Per non dimenticare
a cura della redazione.

Della nostra redazione fa parte Aldo Ghioldi conosciuto soprattutto per la sua abilità nell’uso del computer e per la sua disponibilità. Non tutti però sanno che è stato un vigile del fuoco e quindi abbiamo deciso di intervistarlo per scoprire qualcosa della sua professione passata.

 

 


Scuole Centrali Antincendio Capannelle - Roma.
Castello di manovra.

 


APS: Autopompa Serbatoio

 


Vigili del fuoco in azione.

 

 

Aldo, sei pronto per le nostre domande?

Si certo, chiedete pure.

Allora, vorremmo sapere la motivazione che ti ha orientato a intraprendere la professione di vigile del fuoco.

Quando ero bambino mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo sempre, il vigile del fuoco.
Era una risposta facile. Mio padre era un vigile del fuoco e con la sua divisa, con il suo comportamento e con ciò che mi raccontava dei loro compiti, dei loro interventi faceva crescere sempre più in me la voglia di diventare anch’io un vigile del fuoco. Ero fiero di mio padre e quando qualcuno mi chiedeva che mestiere faceva, orgoglioso rispondevo:
“IL VIGILE DEL FUOCO!”.

In pratica fin da piccolo sognavi di diventare vigile del fuoco e perciò ti chiediamo quando hai potuto realizzare il tuo sogno?

All’età di 19 anni, con la chiamata al servizio militare, feci domanda di poterlo fare come vigile del fuoco ausiliario. Mi sottoposi, presso la Sede Centrale di Ca’ Foscari, alle visite psicofisiche e alla prova del mestiere e fui dichiarato idoneo. Nel luglio del 1960 nelle Scuole Centrali Antincendio delle Capannelle di Roma, frequentai il corso che, allora, durava quattro mesi. Quattro mesi di duro, durissimo addestramento tra esercizi fisici, prove varie di intervento, esercitazioni al castello di manovra, che chiamavamo il K2 per la sua altezza, e lezioni teoriche. Al termine del corso fui assegnato al Comando Provinciale di Vicenza.

Chissà quanti interventi pieni di pericolo avrai fatto, vuoi raccontarcene uno?

La mia prima esperienza di intervento la feci qualche giorno dopo il mio arrivo al Comando di Vicenza.
Facevo parte della 2^ partenza d’intervento.
Nel tardo pomeriggio il centralinista, con voce alquanto allarmante, comunicava, tramite l’altoparlante, prima, e con differenti squilli di campanello, poi:

“Prima partenza, prima partenza e carro schiuma per fuoriuscita di gas liquido da una cisterna in una stazione di rifornimento!”.

Subito dopo altre chiamate e squilli di campanello per l’uscita dell’autoradio con l’ufficiale di servizio seguita immediatamente da quella del comandante ing. Fondelli.
Non passarono molti minuti che dovette uscire anche la 2^ partenza.
Arrivati sul posto in pochi minuti spegnemmo l’incendio e chiudemmo la valvola che aveva provocato la fuoriuscita del gas liquido dalla cisterna, ma ci accorgemmo che i nostri colleghi intervenuti per primi erano alquanto strani.
Che cosa era successo?
Un grande scoppio!
Il gas liquido fuoriuscito dalla cisterna aveva invaso, oltre ad un capannone della stazione di rifornimento, anche una grande zona aperta compresa la strada dove transitavano gli automezzi a motore. La strada era stata bloccata e i mezzi a motore tenuti a distanza. Il comandante ing. Fondelli e un vigile indossarono l’autoprotettore Draeger e si diressero verso la cisterna per chiudere la valvola da dove fuoriusciva il gas. Mentre si apprestavano a fare questo avvenne lo scoppio. Si disse che la nuvola di gas avesse raggiunto, sulla strada, un motorino rimasto acceso per l’incuria del suo conducente e questo avrebbe innescato lo scoppio. Uno scoppio talmente forte che i colleghi di primo intervento si trovarono, per lo spostamento d’aria, oltre la strada dentro ad un fossato ed il Comandante e il vigile furono ricoverati in ospedale con varie ferite, ma, per fortuna, non in pericolo di vita. Si pensi che i loro autoprotettori furono trovati a 100 metri circa da dove si trovavano loro.

Impressionante il tuo racconto, certo questi episodi ti sono rimasti indelebili nella mente. Quanto tempo sei rimasto a Vicenza?

Durò un anno il mio servizio al Comando di Vicenza e fu un anno di grande esperienza. Tutto quello che imparai in questo periodo di tempo, mi servì quando fui assunto come vigile del fuoco permanente e poi quando passai caposquadra. Questo insegnamento lo devo ai vigili del fuoco “anziani”.

Cosa intendi per “anziani”?

Per “anziani” si intende coloro che furono assunti in tempo di guerra e che una volta finita, per non “cacciarli”, furono inquadrati con la qualifica di “vigili del fuoco volontari in servizio continuativo” subendo nel tempo, anche delle umiliazioni.
Una qualifica che li inquadrava, gerarchicamente, al di sotto dell’ultimo vigile assunto con la qualifica di “permanente”. Uno schifo!
Questi vigili “volontari” avevano una grande esperienza non solo per la quantità di interventi fatti nel tempo, ma anche per l’esperienza di lavoro manuale.
La squadra era formata, in linea di massima, oltre che da un caposquadra e un autista, da un muratore, da un elettricista e da un falegname. All’appello e quindi all’assegnazione dei ruoli in base alla loro anzianità di servizio, i vigili rispondevano con un numero, 1 - 2 - 3 o 4. Ciò avrebbe dovuto significare che il vigile che rispondeva al numero più basso era il più affidabile. Per questi capisquadra “volontari” questi numeri non valevano affatto. Essi, in base alla richiesta di soccorso e durante il percorso dall’uscita dalla Sede al punto di intervento, guardavano il personale a loro affidato e in base alla loro opinione ed esperienza, affidavano ad ognuno il loro compito. Questo metodo, da caposquadra, l’ho usato anch’io.
Lasciatemi peccare d’orgoglio. C’era qualche vigile un po’ avanti con l’età e con la salute non proprio a posto. Quando erano di prima partenza e non si sentivano troppo bene, mi chiedevano se potevo sostituirli. Lo facevo con grande piacere anche perché godevo della fiducia dei capi partenza.

Quanta veemenza nelle tue risposte! Devi avere amato veramente il tuo lavoro. Questo è il tuo passato da ausiliario. E da effettivo?

Nel febbraio del 1962 venni assunto temporaneamente, presso il Comando Provinciale di Venezia e per quattro mesi ci trovammo, sotto allo stesso tetto, padre e figlio con la stessa divisa. (Mio padre fu collocato a riposo nel mese di maggio.)
Ogni sei mesi ero licenziato e riassunto. Questo durò fino al primo marzo del 1968, quando, finalmente, la mia qualifica passò da temporaneo a permanente.

In quali e quanti posti hai prestato servizio?

Prestai servizio presso la Sede Centrale di Ca’ Foscari, di Mestre e dell’Aeroporto di Tessera.
Con il primo di ottobre 1987 chiesi e ottenni di essere collocato a riposo.
Chiesi di essere collocato a riposo prima del raggiungimento dell’età massima consentita. Questo mi costò caro emotivamente, perché mi piaceva il mio lavoro, ero orgoglioso di appartenere ad un “corpo” il cui servizio è in aiuto del cittadino, ma i tempi, a mio parere, erano cambiati e non c’era più rispetto dei ruoli. Posso dire che in questi anni di servizio ho seguito e partecipato attivamente, sul posto, a tutte le calamità naturali che si sono susseguite in Italia: dal Vajont, alle alluvioni, al terremoto in Sicilia, ad Ancona, nel Friuli, in Campania e Basilicata.
Una testimonianza sulla tragedia del Vajont e sul terremoto in Campania, l’ho già data nella nostra rivista di Ep n° 16.

Raccontaci come si svolgeva una tipica giornata di servizio.

Una giornata di servizio di allora si svolgeva come segue:

Alle ore 08:00 adunata di tutto il personale montante e smontante. Appello e assegnazione dei ruoli.

Dalle ore 08:05 alle ore 08:15 controllo dei mezzi di soccorso.

Dalle ore 08:15 alle ore 09:00 istruzione. Lezioni teoriche o pratiche.

Dalle ore 09:15 alle ore 11:45 ognuno al proprio posto di lavoro. Chi in officina meccanica, chi in falegnameria, chi in vari uffici.

Dalle ore 12:00 alle ore 14:30 pranzo e riposo.

Dalle ore 14:30 alle ore 17:45 ognuno al proprio posto di lavoro.

Alle ore 18:30 cena.

Alle ore 20:00 adunata di tutto il personale montante e smontante. Appello e assegnazione dei ruoli.

Dalle ore 20:05 alle ore 20:15 controllo dei mezzi di soccorso.

Alle ore 23.00 silenzio e tutto il personale “doveva” essere a letto.

Alle ore 06:30 sveglia.

Dalle ore 06:30 alle ore 07:00 pulizia personale.

Dalle ore 07: alle ore 08:00 esercitazioni.

In qualsiasi momento, nell’arco delle 24 ore, fosse suonato il campanello d’allarme, il personale chiamato a detto intervento, avrebbe abbandonato immediatamente ciò che stava facendo e sarebbe salito sul mezzo di soccorso assegnatogli.

 





Venezia, 4 novembre 1966.

Ci racconti come hai vissuto la giornata del 4 novembre del 1966?

Ve la racconto per sommi capi.
In quel periodo prestavo servizio come centralinista al Distaccamento dei vigili del fuoco di Mestre. Ricordo che in quel giorno i telefoni di soccorso non smettevano mai di squillare.
Richieste di aiuto venivano da tutta la provincia di Venezia. In quel drammatico giorno Venezia, le isole ed i litorali furono aggrediti dalle acque provenienti dal mare e dall’entroterra lagunare.
Il centro storico e le isole si troveranno sommerse per più di mezzo metro con gravi danni al patrimonio artistico.
Vengono travolte dal mare le difese dei murazzi e Pellestrina, duramente colpita, subisce l’evacuazione di più di duemila persone, e nella stessa Venezia oltre milleduecento persone sono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, trovando riparo in pensioni.
Tutti i vigili del fuoco di turno libero e quelli in licenza vengono richiamati in servizio e vi rimarranno fino a emergenza ultimata.
Uomini e mezzi disponibili vengono dirottati, a mezzo radio-trasmittente, dando priorità alle persone in pericolo. Tutti i comandi dei vigili del fuoco d’Italia possono sentire, collegandosi con i vari canali d’accesso, l’evolversi della situazione. In molti momenti qualcuno chiede il silenzio radio per meglio comunicare con le proprie squadre di soccorso. Una richiesta di silenzio assoluto viene da una squadra che sta operando a Prata di Pordenone.
Il testo della comunicazione fu pressappoco questo: “Un anfibio dell’Esercito che stava portando soccorso a famiglie che, nelle case allagate, si trovavano in difficoltà, a causa di un pauroso avvallamento si è capovolto. All’interno di questo anfibio oltre al personale militare si trovavano anche due vigili del fuoco ausiliari. Tutto il personale militare è riuscito a salvarsi, ma per i due vigili non c’è stata via di scampo, sono rimasti prigionieri all’interno del mezzo di soccorso perdendo la vita”.
Come si può immaginare, tra noi vigili del fuoco scese il gelo. Ci fu chi si sfogò con il pianto, altri ammutolirono.
I due ventenni vigili ausiliari prestavano servizio presso il comando di Pordenone ma erano nativi uno di Venezia e l’altro della Sardegna.
Poco dopo tale nefasta notizia arrivò, al centralino del Distaccamento di Mestre, l’ispettore generale del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia. Si attaccò alla radio-trasmittente e con un tono di voce alterato chiese, al comandante di Pordenone, dov’era al momento della disgrazia.
Sia io che gli altri vigili e sottoufficiali presenti ci guardammo stupiti perché il comandante in questione era un bravissimo e capace ufficiale. Si trattava dell’ingegnere Giuseppe Tatano già nostro ufficiale a Venezia e quindi da noi conosciuto come capacità e umanità, l’unica sua colpa era quella di essere il comandante.
Anni dopo l’ingegnere Giuseppe Tatano tornerà a Venezia come comandante e concluderà la sua brillante carriera da Ispettore Generale.


Grazie Aldo sei stato esauriente e bravo come sempre.

Abbiamo appreso cose che non sapevamo, sappiamo che ci sono tante persone che aiutano con il loro lavoro chi viene colpito da calamità naturali e vorremmo prendere l’occasione per ringraziare tutti i vigili del fuoco, che oggi, come tu Aldo hai fatto ieri, vigilano sul benessere di noi cittadini.

Il castello di manovra è un edificio a più piani dove i vigili del fuoco si esercitano al salto su telo tondo o a scivolo, all’innesto della scala all’italiana o alla scalata tramite la scala a ganci.
Le scale costituiscono una voce molto importante nell’attrezzatura dei vigili del fuoco, sia durante le manovre di salvataggio che per lo spegnimento di incendi e altri compiti.
La scala all’italiana è costituita da quattro tronchi che si innestano per formare l’attrezzatura più appropriata alle esigenze. I primi tre tronchi sono uguali tra loro mentre il quarto (cimetta) è più corto.
La scala a ganci serve a dare la scalata agli edifici dall’esterno utilizzando i balconi, le finestre o altri appigli come punto di aggancio. È lunga 4,85 m., copre cioè il passaggio da un piano all’altro in ogni tipo di edificio.
2^ partenza. Quanto personale e mezzi di soccorso assegnare ad una Sede Centrale o a un Distaccamento dipende dalla casistica di interventi sul territorio. I distaccamenti della Provincia di Venezia quali, parlo di venti anni fa, Marittima, Marghera, Lido, S. Elena, Cavarzere, San Donà, Portogruaro, Mira e Chioggia, avevano sei-sette persone per turno (il minimo per comporre una squadra) e uno o due mezzi di soccorso. In questi Distaccamenti é evidente che esisteva una sola partenza di intervento. Mentre la sede centrale di Ca’ Foscari, il distaccamento aeroportuale di Tessera e quello di Mestre avevano una ventina di persone per turno e vari mezzi di soccorso.

Il distaccamento di Mestre era così organizzato:

1^ partenza “autopompa serbatoio”
2^ partenza “autopompa serbatoio o autogru”
3^ partenza “autopompa serbatoio o furgone con attrezzatura varia per apertura porta, ascensore bloccato, perdita d’acqua ecc.”
4^ autobotte o autoscala o carro schiuma
5^ autolettiga
6^ autoradio

L’autoprotettore Draeger lo si indossava tipo zaino ed era costituito da un involucro metallico, al cui interno si trovava un sacco polmone con valvola riduttrice di pressione, una bombola di ossigeno, una cartuccia contenente dei sali per la depurazione dell’aria espirata. All’esterno un manometro per controllare quanto ossigeno avere a disposizione, due tubi corrugati per collegare il facciale alla cartuccia depuratrice e al sacco polmone isolando così l’operatore dai gas nocivi.

Umiliazioni. A quel tempo i vigili avevano il compito, oltre ai turni di guardia, di pulire tutti i locali della sede dove prestavano servizio, e a turno di lavare le stoviglie e dove non ci fosse stato un cuoco volontario, cucinare. I vigili assunti con la qualifica “permanente”, per anzianità, (dopo dieci anni circa) venivano nominati “vigili scelti” escludendoli da tutti i servizi sopraccitati.