La pagina di rosetta
“una comune legge di giustizia per l’ampio dominio dell’etere,
senza intervalli, si estende, e per le sterminate regioni della luce”
(Empedocle, fr. 135)
a cura di Gabriele Stoppani

Ritengo utile arricchire la pagina di Rosetta con quest’articolo di Paolo Scroccaro pubblicato sulla rivista dell’Associazione Eco-Filosofica di Treviso cui il “Saba” è abbonato.
Il titolo è un pò altisonante e l’occhiello di Empedocle affascinante, ma oscuro: eppure la riflessione di Scroccaro è di una semplicità allarmante quanto inquietante; se in epoca moderna il problema etico “riguardava unicamente il rapporto tra uomo e uomo ... oggi coinvolge l’uomo e la natura, la sfera del non umano, non più interpretabile come materia a disposizione dell’arbitrio tecnico-scientifico”.
Inoltre le note in calce all’articolo migliorano e stimolano la conoscenza filosofica degli appassionati.


 

Oggi, in campo etico, regna uno smarrimento pressoché totale: ai poli estremi dei comportamenti odierni, incontriamo un cinico assenteismo morale (36), oppure un grigio bigottismo, quasi sempre associato al fondamentalismo religioso, che vorrebbe imporre assurde e autoritarie prescrizioni, sulla base di interpretazioni come minimo molto discutibili e superficiali di qualche testo sacro.
In mezzo tra questi opposti estremismi, predomina un grande disorientamento: sia pur confusamente, molti avvertono che i sistemi morali inventati dalla modernità, a lungo ritenuti superiori a quelli del passato, in realtà non funzionano ed anzi sono addirittura controproducenti. Si pensi per esempio alla morale razionale di Kant, che per qualche attardato è ancora un punto di riferimento: apparentemente presentabile, in realtà ha giustificato l’antropocentrismo più sfrenato, la separazione tra uomo e natura, e ha condotto alla strumentalizzazione e alla devastazione di quest’ultima, in nome del progresso morale e civile della ragione! Le cose non vanno meglio per le altre formulazioni della morale che si sono avvicendate nel corso della modernità: con esse Nietzsche e Schopenhauer hanno già fatto i conti, senza che si debba aggiungere molto, per quanto riguarda la loro epoca. Il disordine civile e lo smarrimento morale che oggi imperversano, sono il frutto di tali fallimenti: conseguentemente, le persone che non hanno perso del tutto il senso della giustizia e della responsabilità morale cercano altri punti di riferimento, ben sapendo che in una civiltà troppo corrotta, conflittuale e devastatrice non ci si può sentire a casa e non si può vivere...(37) Le grandi e nuove emergenze del nostro tempo, hanno dato un forte impulso alla ricerca di una nuova etica, in grado di fronteggiare la prepotenza tecnologica, le ossessioni sviluppiste e gli sconvolgimenti ecologici. Per dirla in breve: nell’età moderna il problema etico riguardava unicamente il rapporto tra uomo e uomo, e la morale kantiana esemplifica in modo eccellente tale ristrettezza di vedute. Oggi invece eventi molto allarmanti ci costringono a superare comunque punti di vista così angusti e piccini, richiedendo essi una riflessione etica che coinvolge anche il rapporto uomo-natura, cioè il rapporto con tutta la sfera del non-umano (38), non più interpretabile come semplice materia malleabile (39) a disposizione dell’arbitrio umano e tecnico-scientifico (40). La pedagogia delle catastrofi, che probabilmente diventerà sempre più severa nei confronti dell’irresponsabilità degli umani, costringe a mutamenti profondi: si scopre così che ogni nostra azione comporta contraccolpi di diversa entità che si ripercuotono molto lontano, lungo tutti gli anelli della concatenazione cosmica e coinvolgendo gli innumerevoli nodi della rete della vita, proprio come dicevano certe antiche saggezze; proprio per questo esse, per troppo tempo ignorate o derise, godono di una certa riconsiderazione, non dovuta solo a mode passeggere. La consapevolezza della grande rete della vita, in cui tutti gli enti e gli eventi sono relazionati, spinge a recuperare un senso più elevato, e forse antico, della giustizia, in quanto capace di apertura cosmica (41); ciò comporta un’etica compassionevole, cioè un’etica del rispetto per tutti gli esseri, e non solo per qualche ente privilegiato (42). Basterebbe questo per giustificare l’attenzione rivolta a certi simbolismi unitivi delle cosmologie tradizionali, incluse quelle che appartengono a tradizioni occidentali. Si tratta di immagini totalmente trascurate o incomprese nella nostra manualistica, che preferisce attardarsi su aspetti eruditivi e cerebralistici poco appetibili, rendendo un pessimo servizio alla filosofia, alla cultura scolastica e alla formazione dei giovani (e degli adulti) (43).
Portando alla luce certi aspetti notevoli della cultura greco-italica e di certe altre saggezze, perfettamente compatibili con gli sviluppi più profondi delle scienze e dell’ecologismo contemporanei (essi possono - anzi devono - rafforzarsi a vicenda), si educa ad un atteggiamento pensoso e responsabile verso la nostra stessa tradizione, e verso le emergenze del mondo contemporaneo: il che costituisce un passo indispensabile, al fine di un auspicabile riorientamento di civiltà.
Paolo Scroccaro

36 L’attuale assenteismo morate può avere molteplici motivazioni. Secondo U. Galimberti, il disimpegno odierno è correlato alla massificazione, all’omologazione e al dispositivo tecnologico nel quale siamo tenuti ad operare: tutti questi fattori fanno funzionare il sistema in modo da annullare il principio della responsabilità personale, il che spiegherebbe il tramonto dell’etica nel mondo contemporaneo (vedi Psiche e decime, Feltrinelli, 1999, pag. 609, 610, 617, 618).
37 Si chiede giustamente Gino Ditadi: “Che cosa significa, in un quadro del genere, affermare ancora, e con tracotanza, che l’uomo deve soggiogare la Terra? Non sarebbe tempo di assegnare all’uomo, con tutta l’urgenza che la situazione richiede, un compito più alto, quello, per esempio, di liberare la Terra?”. Poco oltre, rivalutando certi aspetti della tradizione occidentale, aggiunge: “La Grecia può aiutare il mondo a riprendere vie che sono state stroncate dalla barbarie, può insegnare a prendere per mano la Terra, difendere ostinatamente la vita e l’umanità tormentata” (vedi la Premessa a Teofrasto, Della pietà, Isonomia, 2005, pag. 10 e 12). Commentando l’opera di Teofrasto, Ditadi ci ricorda l’esistenza nell’antichità di altari incruenti, talvolta noti come “altari degli uomini pietosi” (vedi pag. 75, 178, 235, 237). Essi testimoniano la presenza di un’etica compassionevole, che in qualche modo incideva sulla vita civile dell’epoca.
38 Come insegna Gary Snyder, “dobbiamo cercare di vivere senza causare inutili danni, non solo ai nostri compagni umani, ma a tutti gli esseri... C’è comunque abbastanza dolore nel mondo così com’è” (Ri­abitare nel grande flusso, Arianna, 2001, pag. 34).
E inoltre: “Se la terra diventerà il nostro terreno comune, potremo di nuovo iniziare a parlarci l’un l’altro (umani e non umani)” (ibidem, pag. 75). Snyder invita a recuperare quella capacità di comunicazione cosmica, di cui erano titolari i nostri antichi predecessori, essendo essi in grado di sperimentare concretamente l’armonia e l’intimità con la natura: “Orfeo... sapeva addolcire affascinandoli gli spiriti selvaggi e incolti, e aveva la reputazione di incantare non solo le belve, ma anche le pietre e le piante” (Quintiliano, I, 10).
39 Per contrasto, riportiamo in estrema sintesi la diversa visione degli antichi: “...presso Orfeo le opere della natura sono chiamate gloriose” (Proclo, Commento al Timeo, 21 d).
40 A tal proposito, riportiamo questo giudizio di Luisa Bonesio: “Come affermano tutte le grandi tradizioni culturali e spirituali e gli attuali pensatori dell’ecosofia, la Terra è parte di noi stessi, del nostro Sé: non è quella dimensione materiale e inerte di cui poter fare ciò che si vuole, magari nella pretesa di correggerla, come vorrebbe la tecnoscienza moderna” (Oltre il paesaggio. Arianna, 2002, pag. 94).
41 Proclo conferma che anche prima della nascita della filosofia greca, l’estensione cosmica della giustizia era la nota predominante presso l’antica poesia sapienziale: “E presso Orfeo si dice che Adrastea custodisca l’intera natura” (Teologia platonica, IV, 16, 206, 4).
Similmente Damascio, il quale fornisce qualche ulteriore specificazione a proposito di “Ananke, che ha la medesima natura di Adrastea, incorporea, diffusa in tutto il cosmo, fino ad abbracciarne i confini” (Sui principi, 123 bis). Adrastea, citata dai due Neoplatonici, ha un significato prossimo a quello di Giustizia e di Nemesi; entrambi gli autori ne evidenziano la portata cosmica già nella poesia orfica.
42 “Riconoscere ciò che non è umano, ciò che lo apparenta al reticolo dell’essere è la massima difficoltà per l’uomo contemporaneo”, ha scritto Luisa Bonesio, individuando in ciò un limite della cultura attuale che occorre forzare per andar oltre (vedi Passaggi al bosco, Mimesis, 2000, pag. 155).
43 Da qualche parte, H. Hesse si è espresso cosi: “... lungo il cammino dello stupore sfuggo per un attimo al mondo della divisione ed entro nel mondo dell’unità. Nelle nostre scuole non si insegna a percorrere le più semplici vie della saggezza; anzi, invece dello stupore vi si insegna l’esatto contrario: il contare ed il misurare invece dell’incantarsi, la freddezza invece della meraviglia, il fisso attaccamento alle singolarità separate invece che l’unione col tutto e con l’Uno. Queste scuole non sono scuole della sapienza, ma scuole del sapere”.