Per non dimenticare
Terremoto ‘80: Sud chiama....
di Aldo Ghioldi ex caposquadra dei vigili del fuoco

Riporto questa testimonianza data nel gennaio 1981,
a padre Francesco Ruffato
della Chiesa “Sacro Cuore”
di via Aleardi di Mestre
che la pubblicò nel
foglio domenicale.


Lioni.
Vigili del fuoco del Comando Provinciale di Venezia.
Il caposquadra Aldo Ghioldi
è il quarto da sinistra.

 

Alle ore quattro del primo dicembre, dopo due notti insonni e circa venti ore di viaggio. siamo giunti a Lioni, per dare il cambio ai colleghi, che dopo poche ore dal terremoto si trovavano già sul posto; erano stanchi, sfigurati dal duro lavoro e dalle cattive condizioni atmosferiche.
In fretta (erano impazienti, come si può immaginare, di tornare a casa ad abbracciare i propri cari), ci siamo scambiati consegne e mezzi meccanici, per continuare l’opera di soccorso, il recupero delle salme, delle masserizie e di altri valori. Alle otto dello stesso giorno eravamo già sul posto di lavoro, il centro storico di Lioni: quello che, pochi giorni prima era un paese fiorente, cui convergevano i villaggi vicini per il mercato e gli affari, era ridotto ad un cumulo di macerie.
L’opera nostra era di rimuovere le macerie, estrarre le eventuali vittime per affidarle ai muti parenti, in trepida attesa, per una cristiana sepoltura. Quel giorno da un palazzo di quattro piani accasciato, costruito solo dieci anni prima, estraemmo tre salme. Stanchi, assonnati (erano due notti che non dormivamo), ma soddisfatti del lavoro compiuto, ci recammo al campo per mangiare un boccone caldo e concederci un legittimo riposo.
Sorpresa: una volta al campo, bisognava attendere mezz’ora circa, in fila sotto la pioggia, la neve, il vento e un freddo pungente, dentro venti centimetri di fango. Giunto il nostro turno ci davano un piatto di minestra calda, ma i pochi metri che distanziavano la cucina dalla grande e fredda tenda dove si andava a mangiare, bastavano per riempirti il piatto di pioggia o neve, raffreddando il tutto.
Dormivamo dentro un sacco a pelo, sotto una tenda fredda e umida.
A complicare la situazione si metteva anche il tempo inclemente e variabile nel giro di pochi minuti.
La popolazione del luogo, nei nostri confronti, ha avuto segni di simpatia ed ammirazione. Tra colleghi si era raggiunta una intesa quasi perfetta, un accordo e una generosità che dovrebbero durare anche in città, di ritorno al nostro comune lavoro e non sfumare nel giro di pochi giorni.
Ho seguito e partecipato attivamente, sul posto, a tutte le calamità naturali che si sono susseguite in Italia negli ultimi vent’anni: dal Vajont, alle alluvioni, al terremoto in Sicilia, ad Ancona, nel Friuli. Ciò mi è stato possibile anche perché faccio parte di un “corpo” cui è affidato il compito primario della protezione civile.
Posso testimoniare che l’ultimo terremoto in Campania e Basilicata è stato molto più vasto e sofferto dalle popolazioni, perché è avvenuto in un periodo atmosferico inclemente e in un territorio depresso, che hanno reso quasi impossibile (lo voglio pensare) approntare tempestivamente quei servizi logistici, atti a procurare il minimo indispensabile ai soccorritori e ai superstiti.

Immagini del terremoto del ‘80 che ha colpito la Campania e la Basilicata prelevate da Internet: www.storiadilioni.it.