Racconti
di Valter Fontanella

Era stata la meta di una gita scolastica bellissima, e indimenticabile, perché posta alle origini della loro storia e della loro vita comune.


 

In quella circostanza Lara e Valerio avevano scoperto insieme una città unica al mondo e ineguagliabile nella sua bellezza, nella profusione dei beni artistici, nella sua pace serena. Una città doppiamente solare avevano scoperto allora, illuminata dai raggi di uno splendido sole e da quelli riflessi dall’acqua, mossa appena da un leggero e fresco vento primaverile, in cui si adagiava languida e si specchiava civettuola.
Da allora, una volta diventati adulti e unite le loro vite, quella era sempre stata la meta preferita quando, diverse volte nell’arco dell’anno, decidevano la destinazione di una delle loro frequenti, abituali e periodiche visite veloci alle città d’arte, quelle che duravano un fine settimana allungato, o poco più. Agli occhi dei loro colleghi di lavoro poteva forse sembrare un tempo breve, quello in cui spezzettavano quasi tutto il periodo delle ferie di cui annualmente potevano godere, ma a loro era più che sufficiente per ricreare spirito e corpo.
Ben presto, ogni volta che vi avevano rimesso piede, dopo quella prima e memorabile, avevano provato la stessa impressione curiosa, di trovarsi in una città eternamente uguale a se stessa, al punto che sembrava immobile nel tempo e immune dal trascorrere inclemente delle stagioni, quello che deturpa poco a poco il volto di tante altre città, oramai condannate all‘inquinamento da traffico, e che, al contrario, rende lei sempre più bella e ricca di fascino.
Certo, le diverse stagioni variavano il suo aspetto. Altro era visitarla nella luce squillante e ventosa della primavera, altro era riscoprirla sotto un candido manto di neve invernale, altro ancora era l’aspetto estenuato, evanescente e vagamente inquietante che assumeva quando si avvolgeva di greve e cupa nebbia, che ricopriva ogni cosa di un lucido velo di umidità e che ben presto inumidiva i capelli.
Eppure, indicibilmente, la città era sempre e comunque meravigliosa e uguale a se stessa. E qualche volta, magari, raddoppiava senz’altro il suo splendore, quando si rimirava leziosa nell’acqua piatta della marea che di tanto in tanto la invadeva in gran parte, per l’esasperata disperazione dei residenti e l’allegro divertimento dei tantissimi turisti, che, di anno in anno e da ogni parte del mondo, sempre più numerosi accorrevano a visitarla, estatici, ma anche impreparati di fronte alla sua eterea e sfolgorante bellezza, che pure tanto a lungo avevano sentito decantare e desiderato vedere, e che ora un poco li intimidiva.
Tuttavia anche in quella città immobile nel tempo qualcosa stava impercettibilmente mutando di stagione in stagione. Forse, con il passare degli anni, Lara e Valerio avevano percepito quel mutamento, ma se anche lo avevano percepito, doveva essere accaduto in modo inconscio, perché nessuno dei due ne aveva mai fatto esplicitamente parola.
Questa volta però, poco dopo che hanno messo piede in città, il naso di Lara comincia a farsi attento. Nell’aria sembra mancare qualcosa. Presto l’attenzione viene risvegliata e sollecitata dall’olfatto. E allora Lara si accorge con sorpresa che le sue papille olfattive non stanno cogliendo nell’aria un odore abituale, un profumo caratteristico e gradevole, che per tanti anni, al mattino, li aveva sempre accolti e accompagnati nelle loro calme passeggiate in città. Manca nell’aria, ma pure è ben presente nella memoria, un gradito profumo usuale e piuttosto invitante che sa di casa e di tempi antichi. Annusa più volte e a fondo, per controllare con cura attenta, e poi esclama: “Ma guarda che strano, non sento il solito odore di pane fresco, appena sfornato.”
Valerio si volge a guardarla, un poco stupito da quella osservazione, che gli sembra peregrina e del tutto estemporanea. “Non siamo di sicuro tornati qui per annusare l’odore del pane fresco che si spande lieve in aria e per tutte le calli” le fa osservare con un tono di voce vagamente ispirato e con il suo sorriso speciale, quello che le rivolge quando è tranquillo e felice e ha voglia di scherzare. E la faccenda per lui sembra finire lì.
Ma qualche tempo dopo proprio Valerio, pungolato da un certo languorino e dall’ora, si rivolge a Lara: “Io comincerei ad avere un po’ di fame - dice -. Perché non andiamo a farci un bel panino con il prosciutto? Magari ce lo facciamo preparare nel nostro solito negozietto di alimentari - precisa -, quello che ha quel San Daniele così buono e il pane freschissimo e croccante” conclude, e subito finge con un gesto esagerato di leccarsi le dita.
“Mmh, a guardarti hai quasi fatto venire fame pure a me. Tutto sommato, io anche ci starei. Ma sì, direi che potremmo farci questo panino al prosciutto, anche se è ancora un po’ presto - risponde Lara, ridacchiando per la buffonaggine di Valerio -. Tanto il negozio si trova in una calle vicina, quasi sulla nostra strada.”
Si avviano solleciti verso la loro meta, e però non riescono a trovare il negozio di alimentari.
Si guardano intorno incerti. Girellano qua e là indecisi, ma con occhi attenti. Dopo un poco entrambi sono convinti di essersi sbagliati, di ricordare male, di aver fatto confusione tra una calle e l’altra. E si rendono anche conto che purtroppo non c’è nessuno cui poter chiedere un’indicazione. Soltanto turisti sfaccendati e con il sacco in spalla vedono passare. Cominciano a pensare che il negozio si deve trovare da un’altra parte. Eppure non può essere, dicono, troppe volte ci sono stati per un ottimo panino ben imbottito e una fresca lattina di birra. E ora non vogliono rinunciarci.
Girano ancora un poco qua e là, ma senza successo. Tornano allora indietro per controllare meglio la calle in cui doveva esserci il negozietto. Di questo almeno sono sicuri. Ma ancora non ne vengono a capo, perché lì, dove erano sicuri di trovare la porta del piccolo negozio di alimentari, vedono solamente le vetrine di uno dei tanti negozi di souvenir che costellano per ogni dove la città. Stanchi di cercare a vuoto e, per di più, ormai incuriositi, decidono di chiedere informazioni alla ragazza dei souvenir. Quella risponde che sì, che là una volta c’era un negozio di alimentari, ma che è stato chiuso ormai da tempo, e che ora ci sono loro. “Non faceva quasi più affari, così si era lamentato il proprietario prima di chiudere” conclude la ragazza.
“Strano però – dice pensieroso Valerio, rivolgendosi a Lara -, con tutta la gente che gira per la città ogni giorno e in tutte le stagioni, mi sembra impossibile che non facesse abbastanza affari. Forse si era semplicemente stancato di passare tutte le sue giornate chiuso in bottega.”
L’appetito di Valerio si è ormai definitivamente risvegliato e ha contagiato quello di Lara. Per placare gli appetiti entrano nel primo bar che incontrano sulla loro strada. Qui, al momento di pagare, allibiti, si sentono chiedere dalla cassiera una cifra per loro astronomica, e soltanto per aver consumato con poco gradimento due bicchieri piccoli di birra e due panini striminziti, preparati da troppo tempo e vagamente sfatti, che hanno fatto amaramente rimpiangere i deliziosi panini gustati in varie altre occasioni, ben imbottiti e preparati al momento dal loro bottegaio, così gentile, disponibile, premuroso e sorridente.
Il prezzo esorbitante e la chiusura del negozio di alimentari riportano in vita una piccola osservazione che Lara e Valerio avevano fatto parecchi anni prima, all’epoca delle loro prime gite da adulti, quando si erano accorti di spendere un poco troppo rapidamente il denaro guadagnato con lunghe ore di lavoro. Già allora si erano chiesti come facevano a resistere gli abitanti in quella città dalla vita tanto costosa.
Allora, spinti da una giovanile curiosità statistica di sapere, lo avevano anche chiesto a una donna anziana che passava lenta con due borse della spesa ben ricolme. “Eh, caro lei – aveva risposto quella con espressione rassegnata -, bisogna ingegnarsi. Io, per fare la spesa, vado due volte alla settimana in terraferma. Prendo l’autobus che si ferma proprio davanti al mio supermercato preferito, e lì mi rifornisco. Altri vanno anche più lontano, nei grandi centri commerciali che si trovano in periferia, ma io preferisco così. Spenderò anche i soldi dell’autobus, ma risparmio molto, veramente molto di più sulla spesa. E molti altri fanno come me, quasi tutti gli anziani. E nessuno si meraviglia più di vedere girare tante borse della spesa, anche nelle mani degli uomini.” La donna si era quindi allontanata a passo lento, tentennando la testa sconsolata e mormorando “così pochi, siamo rimasti in così pochi ormai, proprio quattro gatti.”
Anche altro avevano notato già da allora, durante la loro microscopica indagine di economia locale, che moltissimi turisti, quelli giovani soprattutto, quelli evidentemente più a corto di denaro, giravano sempre con un sacco in spalla e che da quel sacco tiravano fuori cibo e bevande, che consumavano seduti in gruppi sparsi, seduti sui gradini della Piazza e dei monumenti. E potevano anche affermare con sicurezza che non avevano mai visto uno di loro seduto in un ristorante, mentre erano ben pochi anche quelli che avevano visto entrare in un bar. Forse era più facile che lo facessero in inverno, avevano concluso, per sorbire una bevanda calda e scacciare così il freddo e l’umidità.
“Ma, dico io, camminiamo da un bel po’ e però, adesso che ci faccio mente locale, mi accorgo che non è stato chiuso solamente il nostro negozietto, ma che non ne ho visto nemmeno uno qui intorno. Eppure una volta ce n’erano ovunque. Ma dove mai sono finiti i negozi di alimentari?” si chiede Lara dopo qualche minuto. Tace per un poco e poi riprende con voce perplessa. “Ho l’impressione che dal punto di vista demografico la situazione sia peggiorata ancora dall’ultima volta che siamo venuti. Qui finora ho visto soltanto negozi di souvenir, di maschere e calendari, e di tanta altra roba del genere. Di carabattole, insomma. Oppure negozi in cui, è evidente, entra solo chi è ben fornito di soldi.”
“Di carta di credito, intendi ovviamente dire” fa Valerio con velata ironia, frutto forse di una malcelata invidia.
“Mi pare ovvio - dice Lara con sussiego ostentato, e prosegue -. Vuoi vedere che il nostro negozietto era l’ultimo rimasto? Ma non fa la spesa nessuno qui? Non si siede nessuno a tavola davanti a un bel piatto cucinato in casa?”
“Sarebbe stato meglio che ci fossimo portati dietro anche noi qualcosa da mangiare, in sacco, come fanno quasi tutti. Hai visto i prezzi di questo ristorante?” chiede Valerio, e accenna con la testa.
“Ho visto. Con quella cifra a casa preparo da mangiare per quasi una settimana, oppure possiamo andare non poche volte al nostro solito ristorante. Mi sa che oggi, dopo l’esperienza del bar, si salta il pranzo. Magari a me anche non dispiace, visto che ultimamente ho messo su qualche chiletto di troppo.”
“Io non mi lamento certo dei tuoi chiletti - dice Valerio, che si esibisce dapprima in un ampio sorriso vagamente estatico e quindi in un sogghigno che vuole essere apertamente lussurioso -. Mi sa di sì, che oggi tiriamo un po’ la cinghia.”
“E farà bene a tutti e due - rincalza Lara, mentre si lascia sfuggire un sorrisino compiaciuto -, perché risponde a verità che anche tu ultimamente ti sei dato da fare parecchio a tavola. Non lo puoi negare.”
“Non lo nego affatto, vostro onore. Colpa tua, che cucini troppo bene.”
“Non adularmi, ora. E non mentire. Hai sempre detto che solamente la tua mamma…”
“Però - si interpone in fretta Valerio, che vuole sviare subito il discorso da quell‘argomento imbarazzante -, per noi questa non è altro che una gita di piacere, e possiamo anche permetterci, se vogliamo, di saltare un pasto o anche di spendere ben più del solito. Per un paio di giorni, è ovvio, ce lo possiamo anche permettere, ma per chi vi abita tutto l’anno la vita, per una ragione o per l’altra, deve essere molto dura. Mi sa che ben poche persone, con i tempi e i prezzi che corrono, sono riuscite a tenere duro e hanno continuato ad abitare qui.”
“Già, tanti, tantissimi turisti e di ogni razza ho visto in giro ovunque, ma anche moltissime imposte chiuse e perfino trascurate o cadenti, ho visto, e non solamente nelle calli meno frequentate. E’ come se una buona parte della città si fosse spopolata, e questo mi pare un brutto segno. Però anche noi, a pensarci bene, cosa abbiamo fatto? Mica siamo venuti a dormire qui, ci siamo fermati in terraferma, per spendere meno, è ovvio. E in effetti abbiamo risparmiato non poco. Almeno fino a che dura.”
“Non siamo certamente i soli a farlo. Sono tantissime le comitive di turisti che si fermano e pernottano in località anche più lontane. Li abbiamo visti. Arrivano al mattino in corriera e alla sera la corriera torna a riprenderli. Sono i turisti mordi e fuggi, come si dice, e sicuramente spendono ancora meno di noi.”
“E sono veramente tanti, e vengono da ogni parte del mondo, e li trovi in ogni angolo della città, anche il più remoto. E’ ovvio che la tranquillità di chi ci vive ne soffra un pochino, ma i turisti fanno anche allegria e gioia di vivere, soprattutto le comitive di giovani che si accalcano ovunque, con la loro confusione così abituale, spontanea e contagiosa.”
“Faranno anche allegria, ma di sicuro chi ci deve convivere non sempre ha voglia di divertirsi, e magari qualche volta sopporta a fatica tutta quell’allegria. Pensa a quante scolaresche in gita percorrono la città durante tutto l’anno scolastico, oppure alle folle che la invadono per il carnevale. Noi stessi, dopo la nostra prima e unica esperienza carnevalesca, ci abbiamo rinunciato senza alcun rimpianto. Del resto, pensa come ti sentiresti se avessi fretta di giungere in un posto e ti trovassi davanti una dopo l’altra delle comitive di turisti che procedono a passo di lumaca. E queste ci sono durante tutto l’anno.”
“Però, non ci sono mica tanti veneziani in giro. Qui ho sentito parlare tante lingue diverse, ma ben poco veneziano. Te ne sei accorta?”
“Ti dirò che non ci ho fatto per niente caso. Senti, e se oggi andassimo a rivedere le Gallerie dell’Accademia?”
“Mi sembra un modo intelligente di concludere la giornata.”
Il mattino dopo, ben equipaggiati e organizzati per evitare altre sorprese alimentari, si riportano in città, ma dopo poche ore una pioggia improvvisa e insistente li costringe a fare mestamente ritorno alla pensione in cui pernottano. Solamente nel tardissimo pomeriggio il cielo si sgombera dalle nubi e ricompare un bel sereno, ma purtroppo il sole è quasi al tramonto e il giorno se ne è andato.
Alla sera si ritirano in camera e vanno a letto un poco più tardi del solito, ma il riposino che hanno potuto fare nel pomeriggio si fa sentire. Valerio, incapace di prendere subito sonno, si mette a leggere. Poi, quando gli sembra giunto il momento, spegne la luce, certo di addormentarsi subito. Ma non ci riesce, a lungo si gira e rigira nel letto, piano, per non svegliare Lara, che poco prima si è addormentata. Alla fine, sempre più innervosito, accende la luce per riprendere a leggere. Immediatamente Lara si riscuote. “Che ti succede?” chiede con voce assonnata.
“Non riesco a prendere sonno, forse ho dormito troppo nel pomeriggio, e ora sono perfettamente sveglio. Ho pensato di rimettermi a leggere. Forse così mi verrà un po’ di sonno, mi sono detto.”
“Beh, e ora sono perfettamente sveglia anch’io” brontola Lara, mentre riprende lei pure il libro. Dopo un poco sbuffa: “Ma io non ho nessuna voglia di leggere!” esclama spazientita.
“Mi dispiace di averti svegliato, ma non riuscivo proprio a prendere sonno” dice Valerio un poco dispiaciuto.
Passano pochi minuti, poi. “Ascoltami – esordisce all’improvviso Lara, e intanto si mette a sedere sul letto -, visto che nessuno dei due ha sonno, perché non facciamo una cosa che non abbiamo mai fatto? Perché non andiamo a spasso per la città, così, by night? A quanto pare, le notti bianche stanno diventando una moda, e noi ci adeguiamo.”
Valerio riflette per un attimo e poi esclama: “Ma sai che hai proprio ragione! Sarà davvero un’esperienza nuova e interessante.”
“Dammi dieci minuti di tempo, un quarto d’ora magari, e sono pronta” dice Lara scoccandogli un rapido bacio, mentre già butta le gambe fuori dal letto.
Cercando di fare il minimo rumore, si alzano e si rivestono. Scendono lentamente le scale della pensione, nell’ingresso salutano il portiere mezzo assonnato, e quindi escono, mano nella mano.
E sono anche fortunati, perché non più tardi di cinque minuti dopo possono salire sull’autobus che li porterà alla loro meta.
Ah, il fascino della città sognante, immersa nella tranquillità della notte estiva e limpidamente stellata, dopo la forte pioggia del giorno. Emozionati e felici come due studenti in gita scolastica che sono riusciti a sottrarsi al controllo degli insegnanti, decidono di aggirarsi a caso e per ogni dove, di avventurarsi ovunque nella città, che sembra immersa in un sonno estatico, che la magia della notte ha reso soltanto loro.
Mancano certamente l’allegria festante e la confusione giovanile del giorno, ma come non apprezzare il silenzio che si stende ovunque, la tranquillità perfetta che li avvolge? Perfino il rumore dei loro stessi passi, mentre scendono un ponte, li coglie di sorpresa. E però anche li inquieta, perché i passi echeggiano a lungo nel vuoto assoluto di suoni da cui si sentono circondati.
Senza un perché Lara abbassa la voce mentre si rivolge a Valerio: ”Ho un’impressione strana. Mi sembra di camminare in una città vuota, abbandonata dagli abitanti.”
“Sarà perché non siamo ancora giunti verso le zone centrali – risponde Valerio, ancora fiducioso, ma intanto lui pure abbassa involontariamente la voce –. Vedrai che lì troveremo altri nottambuli come noi due.”
“Mah, comincio ad avere qualche dubbio” risponde Lara in un sussurro, guardandosi intorno.
E vanno avanti, ma più si inoltrano nella città, più subiscono il fascino ambiguo di quella notte deserta. Perfino in centro, nella piazza centralissima, non trovano nessuno.
“Ma qui sono spariti tutti. Non ci sono più abitanti?” si chiede a bassa voce Valerio, volgendo in giro gli occhi sempre più perplesso, sotto lo sguardo attento di due gatti.
“Sembra anche a me” sussurra Lara, e intanto soggiace alla suggestione che all’abituale allegria del giorno sia subentrata la calma spettrale e angosciante di una città morta. Con un lungo brivido abbraccia Valerio, gli si stringe addosso per sentire il suo calore e mormora: “Sento freddo. Sarà meglio che torniamo in pensione.”
E’ stato un giro notturno lungo e solitario. Entrambi camminano lenti e silenziosi sulla via del ritorno e soccombono all’impressione strana e fastidiosa di aver passeggiato in una città sepolcrale, abitata dai simulacri di un passato lontano riscossi dal loro sonno secolare, da spiriti inquieti e vaganti nelle tenebre, disturbati dal risuonare inusitato dei loro passi rumorosi e solitari. Non riescono a scacciare l’impressione inquietante che a un certo momento ci fosse stato qualcosa che si aggirava furtivo alle loro spalle, o che attendeva in silenzioso agguato dietro l’angolo di una buia calle.
Quando giungono verso la periferia, il cielo estivo vibra appena per la prima pallida luce del mattino. All’improvviso da una casa scende un debole vagito, una luce illumina una finestra. Lara alza gli occhi a quella luce, mentre una domanda destinata a non avere risposta le sfiora la mente. È forse quello un oscuro presagio, oppure è un augurio?