Incontri | ||
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di Mario Meggiato | ||
Dolce è la guerra a chi non l’ha provata; chi l’ha sperimentata, quando si avvicina, ne ha grande orrore.
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II prof. Filiberto Battistin è venuto presso la nostra scuola a presentarci il suo libro “La seconda nascita” scritto in memoria del padre Olindo: il partigiano Jean, testimone di un’esperienza tragica ed esaltante, vissuta durante la seconda guerra mondiale quando, da soldato, fu catturato dai tedeschi. “Olindo è morto sazio della vita non stanco della vita: è morto da coraggioso, serenamente, discretamente, da uomo perbene, rispettando il corso della natura”. II figlio Filiberto “aveva intuito che è destino d’ogni uomo nascere due volte nel corso della propria vita terrena”. “La prima nascita è un dono di Dio, della natura, dei genitori; la seconda è una conquista che ogni uomo è chiamato a compiere: la seconda nascita è un partorire se stessi” praticando, in questo modo, l’arte socratica della maieutica. Questa seconda occasione Olindo l’ha incontrata nel campo di concentramento di Mathausen allorché vide uccidere un bambino dalla guardia del campo: il bambino voleva, muovendosi gattoni, raccogliere dei fili d’erba in “zona proibita”; la guardia dall’alto della garitta gli sparò una fucilata facendogli esplodere la testa. Dopo aver assistito a questa terribile scena Olindo fece un voto a Sant’ Antonio: se fosse tornato vivo a casa avrebbe dedicato il tempo libero ad aiutare gli altri. Ciò come rifiuto di una morte assurda e come tentativo di dare un significato alla propria vita. Così fece. Dopo essere fuggito dal campo di concentramento e dopo aver partecipato attivamente alla resistenza in Francia, tornato in Italia, si forma una famiglia, gestisce un bar nel proprio paese, San Stino di Livenza, vive concretamente l’impegno che aveva assunto in quel terribile momento della sua vita, vive cioè aiutando, per quanto possibile, gli altri con entusiasmo e senza chiedere contropartite di sorta e, ciò che più conta, rispettando anche coloro che non la pensano come lui. Egli sottolinea il rispetto dell’uomo innanzitutto, considerando che far del bene è star bene. Egli realizza il precetto di Pindaro “diventa quello che sei”. Il concreto realizzarsi della resurrezione si realizza, infatti, diventando appunto ognuno quello che si è. L’esperienza della seconda nascita riguarda il padre di Filiberto, ma riguarda anche l’autore del libro. É proprio la perdita del padre e prima ancora la morte di un amico e maestro, che produce in Filiberto questo straordinario effetto. Occorre rinascere dunque (come dice Rousseau). È peccato non rinascere e riconoscere la diversità tra gli uomini. (L’uomo realizza se stesso come mera diversità) Olindo rinasce in campo di sterminio. L’esigenza di questa rinascita, per Olindo, dipende forse dal suo tentativo personale di dare un senso, una risposta, ad una vita ingiustamente e violentemente stroncata, davanti alla morte ognuno di noi assume un diverso atteggiamento. È possibile dare una risposta ad un tal evento? Forse ognuno di noi può provare a dare una propria risposta tuttavia, se questo tentativo immediatamente può assumere una valenza del tutto individuale, esso sicuramente va oltre il nostro personale che riguarda un singolo percorso ed assume una valenza “corale”; può, in altri termini, rappresentare un viaggio nella storia e nella filosofia per provare a conoscere, poiché “si conosce solo ciò che si ama”. Infatti, il percorso umano e personale di Olindo, che vive la tragicità della guerra, diventa motivo per raccontare e ricordare la storia che ha condizionato ciascuno di noi. Per ricordare e raccontare la storia della sofferenza di tanti uomini, donne e bambini che si sono trovati, loro malgrado, a vivere in quel tragico medesimo contesto, che ha condizionato ognuno di loro, ma che al tempo stesso, è stato vissuto da ognuno per scelte personali in modo diverso. Storia di sofferenza e di lotta dunque, che non può essere dimenticata, ma che al tempo stesso, ha preteso, forse in modo contraddittorio, la sua dimenticanza. Dimenticanza necessaria al proseguimento della vita. Non possiamo, infatti, vivere il presente senza memoria del passato: ne siamo sempre e in ogni caso parte. Pare, però, che Dio abbia creato la dimenticanza (essa, sembra, avrebbe un senso proprio perché permette la continuità della vita). La vita dunque presenta le sue contraddizioni, e a proposito di contraddizioni l’autore ne pone subito un’altra altrettanto drammatica: rispetto al comandamento cristiano “non uccidere” quale può essere la nostra scelta? Occorre resistere alla violenza? Oppure porgere l’altra guancia? Occorre perseguire la vendetta per il torto subito, per le sofferenze patite? Oppure dimenticare? Quale risposta? C’è forse una risposta univoca, universale? Ognuno la deve trovare al proprio interno. Filiberto conclude e pone ancora un problema col capitolo intitolato “La scomparsa delle lucciole”. Cita il poeta Pier Paolo Pasolini che testimonia la consapevolezza di una trasformazione antropologica in atto. Stiamo vivendo, infatti, all’interno di una trasformazione importante che ha modificato, in tempi relativamente brevi, e continua a modificare, talvolta in modo radicale, la nostra vita e insieme con essa le nostre relazioni interpersonali, le quali rappresentano la nostra ricchezza, forse l’unica. |