Problemi sociali
di Graziella Naccari e Graziella Mazzoni

La malattia di Alzheimer
rappresenta il 60% di tutte le demenze, prende il
nome da Alois Alzheimer (1864-1915), neurologo attivo ad Heidelberg e poi a Monaco, che ne descrisse
tra il 1906 ed il 1911 le principali caratteristiche microscopiche cerebrali.


 

 

 

È troppo doloroso accettare impotenti il declino della memoria delle persone a te care.
Diversi anni fa mia suocera rimasta vedova da poco, ha cominciato ad avere piccoli problemi di memoria, come dimenticare i nomi e i numeri telefonici. Non ci siamo preoccupati più di tanto, davamo colpa alla smemoratezza dovuta all’età, ma con il passare del tempo la cosa ha cominciato a preoccuparci. Una volta, lo ricordo ancora con angoscia come fosse ieri, avevamo festeggiato la vigilia di Natale con tutti i familiari a casa mia, e lei era rimasta anche a dormire: nel mezzo della notte mi sono sentita chiamare da lei con voce angosciata. Doveva andare in bagno e invece l’ho trovata nello stanzino, si era persa in casa ed era disperata perché non sapeva dov’era e chi l’avesse portata lì. Dopo questo episodio ne sono successi altri, si perse a cento metri da casa dove abitava da sempre, scambiava la notte con il giorno, vagava senza meta, si vestiva mettendosi due paia di calze e se le chiedevi il perché, ti rispondeva che non era stata lei. Poi ha avuto manifestazioni di violenza, accusava tutti di rubare le sue cose. In seguito la malattia degenerò sempre più. Fu una decisione dolorosa posteggiarla in una Casa di Riposo, ma non si poteva proprio tenere a casa, anche per garantirne la sua stessa incolumità. Ora alla veneranda età di novantun’anni non riconosce neanche i suoi figli, per lei è importantissimo solo il mangiare. É così triste accettare questa brutta malattia!...

Un giorno a scuola c’è stata una conferenza, del prof. Mello sulla malattia di Alzheimer; vi ho assistito con interesse. Volevo comprendere di più questa malattia ed è stato sì, interessantissimo e istruttivo, ma anche inquietante sapere che per questa patologia purtroppo non c’è nessun rimedio. Ho deciso, assieme a sei altre corsiste del C.T.P. di dedicare qualche ora del mio tempo a queste persone. Abbiamo partecipato a Marghera ad un Corso di formazione per volontari su “la malattia di Alzheimer: aspetti relazionali e di gestione delle problematiche comportamentali”.
Il nostro volontariato è iniziato nella nostra scuola. Venivamo il sabato mattina alle nove, subito dopo arrivavano i malati per la terapia di gruppo accompagnati dai loro familiari che tornavano a prenderli a mezzogiorno. Nelle tre ore successive il nostro compito era quello di cercare di risvegliare nelle loro menti ricordi perduti, facendo loro annusare odori vari, quali profumi o fiori, oppure di stimolarne il tatto, facendo loro toccare stoffe di velluto o lane. Se invece c’era il musicoterapeuta, cantavamo assieme canzoni dei tempi passati, e loro partecipavano con entusiasmo.
Concludo: questa mia esperienza è stata positiva, dedicando qualche ora del mio tempo libero a queste persone, esse mi hanno arricchito di un amore che forse non conoscevo. Mi ha fatto solo bene questa esperienza e la consiglierei anche a voi per una più ampia consapevolezza.

Graziella Naccari

Io, a differenza della mia amica, non ho avuto malati di Alzheimer in famiglia, per cui la mia decisione di diventare volontaria è stata dettata un po’ dall’impulso, che ahimè fa parte del mio carattere ma soprattutto dal desiderio di aiutare chi ha bisogno. Questa è la descrizione della mia prima esperienza.
Guardare negli occhi un vecchio, ammalato di Alzheimer, è come guardare in un pozzo profondo nel quale si agitano tanti sentimenti che si mescolano tra loro a seconda dell’umore o della giornata. La desolazione, la tristezza, si tramutano spesso in un eccesso di ilarità, ma sempre si può notare ancora tanta voglia di vivere.
Quando ho accettato di fare la volontaria per i malati di Alzheimer ignoravo tutto di questa tremenda malattia. Anche quando mi hanno spiegato il ruolo marginale che avrei avuto nell’assistere i malati, non pensavo ad un totale coinvolgimento emotivo da parte mia. Ebbene, appena sono entrata in contatto con il gruppo, ho capito subito che la mia fragilità e sensibilità mi sarebbe stata di ostacolo. Vedere delle persone, all’apparenza normali, e scoprire invece che non erano nemmeno in grado di esprimersi, né di organizzare il loro presente e ricordarsi poco del passato, è stato traumatico e il mio cuore si è gonfiato di pietà e tristezza. Ho dovuto farmi forza per non abbandonare il volontariato. Con la mia caparbietà ho ricacciato in un angolo del mio essere la compassione, deleteria per i malati e mi sono imposta di non farmi prendere dallo sconforto per la loro sorte e quindi ho reagito positivamente. Ho iniziato a conoscerli uno ad uno, ad assecondare i loro desideri, quando è possibile, a scoprire i loro pregi e le loro debolezze; insomma anche ad amarli. In poche parole, li ho accettati per come sono.

Graziella Mazzoni

Come si manifesta la malattia?

Nel 1906 il prof. Alzheimer descrisse il caso di una donna di 51 anni, per quel tempo già anziana, con disturbi della memoria e delirio: una volta deceduta presentò poi all’autopsia un quadro molto particolare a livello cerebrale. 
Le persone affette da malattia di Alzheimer non presentano tutte gli stessi sintomi, nel medesimo ordine e con la stessa intensità. Tuttavia la malattia, permette di delineare grosso modo tre stadi. La descrizione che segue per quanto lungi dall’essere esauriente può aiutare le persone che assistono i malati a sapere in modo approssimativo cosa debbono aspettarsi e a prepararsi in anticipo sia fisicamente che psicologicamente.

Cause

Le cause sono sconosciute. Ci sono diverse teorie: alcuni studiosi ipotizzano una sola causa, altri parlano di più fattori compresenti. Tra questi: una predisposizione genetica; fattori esterni (ad esempio un virus, anche se non è dimostrato che l’Alzheimer sia contagioso); disordine del sistema immunitario, che non riconosce più il cervello come proprio e l’autoaggredisce: sostanze tossiche; fattori psicosociali (depressione, trauma cranico, reazione allo stress…).

I principali disturbi cognitivi nel morbo di Alzheimer…

Amnesia: perdita totale o parziale della memoria.
Immaginatevi di svegliarvi amnesici:
Come mi chiamo? Dove sono? Che giorno è oggi? Noi siamo la nostra memoria, che è fatta di prima, di un adesso e di un domani.
Afasia: difetto di adattamento delle parole all’idea, sia che si tratti di un’idea da espri-mere o da comprendere.
Provate a pensare se all’improvviso non riusciste a denominare un oggetto, pur sapendo che cosa è. Il linguaggio di un afasico inizia con “non mi viene il nome, sarà l’età”, “l’ho sulla punta della lingua…”. Poi non si riescono più a reperire le parole (anomie), e le frasi diventano semplici e lacunose. In una fase successiva appare una forma di logorrea fatta di lunghe frasi senza senso, intercalate da alcune parole congrue, ma soprattutto da parole “chiave” che sostituiscono i sostantivi dimenticati.
Agnosia: disturbo del riconoscimento degli oggetti e delle persone, indipendentemente da un deficit sensoriale.
Immaginatevi di svegliarvi e di non riconoscere più i volti a voi cari, le cose diventano oggetti senza nome, senza senso, senza storia. Le cose e le persone non dialogano più con l’immagine che ognuno di noi se ne è fatto dentro. L’agnosia è proprio questo, la scomparsa del significato intimo che noi assegniamo alle cose.
Aprasia: difficoltà o incapacità nel compiere movimenti mirati in assenza di paresi.
Immaginatevi di svegliarvi e di accorgervi che le vostre mani non riescano a chiudere il bottone della camicia, a mettere il formaggio sulla pastasciutta, ad aprire la porta, che siete incapaci di compiere gesti precisi, di finalizzare i vostri movimenti.

Primo stadio

Il primo stadio tende ad essere caratterizzato da moderati problemi di memoria, come dimenticare i nomi e i numeri di telefono ma, data la natura non grave di questi disturbi, essi possono passare inosservati. L’interessato può cercare di impedire che gli altri si accorgono delle sue difficoltà, perché si sente imbarazzato o preoccupato. Allo stesso modo i familiari e gli amici tendono a minimizzare l’importanza del problema, forse per l’opinione diffusa che non ricordare è una conseguenza dell’età. Tuttavia, è meno facile che passino inosservati i problemi di memoria presentati dai più giovani malati di Alzheimer, particolarmente se svolgono un lavoro che richiede l’uso della memoria. Il problema è ulteriormente aggravato da concomitanti difficoltà di attenzione. L’effetto combinato di questi due problemi determina difficoltà a svolgere operazioni complesse, e a seguire il filo del discorso, difficoltà che non potranno passare a lungo inosservate nell’ambiente di lavoro. L’orientamento temporale non è grandemente compromesso in questo stadio, ma i pazienti tendono a mostrare segni di disorientamento spaziale (vagando, e perfino perdendosi in un ambiente familiare come quello della propria casa). Altri possono evidenziare una mancanza di spontaneità e di attività, e sviluppare la tendenza a fissare lo sguardo davanti a sè, accompagnata da una incapacità di cambiare la direzione. Infine, i pazienti cominciano ad avere problemi con la rappresentazione astratta. Il denaro, per esempio, perde il suo significato simbolico, con la conseguenza che i prodotti o servizi possono essere pagati più di una volta. I pazienti trovano difficile associare le forme geometriche ad oggetti reali, cioè sarebbero incapaci di disegnare un cubo perché troppo astratto. Il fatto che questi problemi vengano più o meno riconosciuti dipende da diversi fattori, quali il tipo di attività, la famiglia, lo stile di vita e la personalità. Questo stadio può essere molto stressante per il paziente, che è pienamente consapevole di quello che sta accadendo.

Secondo stadio

Nel secondo stadio, la gravità dei sintomi obbliga i pazienti a lasciare il lavoro e a smettere di guidare. Di conseguenza, cresce il loro livello di dipendenza. I problemi di memoria si accentuano, con compromissione della memoria recente e di quella remota, sebbene i ricordi di eventi lontani rimangono generalmente intatti più a lungo. Una conseguenza di questo fatto è che, vedendo i loro nipoti, alcuni pazienti ricordano congiunti che sono morti, il che può essere causa di disagi e indurre gli altri a pensare che non riescano a distinguere tra i vivi e morti. La perdita della memoria può anche spingere i malati a credere che parenti o amici non siano venuti a trovarli da molto tempo, mentre in effetti se ne sono appena andati. Inoltre, i pazienti spesso hanno difficoltà a riconoscere i loro stessi familiari, perché il legame tra faccia e nome è andato perduto.
Diventa difficile per loro interpretare gli stimoli sensoriali (tatto, gusto, vista e udito). Questo ha ripercussioni nella vita quotidiana sotto forma di perdita dell’appetito, incapacità di leggere, allucinazioni visuali e uditive. Può presentarsi il problema dell’insonnia, perché la distinzione tra il giorno e la notte ha perso significato. I pazienti tendono a dormire di più durante il giorno, ma meno durante la notte. Diventa impossibile al malato eseguire da solo operazioni quotidiane come il lavarsi e il vestirsi, a causa della perdita di memoria, dello stato confusionale e della difficoltà di maneggiare gli oggetti. I movimenti sono sempre meno precisi e coordinati. I pazienti diventano meno stabili sulle gambe e possono avere incidenti dovuti alla doppia visione. Può presentarsi l’incontinenza sia come risultato del difetto di memoria, di comunicazione e di difficoltà pratiche, sia come effetto del danno cerebrale, per cui i segnali non vengono più registrati o riconosciuti. I pazienti tendono a soffrire di bruschi e frequenti cambiamenti di umore. Possono diventare agitati o aggressivi, o passeggiare tutto il giorno su e giù per la stanza. Si accentuano i problemi del linguaggio, non è raro che a questo stadio i pazienti ripetano costantemente le stesse parole o la stessa frase.

Terzo stadio

Nel terzo stadio, si può dire che il paziente soffre di demenza grave.
Le funzioni cognitive sono quasi completamente scomparse. La persona perde la capacità di intendere o di usare il linguaggio, e può ripetere semplicemente le ultime parole di una frase senza capirne il significato. L’incontinenza diventa totale e il malato perde la capacità di camminare, di sedersi, di sorridere e di deglutire. È più esposto alla polmonite e rischia le piaghe da decubito, se non viene regolarmente girato. Si irrigidisce, perde i riflessi agli stimoli e può essere agitato e irritabile. A questo stadio, è chiaramente necessaria un’assistenza continua. Tuttavia, nonostante la gravità dei sintomi, i pazienti tendono a rispondere ancora al contatto e alle voci dolci e familiari.
Quando, all’interno di una famiglia, viene diagnosticato un caso di Demenza Senile, questo genera tutta una serie di esigenze che non è facile soddisfare. I familiari si trovano di fronte ad una persona che sta progressivamente diventando diversa da quella che conoscevano.

Come trattare i disturbi comportamentali

• Quando è aggressivo ed irritabile: rimani calmo, cortese cerca di non mostrarti impaurito per trasmettere disponibilità.

• Fermati a parlare qualche minuto: usa frasi brevi e chiare per facilitare la compresnsione, incoraggia la risposta, cerca di avere il controllo della comunicazione verbale, che è quella facilmente compresa dal soggetto confuso.

• Se la comunicazione fallisce: cerca di distrarlo attirando la sua attenzione su altre cose; prova ad accendere la televisione o a eseguire lavori manuali che lo attraggono.

• Non rimproverarlo: egli scorda l’accaduto in un tempo molto breve.

• Se gli episodi violenti sono frequenti: parlane con il medico. Esistono dei trattamenti che possono aiutare lui ed indirettamente anche te.

• Cerca sempre di guardarlo negli occhi sia quando gli parli che quando lo ascolti.

• Parlagli sempre lentamente, scandendo bene le parole, con vocaboli semplici e modula il tono della voce in modo che sia cordiale.

• Ricorda che pur non comprendendo tutto ciò che gli dici non è un bambino, dunque trattalo con rispetto, non parlare con altre persone di lui in sua presenza.

• Se puoi sorridigli ed usa gesti e sguardi amichevoli. Lo rassicurano e gli renderanno più semplice il difficile compito di comunicare.

• Per impedire che vaghi senza meta: fai di tutto perché la Casa di Riposo istalli serrature difficili da aprire o mimetizzi le porte d’uscita.

• Se si perde non rimproverarlo: potresti spaventarlo e renderlo più agitato.

• Non rispondere mai alle accuse in modo aggressivo ma cerca di spiegargli con calma che tu sei lì per aiutarlo.

• Chiama la persona per nome, riporta con tatto la conversazione al presente quando divaga.