Ricerche
Testimonianze dal sec. XIV al sec. XVIII
a cura di Aldo Ghioldi

Le guerre, le epidemie e
le malattie provocarono distruzioni, morti, lasciando
una scia di miseria e
povertà che nessun
decreto governativo
poteva cancellare.


L’Ospizio

 


1926,  la Chiesa dei
SS. Gervasio e Protasio
a Carpenedo

 


1926, la Chiesa di
S. Girolamo

 


1927 - Anziani e anziane ospiti dell’Ospizio.

 


1910 - Marzenego
Prima dell’interramento.

 


1955 - Marzenego - durante l’interramento.

 


Piazza Ferretto negli anni ‘50.

 


1998 - Piazza Ferretto dall’alto.

Nel secolo XII nacquero dei movimenti di flagellanti e di battuti che per pacificare le fazioni opposte di guelfi e ghibellini passavano di terra in terra vestiti di sacco, per penitenza. Tali sodalizi portarono del bene alla società di allora provocando la fusione tra le classi sociali, l’affratellarsi degli uomini per la tutela e gli aiuti reciproci promovendo opere di carità e di assistenza, specialmente ospedaliera.
In questa ottica e nell’ambito più generale del rinnovamento religioso dei secoli XIII e XIV sono da vedersi le istituzioni in Italia delle Confraternite laiche.
La scuola Santa Maria dei battuti era una di queste Confraternite. Tale sodalizio nel secolo XIV si era pienamente formato nella sua struttura interna e in quella dei rapporti con la comunità di Mestre. Era gestita dal gastaldo, coadiuvato dagli officiali, dal massaro, dal priore dell’Ospitale. La Scuola dei Battuti era legata strettamente alla Chiesa di San Lorenzo, nelle cui adiacenze si trova ancor oggi l’edificio dove avvenivano le periodiche riunioni, simile ad un ufficio centrale dal quale partivano norme e ordini per regolare la vita dei confratelli ed amministrare i beni mobili ed immobili appartenenti alla Scuola, che progressivamente (fine sec. XV), diventò la più ricca di tutto il circondario mestrino.
I beni dell’associazione erano accresciuti via via soprattutto dai lasciti testamentari dei confratelli più benestanti, i quali donavano campi, case, piccoli capitali liquidi, che il gastaldo e gli officiali dovevano amministrare per sollevare la vita dei poveri, dei malati, degli orfani, dei vecchi, dei pellegrini, che per tre notti potevano essere alloggiati gratuitamente all’ospizio in borgo Santa Maria, e per seppellire ed onorare i defunti di Mestre, secondo lo spirito informatore della Scuola. Molti testamenti dei confratelli Battuti illustrano quale fosse la vita quotidiana di allora a Mestre.

Ecco degli esempi significativi.

Nicolò di Pagnano fece testamento l’otto ottobre 1342, disponendo prima di ogni altra cosa la sua sepoltura nella chiesa di San Lorenzo. Sulla sua tomba il pievano avrebbe dovuto recitare in perpetuo gli offici divini. I suoi beni sarebbero andati interamente alla Scuola dei Battuti, che avrebbe dovuto pagare per gli offici divini 48 soldi al Parroco il quale, se non avesse eseguito la volontà di Nicolò, sarebbe incorso nelle rimostranze della Confraternita dei Battuti di Treviso, preavvisata dall’omonima scuola di Mestre.

Nello stesso 1342 Vitale del fu Tommaso da Mestre, prima di partire per un viaggio ad Assisi, fece testamento, lasciando alla moglie e alla figlia beni che alla loro morte avrebbero dovuto essere venduti e il ricavato dato ai poveri, ai quali subito però, per sua volontà, sarebbero stati donati tutti i suoi letti (il letto a quel tempo aveva un valore non irrilevante).
Una parte del patrimonio di Vitale avrebbe dovuto essere usata per il completamento del campanile di San Lorenzo e per il rifacimento del pavimento della Scoletta.

Due disposizioni testamentarie del 1348 e del 1351 offrivano alla Confraternita proprietà immobiliari a Mestre, confinanti col fiume Marzenego e terreni del monastero di San Secondo, oltre a beni in natura che corrispondevano a una certa quantità di frumento l’anno.

Ugolino delle Capre nel 1360 lasciava ai poveri dell’Ospizio gli affitti derivanti da una sua casa sulle rive del Marzenego e all’Ospizio un terreno.

Un po’ originale è il testamento di donna Fiore, vedova di Pace da Treviso, che, il 16 aprile 1378, ordinava la sua sepoltura nel cimitero di San Lorenzo, nelle adiacenze della chiesa, quindi un lascito di 20 soldi ai frati di San Gerolamo (chiesa di nuova istituzione nel borgo di Mestre) per far celebrare messe in suffragio della sua anima. Alla confraternita e all’Ospizio donava tre campi presso la fossa di Mestre verso Carpenedo, a condizione che ne fosse usufruttuaria una sua figlia per la durata della sua vita, mentre alla figlia adottiva assegnava un letto.

Se esistevano in Mestre benestanti ed indigenti, nell’ambito della Scuola dei Battuti lo squilibrio economico si smorzava in quanto gli uni si prestavano a soccorrere gli altri.

Ser Simone voleva essere sepolto nella chiesa di San Lorenzo, alla quale assegnava dei denari per la ricostruzione; depositava inoltre 40 soldi perché i pievani pregassero per lui, 10 libre per la chiesa di San Gerolamo e 20 soldi ai priori del monastero di San Gerolamo per preghiere in suffragio della sua anima. All’Ospizio dei Battuti lasciava alcuni beni e per la sua manutenzione 100 denari. Altri denari erano lasciati alla chiesa di San Giorgio di Chirignago. Infine stabiliva un lascito annuale di 10 libre che doveva essere destinato dai suoi commissari a tre povere fanciulle nubili di Mestre.
L’intero suo capitale era per sua sorella Francesca con la condizione di depositarlo, alla sua morte, alla Scuola dei Battuti. Infatti Francesca de Zilbertis il 28 maggio 1415 lasciava per testamento tutti i suoi beni alla Scuola oltre una casa alta in muratura soleggiata coperta di tegole posta in Mestre, tenuta a livello per sei libre l’anno dai Collalto.

Altri testamenti lasciavano alla Scuola beni in Mestre; fa eccezione ser Antonio Grosso di Levada che nel 1411 lasciava una casa alla Confraternita dei Battuti di Treviso e una alla Confraternita dei Battuti di Noale.

Verso la metà del sec. XV i membri della Scuola di Mestre avevano un altro luogo ove riunirsi oltre alla Scoletta: una sala in burgo Sante Marie in hospitali Sancte Marie, dove, alla presenza del priore trattavano affari comuni e discutevano problemi inerenti alle attività caritative.
I testamenti dei Confratelli della IIa metà del ‘400 riassumono molti aspetti della società mestrina di tale periodo. Su dieci atti considerati, otto sono trascritti in volgare e due in latino, a condizione che la pubblicazione avvenisse in volgare.
L’essere stesi nella lingua comunemente usata in Mestre, in famiglia, in piazza, nella loggia, in chiesa dai predicatori, dimostra come la realtà viva avesse infine fatto gradualmente cadere l’ultimo velo del passato (la lingua latina), dando così modo ai posteri di aver un’idea, sia pure incompleta e superficiale, del colorito e spontaneo linguaggio abituale del tempo.
Contemporaneamente nei Registri del Senato, il volgare italiano con forma veneziana si sostituiva alla lingua latina in modo più ampio e completo, perché il processo era da molto in atto. La domanda che il notaio rivolgeva a colui che dettava le ultime volontà, era se queste dovessero essere scritte in forma letteraria o latina, oppure in forma volgare.
Nel 1463 il notaio Cristoforo del fu Ser Pietro de Alto di Venezia trascrisse la Ia parte del testamento di Francesco di Oderzo in latino, quindi gli rivolse la domanda che da allora divenne usuale: se avesse dovuto continuare in latino o in volgare. Francesco rispose: vulgariter.
Interessante notare come magistro Biasio detti il testamento in volgare, mentre la vedova di lui Elena Sclavona, nel 1469, lo faccia trascrivere in latino.
La maggioranza dei testatori desiderava essere sepolta nel cimitero della chiesa di San Lorenzo di Mestre, richiedevano messe piccole o basse e grandi o cantate per il giorno della loro morte e del loro anniversario.
Molto conciso è il testamento di Bucosano di Brendole del 1489: costui venne informato dal notaio che, per l’ultimo bando ducale, non si potevano più lasciare dai testatori beni immobili (se non per cinque anni) a monasteri, ospizi, chierici, chiese. Bucosano prese allora solo la decisione di farsi seppellire nel cimitero di San Virgilio a Zelarino.
Prima della fine del sec. XV, mentre la Scuola dei Battuti ampliava le sue proprietà nei borghi di Mestre ed entro le sue mura, consolidando sempre più le sue basi economiche, due nuove Confratenite sorsero in Mestre per opera del laicato mestrino, con lo stesso spirito informatore della prima: la Scuola di San Marco, in onore del Patrono della Repubblica, il cui scopo principale era il culto della Madonna con sede nella nuova chiesa omonima situata in Mestre, la Scuola di San Rocco, nella chiesa omonima (dedicata al patrono della peste) che era gestita dai Frati Minori e che si trovava fuori delle mura a sud-ovest. Quest’ultima confraternita ebbe vita per volontà di un gruppo di mestrini a causa della peste che in quel periodo (1476-1480) infieriva impietosamente.

Anche nel ‘600 la confraternita più importante di Mestre era sempre dei Battuti, detta ora scuola grande.

Nella chiesa di Carpenedo dedicata ai Santi Gervasio e Protasio convissero, nel sec. XVII, quattro confraternite: della Concezione, del Crocifisso (molto antica), del Rosario, del Santissimo Sacramento. Quest’ultima era sorta nel 1628 con lo scopo di venerare il Santissimo Sacramento nell’altare omonimo della Chiesa.
Lo statuto o Mariegola custodito ora all’Archivio Parrocchiale della Chiesa di Carpenedo, fu ricopiato dall’originale nel 1747 dal cappellano Massarini, per volontà del Parroco don Milesi, forse per porre un freno agli abusi ed irregolarità trascurati sino ad allora all’interno dell’associazione. Il Podestà di Mestre, responsabile in materia dei luoghi pii, diede il suo benestare alla stesura definitiva delle norme approvate dalla maggioranza degli iscritti.
Dalla lettura dei capitoli si viene a conoscere che la confraternita era la principale della pieve di Carpenedo e godeva del privilegio dell’altare maggiore. Non poteva certo definirsi una scuola grande, come quella dei Battuti, perché non possedeva ricchezze patrimoniali, ma solo pochi denari provenienti da elemosine, multe, quote annuali (16 soldi). Era, in fondo adeguata alla comunità campestre di Carpenedo, di stampo contadino ed artigiano, in cui molto poche erano le famiglie benestanti. Le cassette per le elemosine erano strategicamente sistemate nelle osterie: a Carpenedo, accanto alla chiesa, al Canton del Terraglio (oggi località Quattro Cantoni), ai tre Gobbi a Bissuola. Degno di nota è il fatto che, per essere eletti capi della Confraternita, si dovesse essere istruiti nello scrivere e nel contare. Vigeva la consuetudine che la Scuola offrisse al parroco la somma di cinque ducati ogni anno. Il Parroco Milesi (morto nel 1761) devolse tale somma per dote di una giovane estratta a sorte, che avesse padre e madre iscritti alla Scuola. L’esempio fu seguito anche dai successori: i cinque ducati del 1761 valevano nel 1842 24 lire austriache.
Mentre la storia delle piccole confraternite mestrine si perde nel tempo, quella della scuola grande dei Battuti ha una fine storica: maggio 1807, in seguito alla occupazione delle terre venete da parte delle truppe francesi e alla applicazione dei decreti napoleonici, fu soppressa, così conventi e monasteri.

Dal libro: Mestre - Le radici, identità di una città - di Adriana Gusso.