, Pellestrina, Fusina ecc.
Quel venerdì 13 ottobre, era una bella giornata di sole, di quelle giornate limpide e calde prima del monotono grigiore dell’autunno, e mio padre era in servizio di avvistamento.
Quel giorno mia madre era andata, come dicevo in cerca di barattare qualcosa, ma mio padre non sapeva in che zona si fosse recata.
Già al mattino c’era stato, come ormai da mesi, il sibilo straziante delle sirene costirngendo tutti ad affrettarsi a rientrare in casa o nei rifugi, per mettersi al sicuro. Fortunatamente anche quella volta il rombo minaccioso dei cacciabombardieri si allontanò lasciando solo paura. Era una ventina di giorni che gli allarmi non si concludevano tragicamente. Quella mattina, per ragioni di sicurezza, il piroscafo Giudecca dell’Acnil, rinunciò alla corsa delle 10.30 che da Vigo faceva linea diretta tra Chioggia e Venezia, ma non rinunciò a quella delle 12.30.
Imbarcò molte persone, la maggior parte di Chioggia e di Sottomarina, di Venezia e di altri centri del litorale di Pellestrina, ma anche di altri paesi della campagna. Navigarono tranquillamente per un quarto d’ora. La prima fermata la fecero al pontile di Caroman, oltre il porto di Chioggia, dove salirono altri passeggeri. Poi d’improvviso un rombo di motori dal cielo. Erano tre caccia dell’aviazione angloamericana, che volavano a bassa quota sopra il battello.
Il pedinamento durò minaccioso per una decina di minuti, il tempo di raggiungere l’abitato di Pellestrina. Una virata improvvisa, radente non lasciò il tempo a chi stava sulla plancia di cercare un riparo. Raffiche di mitraglia e bombe sganciate dall’alto, colpì, distrusse e affondò il piroscafo. E tutto questo mio padre vedeva, comunicava a chi di dovere con il pensiero rivolto a mia madre, chiedendosi se fosse passeggera in quel piroscafo bombardato, che stava affondando.
Per fortuna mia madre non era a bordo del Giudecca, era andata da tutt’altra parte.
I primi ad accorrere in aiuto dei naufraghi sono gli abitanti di Pellestrina. Incuranti del pericolo, mentre ancora infuria la minaccia di un altro passaggio di fuoco dei caccia, montavano nelle loro barche da pesca per recuperare i naufraghi che arrancavano fuori e dentro il piroscafo, ormai ridotto ad un ammasso di ferraglie. Il primo ricovero dei feriti più gravi è la casa del parroco, don Guerrino Cavallarin.
Appena avuta la notizia a Venezia partono subito alla volta di Pellestrina autorità, sanitari, organizzazioni di volontari. Prendono il largo già alle 13.30 dal capoluogo tre battelli dell’Acnil e dell’U.N.P.A., squadre dei servizi lagunari del Comando tedesco, i vigili del fuoco.
Solo alle 19 giungono di ritorno in Riva degli Schiavoni i tre battelli. Trasportano una cinquantina di feriti, i più gravi.
Anche da Chioggia, appena ci si rende conto della tragedia, si muove un convoglio di barche, per collaborare ai soccorsi. Ma anche per portare i familiari dei passeggeri, ansiosi di conoscere la sorte dei propri cari, che avevano salutato poche ore prima.
Di questa immane tragedia, comunque non si darà mai con precisione il numero totale delle vittime. Resterà sempre imprecisato anche il numero dei dispersi. Lo stesso recupero delle salme resterà incompleto, perché molti altri resti verranno ritrovati nelle cabine sottoco-perta un anno dopo, quando il relitto del piroscafo verrà recuperato.
Indubbiamente le urgenze della guerra, che continuava spietata, impediscono alle autorità di fare nell’immediato un bilancio esauriente del tragico evento. Ma contestualmente s’incrociano anche ragioni di propaganda che portano le autorità fasciste a gonfiare le cifre (peraltro già incomparabili) continuando a parlare genericamente di circa duecento morti. “La nuova delittuosa impresa dei liberatori”, “un altro feroce crimine degli anglo-americani”: sono gli slogan con cui la stampa del regime fin dal primo momento definisce quell’inutile massacro di civili, consumato “in assenza di obiettivi militari”.
Ma anche successivamente, dopo la liberazione, non si farà nulla per ripristinare la verità, neppure da parte delle forze democratiche.
E non solo nel definire il vero numero delle vittime, ma neppure nel chiarire le ragioni che portarono a questo incomprensibile eccidio di persone innocenti. Si continuò a parlare genericamente, e mai ufficialmente, di una segnalazione di un movimento di truppe tedesche che doveva imbarcarsi in quel piroscafo.
(È accertato che avvenne alla stessa ora il giorno seguente).
Si sarebbe trattato, in questo caso, di un clamoroso errore di valutazione dei tempi, oppure sarebbe intervenuto a depistare i piani un contrordine del comando tedesco? Difficile dirlo. Prevalse comunque forte il bisogno di rimozione di quell’errore-orrore che rappresentava sempre un’onta per le forze liberatrici che poi negli anni del dopoguerra, più o meno direttamente, avrebbero garantito un’egemonia sulla nuova classe dirigente.