Storia dei Dogi
Qui comincia l’avventura.....
di Gabriella Tacchia

Da questo numero della nostra rivista inizia una ricerca su coloro che governarono
la “Serenissima”: i Dogi.
Alcuni di loro furono
pietre miliari, altri non
incisero più di tanto, ma
tutti hanno avuto la loro porzione di storia e contribuirono a formare
la storia gloriosa di Venezia.


Doge di Venezia, XVI secolo



Sala del Maggior Consiglio

Come si sa Venezia è una città molto antica ed è formata da ben 118 isolette. I primi abitatori provenivano dalla terraferma; cercavano un ambiente sicuro che li proteggesse dalla calata dei barbari provenienti dal nord Europa. Vivevano di pesca, di ortaggi e di tutto ciò che la natura offriva loro. Bisogna dire che si organizzarono molto bene ideando anche un sistema di governo molto originale, forse da imitare anche ai giorni nostri. La Serenissima Repubblica di Venezia durò più di un millennio ed è ancora ricordata come esempio di giustizia, rettitudine e severità. Il capo supremo era il Doge che si avvaleva della collaborazione dei Consiglieri.
Il dogato è una forma di potere che nasce nel 697 d.C. Una volta eletto ill doge era costretto a passare il resto della sua vita all’interno del Palazzo Ducale o della Basilica di San Marco. Egli è una figura di coordinamento per i poteri temporali e tuttavia acquisisce ben presto connotazioni religiose, diventando anche il capo della chiesa Marciana (da Marco Evangelista). Si avvale della collaborazione di preti (pievani) che studiavano la Bibbia ed erano molto ben informati, diversamente dai preti “romani”. Proprio per questa indipendenza ci furono tensioni con il Vescovo di Roma, comprese interdizioni papali a tutta Venezia. Tutto ciò permise a vari perseguitati di trovare rifugio in questa città, vedi Giordano Bruno che visse ben 12 anni a Venezia sfuggendo all’inquisizione (sappiamo poi come finì) a Galileo Galilei che a Padova poté lavorare alla teoria eliocentrica e che dovette poi abiurare a Pisa e a Roma. In 1200 anni di storia si avvicendarono ben 120 dogi e tra di loro vi furono grandi strateghi, santi, innovatori: ci fu un doge che si fece costruire un orticello nel Palazzo Ducale per allevare galline.
Il metodo di elezione del doge era studiato per impedire brogli e corporativismi. Da un’urna si estraevano delle palline chiamate “baote” , erano metalliche e indistinguibili al tatto, venivano estratte con delle manine di legno, delle specie di pinze e contenevano il nome del votato. Da queste “baote” deriva la moderna parola ballottaggio. Si facevano inoltre molte estrazioni a cascata, in modo che fosse impossibile (o almeno che occorresse molta fortuna) corrompere la giuria o fare giochi di potere per determinare l’eletto. Politicamente l’opinione del doge era nulla: infatti quando il collegio deliberava, egli doveva lasciare la sala. Prima di prendere i poteri, il doge doveva giurare fedeltà ossia impegnarsi a rispettare alcuni limiti che il Maggior Consiglio gli imponeva anche se contrastavano con i suoi interessi. In questa maniera si impediva che il doge potesse abusare del suo ufficio, e per garantire la cosa gli si faceva un processo post mortem, condannando gli eredi a restituire il mal tolto. Le competenze del doge erano limitate a rapporti con ambasciatori, prelati e alti ufficiali; inoltre decideva sulle questioni amministrative o ecclesiastiche.
Il doge una volta eletto non poteva dimettersi, a meno che il Maggior Consiglio lo invitasse a farlo, non poteva mescolarsi alla popolazione e non aveva guardie del corpo, non poteva esibire stemmi del suo casato sul palazzo Ducale.
Nei primi tre secoli di vita della Serenissima a Venezia vi furono ventotto dogi. Quattordici deposti dopo accecamento, taglio della barba e dei capelli per sfregio, oppure uccisi in rivolte; quattro preferirono abdicare, uno cadde in battaglia e solo nove morirono di morte naturale.
Ecco che naturalmente, soprattutto nei secoli IX-XII, alcuni dogi cercarono di trasformare il potere dogale in ereditario o di fare del doge un principe al di sopra degli altri nobili. Inizialmente si rimediò con il cavare gli occhi agli attentatori, ma in alcuni casi si dovette ricorrere all’esercito, come nel caso della cospirazione di Bajamonte Tiepolo.
La carica di doge era ambita per il valore simbolico che donava alle famiglie aristocratiche; lo sfarzo e la pompa che circondavano le cerimonie dogali la rendeva desiderabile da tutti coloro che aspiravano ad essere qualcosa di più che dei semplici nobili, ma i dogi stessi dovevano contribuire pesantemente al loro mantenimento, ed era quindi una carica molto costosa e di fatto appannaggio dell'aristocrazia ricca (vi era anche un'aristocrazia povera e poverissima).

Paolo Lucio Anafesto
Paolo Lucio Anafesto (o Paoluccio Anafesto) (Oderzo, data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) è stato un doge veneziano, secondo la tradizione primo Doge della Repubblica di Venezia nel periodo 697 - 717.
Si tramanda che, aiutato dal magister militum Marcello, avrebbe negoziato i confini della città insulare di Eraclea con Liutprando, re dei Longobardi. Sarebbe poi caduto vittima di una congiura di nobili di Malamocco ed Equilio che organizzarono una rivolta contro Eraclea, dove si trovava la residenza del Doge. Gli viene attribuita l’esecuzione dei primi lavori di fortificazione per difendere Venezia dalle incursioni dei pirati, nonché la costruzione dell’Arsenale militare. Secondo una tradizione, impossibile da verificare, sarebbe il capostipite della famiglia Falier.
L’esatta identità storica del personaggio non è del tutto accertata. Secondo un’ipotesi si identificherebbe con l’Esarca di Ravenna Paolo, ucciso durante la Guerra iconoclastica nel 727. Il nome Paoluccio (Paulicius) potrebbe derivare da un’errata trascrizione di Paulus Patricius, titolo attribuito all’Esarca. La zona paludosa e le isolette in cui si insediarono le popolazioni venetiche in fuga dalle incursioni longobarde era allora sotto il controllo di Bisanzio.

Orso Ipato
Orso Ipato (data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) è stato un doge veneziano.
Terzo doge della Repubblica di Venezia secondo la tradizione, salì al potere con un pronunciamento militare in mezzo a disordini di origine religiosa (infuriava allora in Italia e a Bisanzio l’eresia iconoclasta): i venetici prendono posizione contro l’iconoclastia e contro l’imperatore Leone III che ne era il propugnatore, e la forza militare marinara ammutinata venetica compie il primo atto di vera indipendenza politica, entrando in aperta ribellione contro l’impero longobardo e rompendo il trattato stipulato da Paoluccio Anafesto.
Quando i Longobardi assalgono l’Esarcato e la Pentapoli, Venezia scende in campo con i Bizantini e con un attacco combinato libera Ravenna: è la prima vittoria militare importante delle forze armate venete, che ha risonanza in tutta Italia, ed è inoltre un trionfo personale di Orso, che da Bisanzio riceve l’onorificenza di ipato (console) che poi i cronisti gli apposero come cognome. Alcuni storici affermano però che questo accadde sotto il magister militum Gioviano. Da Orso derivano le famiglie veneziane degli Orseolo, dei Dandolo e dei Bragadin.
Tuttavia, nonostante gli onori, Bisanzio non si fida affatto né del Doge né dei venetici, che tiene sotto sorveglianza per tramite dell’Esarca, che si era rifugiato presso Orso. E dieci anni dopo, come era arrivato il consolato arriva anche la morte per Orso, “ucciso da acre livore”, e suo figlio Diodato fu mandato in esilio: non è chiaro se ciò sia accaduto perché stava congiurando con i Longobardi contro Bisanzio.
La fine di Orso stimolò la fantasia di molti scrittori minori, fra cui Giovanni Pindemonte e Anton Giuseppe Spinelli, che scrissero su questa vicenda due tragedie, il primo nel 1797 e il secondo nel 1854.
Dopo di lui, per un periodo di cinque anni i capi della comunità di Eraclea furono magister militum in carica per un anno, probabilmente controllati dall’esarca bizantino di Ravenna. Furono Leone, Felice Cornicola (che fece rientrare dall’esilio Diodato, il figlio del doge Orso), Diodato medesimo (che forse fu nominato per due mandati successivi), Gioviano (che avrebbe ottenuto dall’imperatore d’oriente la dignità di ipato, per quanto detto sotto Orso), e infine Giovanni Fabriciaco, che fu accecato e cacciato dai venetici nel 742.

Teodato Ipato

Teodato Ipato (o Diodato) (data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) è stato un doge veneziano.
Fu il quarto Doge della Repubblica di Venezia. Assume il dogado cinque anni dopo la morte di Orso Ipato, suo predecessore: la morte di quest’ultimo infatti aveva segnato un breve ritorno al vecchio regime dei magistri militum sotto l’influenza dell’Esarca e quindi di Bisanzio, per cui si erano succeduti annualmente Leone Domenico, Felice Corniola, Orso Diodato e Gioviano, insignito questo del titolo di Ipato per avere reinsediato l’Esarca a Ravenna. Una volta che l’Esarca fu lontano da Eraclea, dove risiedeva allora il governo dei venetici Gioviano fu accecato, rasato a zero per sfregio e scacciato. La sede del governo venne trasferita da Eraclea a Malamocco e venne eletto Doge il magister militum Teodato, benvisto da Bisanzio che lo insignisce subito del titolo di Ipato, al solito adottato poi dai cronisti come cognome. Teodato è però sempre espressione della volontà locale, che si va facendo sempre più forte: da questo momento in poi la carica di Doge è molto delicata, dovendo servire insieme i venetici, l’impero longobardo e quello d’Oriente: spesso il Doge sarà preso a capro espiatorio e sacrificato sull’altare della politica estera venetica.
La storia di Teodato è, in questo senso, esemplare: dopo aver costruito il castello di Brondolo come difesa dai Longobardi (ma anche per controllare le rotte delle navi fra Ravenna e la laguna), non interviene in difesa di Ravenna quando Astolfo la assedia e la conquista, ma anzi rinnova l’antico trattato concluso con Liutprando, cosa che gli aliena le simpatie di Bisanzio. Dopo l’arrivo dei Franchi di Pipino il Breve, che scacciano le truppe di Astolfo, Teodato è politicamente isolato e fra i venetici nasce una congiura, con a capo Galla Lupanio, per liberarsi di una figura che ormai era loro soltanto di peso: Teodato viene accecato, rapato a zero e scacciato.

(continua...)