Storia dei Dogi
Continua l’avventura...
da un articolo di: it.wikipedia.org

a cura di Gabriella Tacchia
Continua, tralasciando
alcuni che non fecero
storia, la ricerca di coloro
che governarono la
Serenissima: i Dogi.

Pietro Tribuno (data nascita sconosciuta – 912) fu il diciassettesimo Doge di Venezia. Fu eletto tra le famiglie più importanti della città. Si stavano infatti formando le iniziali classi della futura società di Venezia: ricchi mercanti (che diverranno poi i nobili locali) e popolo. Organizzò la difesa di Venezia e delle città limitrofe, Altino, Treviso, Chioggia, Pellestrina, Malamocco dall’invasione degli Ungari. Nonostante ciò la città di Altino venne distrutta come si può dedurre dal placito dell’anno 900: ecco che venne l’abate del monastero di Santo Stefano altinate, Joanicio, sopraggiunto nel pianto e con angoscia ad esporre i danni del suo cenobio e che i suoi possedimenti erano stati spopolati, poiché i coloni erano stati uccisi dagli ungari o erano fuggiti.
Fu nominato protospatario dall’imperatore d’Oriente ed acclamato liberatore dai veneti. Durante il suo dogado iniziò la costruzione del campanile di San Marco.
 


Pietro III Candiano
fu il ventunesimo doge di Venezia, dal 942 al 959. Come il padre, era detto Petrone.
Pietro III Candiano fu eletto dall’assemblea popolare. Nel 944 impose il blocco navale al patriarca di Aquileia per difendere il patriarca di Grado. Successivamente, organizzò due spedizioni contro i pirati narentani che infestavano l’Adriatico. Come i predecessori, chiese ed ottenne dal re d’Italia, allora Berengario II, una serie di privilegi commerciali (951). Ebbe quattro o cinque figli: il maggiore, anch’egli Pietro, fu inizialmente eletto co-reggente dall’assemblea popolare, con l’intenzione di succedere al padre nel dogado e, più velatamente, di rendere il dogado una carica ereditaria della famiglia Candiano. Questi s’inimicò però la popolazione a tal punto, che in una successiva assemblea popolare il doge Pietro III Candiano dovette spendere tutta la propria autorità perché il figlio non fosse ucciso ma solo esiliato.

 


Festa delle Marie

 

Pare che sotto il dogado di Pietro III Candiano sia avvenuto il ratto da cui avrebbe tratto origine la festa dette delle tre Marie: i cronisti tuttavia non menzionano questo evento, e alcuni storici lo datano ai tempi di Pietro II Candiano, o del tredicesimo doge Pietro Tradonico, o addirittura all’epoca dei tribuni (737-742).
Accadde che i narentani organizzarono una scorreria a Venezia; il giorno 2 febbraio, in cui a Venezia si celebrava la processio scholarum festa degli sposi promessi, essi rapirono molte fanciulle, con la probabile intenzione di ridurle in schiavitù. Il doge Piero III organizzò l’inseguimento, che si concluse nella laguna di Caorle: le fanciulle furono salvate ed i pirati uccisi; da allora, quella festa si chiamò delle Marie ed è attualmente riproposta all’interno del Carnevale di Venezia.

 


La deposizione

 

Il figlio Pietro, esiliato, si era rifugiato presso il re d’Italia Berengario; dopo averne conquistato la fiducia e la stima in una spedizione militare contro Teobaldo marchese di Spoleto, ricevette sostegno per attaccare Venezia ed imporsi sul trono dogale. Pietro III Candiano fu destituito ma non ucciso; risulta che fosse ancora vivo nel 960.


Pietro I Orseolo
(928 – fra il 982 e il 997) fu il ventitreesimo doge di Venezia. Fu eletto dall’assemblea popolare, che si era riunita nella chiesa di San Pietro in Castello, all’età di quarantotto anni.


Note biografiche

Pietro I Orseolo era di casata illustre, forse discendente dalla romana gens ursia. Era sposato con Felicia, della quale s’ignora il cognome.
Nei tumulti che avevano portato all’uccisione del predecessore Pietro IV Candiano era stato incendiato il palazzo ducale, ed il fuoco aveva poi distrutto gran parte della città. Pietro I Orseolo s’incaricò innanzi tutto della ricostruzione, in particolare del palazzo ducale e della Basilica di San Marco, nella quale fece porre in luogo segreto le ossa dell’evangelista; fece inoltre costruire due ospedali. Sul fronte estero, i rapporti con l’impero d’occidente erano compromessi, poiché Pietro IV Candiano era stato uomo di fiducia dell’imperatore Ottone II. Pietro I Orseolo permise allora che la moglie del defunto Pietro IV Candiano, che era parente dell’imperatore, conservasse tutte le proprietà del marito tragicamente defunto. Il 12 ottobre 977 ottenne dalla città di Capodistria il rinnovamento dei patti precedenti, i cui documenti erano andati bruciati nell’incendio del palazzo ducale.
 


La fuga

 

Nel frattempo era venuto a Venezia Guarino, abate del monastero di San Michele di Cuxa nei Pirenei, per adorare le reliquie di San Marco. Questi tornò successivamente a Venezia, e nella notte del 1 settembre del 978 il doge, in incognito, lo seguì per ritirarsi a vita monastica a Cuxa. Qui visse a lungo, dedito ad esercizi di penitenza. Non si conosce l’anno esatto della sua morte: le date supposte vanno dal 982 al 997. Fu sepolto nel chiostro della chiesa.

 


La canonizzazione

Nel 1027 fu proclamato beato dalla chiesa di Roma, ed il suo corpo venne portato all’interno della chiesa di Cuxa. Intervennero poi molti spostamenti, finché il 6 dicembre 1644 le sue ossa furono chiuse in una cassa di legno dorato esposta sopra un altare dedicato a San Romualdo, cui venne aggiunto anche il suo nome. Nel 1731 fu proclamato santo dalla Chiesa e Venezia chiese di avere una reliquia del doge santo: furono spedite tre ossa della gamba sinistra. Queste arrivarono a Venezia nel 1732 ed il 7 gennaio 1733 vennero depositate nella Basilica di San Marco, dentro un’urna d’argento.


Storia dei Dogi d’argento.

Il 7 febbraio 1732 si svolse una sontuosa cerimonia, ed alla messa solenne cantò il celebre sopranista Farinelli. Da questa data, il senato stabilì che il 14 gennaio di ogni anno si svolgesse una messa solenne, alla presenza del doge, in cui venivano esposte le reliquie di San Pietro Orseolo. Nel 1790, al tempo della rivoluzione francese, per timore dei sacrilegi l’ultimo abate di Cuxa portò le reliquie nella chiesa di San Pietro di Prandes.

Immagini

Un suo ritratto è conservato nella chiesa dell’Assunta annessa alla Ca’ di Dio a Venezia, ed un mosaico del XIII-XIV secolo nella cappella del battistero della basilica di San Marco lo raffigura vestito da monaco e con il corno ducale in mano. Al suo ritratto, nella galleria dei dogi del palazzo ducale, fu aggiunta l’aureola dopo la canonizzazione. La moglie Felicita non fu dichiarata beata dalla Chiesa, ma è compresa in un elenco di beati veneziani.


Vitale I Michele
(data nascita sconosciuta –1102) fu il trentatreesimo doge di Venezia. Apparteneva ad una delle dodici famiglie cosiddette apostoliche ed era sposato con Felicia Corner. Quando Urbano II indisse la prima crociata, Vitale I Michiel inizialmente non concesse l’adesione di Venezia, forse perché non intravedeva i vantaggi di una simile spedizione. Il capo della crociata Goffredo di Buglione partì con un seguito di 120 navi pisane, una scorta genovese e milizie provenienti dai quattro angoli del vecchio continente. Il doge comprese allora l’importanza e la portata economica di questa guerra d’occupazione, non tanto per la conquista di territori quanto per non lasciare vantaggi commerciali alle altre repubbliche marinare: nel luglio del 1099 salparono perciò da Venezia ben 207 navi per appoggiare la crociata. Il comando della flotta fu affidato congiuntamente al figlio del doge, Giovanni Vitale, ed al Vescovo dell’Olivolo di Castello, Enrico Contarini. A dicembre dello stesso anno, a Rodi, la flotta veneziana intercettò navi pisane e le affondò. Nella primavera del 1100 la flotta veneziana si diresse verso le coste della terrasanta, dove nel frattempo Goffredo di Buglione aveva preso Gerusalemme ma, privato della flotta pisana, era impossibilitato a ricevere aiuti e fu costretto a scendere a patti con i veneziani. Venezia concesse i suoi servizi, ottenendo in cambio la possibilità di avere in ogni territorio o città conquistata un proprio quartiere non soggetto a dazi, tasse o gabelle. Ben presto caddero Haifa, Giaffa, Mira ed i territori della Siria costiera. Da Mira vennero asportate alcune reliquie di San Nicolò. In Italia Vitale I Michiel, intercedendo a favore di Matilde di Toscana per l’acquisto di Ferrara, ottenne ulteriori concessioni commerciali. Morì nella primavera del 1102 e fu sepolto accanto alla moglie nel loggiato della basilica di San Marco.


Domenico Michele
(data nascita sconosciuta – 1130) fu il trentacinquesimo doge di Venezia, in carica dal 1117 al 1130.
Era figlio dell’ammiraglio Giovanni (comandante della flotta veneziana in Terrasanta durante la prima crociata) e nipote del trentatreesimo doge Vital I Michele. La famiglia Michiel era una delle dodici cosiddette famiglie apostoliche, che si riteneva avessero fondato la città di Venezia. Uno dei suoi primi editti impose, ignorando quanto era stato stabilito precedentemente per evitare co-reggenze e trasmissione ereditaria delle cariche, la nomina di suo figlio e di suo nipote come Venetie Presìdes, ovvero plenipotenziari per il governo degli affari economici e politici durante le assenze del doge, ristabilendo di fatto un potere assoluto.
Nell’aprile del 1123 partì con una flotta di ben 40 galere, 40 navi onerarie e 28 navi rostrate in soccorso di Baldovino II re di Gerusalemme, prigioniero dei saraceni. La flotta veneziana, giunta in prossimità del porto di Ascalona (odierna Ashqalone), fu circondata dalla flotta egiziana accorsa a difesa del sultanato di Tiro; i veneziani riuscirono però a vincere. L’azione continuò, quindi, muovendo assedio alla stessa Tiro che fu presa dopo cinque mesi. I crociati accolsero il doge da trionfatore e gli offersero il regno di Gerusalemme, disperando di poter liberare Baldovino II. Ma gli interessi dogali erano rivolti a Bisanzio che aveva nel frattempo disatteso gli editti e la “bolla d’oro”, consentendo ai pisani di avere un quartiere e liberi scambi in Costantinopoli e la promessa di risarcimento in caso di ritorsione veneziane. Stante la situazione Domenico Michiel volse la flotta verso i territori sotto l’egida di Bisanzio e del suo Imperatore Calojanni. Attaccò e saccheggiò successivamente le isole di Rodi, Samo, Chio, Lesbo, Andro, Cefalonia e la città di Modone.
In adriatico, attaccò l’Ungheria di Stefano II e riconquistò le città dalmate di Traù (odierna Trogir) e Spalato nel maggio del 1125. Nello stesso mese Baldovino II fu liberato e concesse al doge i privilegi già concordati con il regno di Gerusalemme. L’imperatore di Bisanzio, messo alle strette, chiese la pace e nel 1126 emise una nuova “Bolla d’oro” nella quale si riaffermavano i privilegi di Venezia a Costantinopoli e nei territori imperiali. Il ritorno del doge fu un trionfo: a questo punto, si dedicò al ripristino della normalità cittadina che aveva assunto aspetti di inquietante delinquenza: pose il divieto di indossare travestimenti o l’applicazione di barbe posticce “alla greca”, e fece illuminare, a carico dei curati, tutte le edicole o capitelli votivi affinché calli e campielli non dessero più vita al malaffare delle tenebre.

 


L’abdicazione

  Questo grande doge abdicò nel 1130 e dopo pochi giorni morì; le sue spoglie, in un primo tempo deposte a San Giorgio in isola, furono disperse quando i frati decisero di ampliare la chiesa.

Pietro Polani
(data nascita sconosciuta –Caorle, 1147) fu il trentaseiesimo doge di Venezia, dal 1130 al 1147. Era sposato con Adelasa, la figlia del trentacinquesimo doge Domenico Michiel. Contro la sua elezione si erano schierate, più o meno apertamente, le famiglie Badoer e Dandolo.
Il doge, più intento ai problemi interni, trascurò l’aspetto estero del suo mandato: accadde così che gli ungheresi tra il 1133 ed il 1135 riconquistarono Sebenico, Traù e Spalato in terra dalmata; i padovani tentarono di espandersi verso la laguna per abbattere il monopolio del sale detenuto da Venezia; gli anconetani, dal canto loro, attaccavano da sud.
La complessità della situazione che si stava esplicitando a Venezia comportò la formalizzazione definitiva di un’assemblea di sapiens o senatores che consigliassero e supportassero delle decisioni dogali: nacque così ufficialmente il minor consiglio, con l’intento di far prevalere la logica di stato sugli interessi personali o di famiglia. Le decisioni che il doge prese, di concerto con questa nuova assemblea, furono: la mancata risposta all’appello alla seconda crociata del 1144 bandita da papa Lucio II; gli accordi sul sale con i padovani e la cessazione dei conflitti; la cacciata dei pisani da Zara. Le nobili famiglie Badoer, Falier, Michiel, Morosini e Dandolo si opposero ad una politica di amicizia verso Bisanzio: pertanto, quando da Bisanzio arrivarono al doge le conferme di tutte le cariche già attribuite ai predecessori e la riconferma dei vantaggi commerciali sulle isole di Candia, Cipro, Chio e Rodi, il doge fece esiliare i Badoer e radere al suolo le proprietà dei Dandolo situate in campo San Luca. In conseguenza a questi fatti e per l’appoggio a Bisanzio, papa Eugenio III lanciò la scomunica su Venezia. Pietro Polani decise allora di partire per il vicino oriente con buona parte della flotta, ma morì a Caorle nel 1147.
 


Domenico Morosini (febbraio 1156) fu il trentasettesimo doge di Venezia. Fu in carica dal 1148 al 1156. Il maggior successo del suo dogado fu la riappacificazione delle due fazioni in cui si erano divise le famiglie patrizie di Venezia. Durante il suo dogato la flotta veneziana, comandata dai figli del predecessore Naimero e Giovanni, sconfisse i normanni di Giorgio d’Antiochia a Capo Matapan. Le proprietà della famiglia Dandolo, distrutte sotto il doge precedente, furono ricostruite a spese dello stato. I Badoer furono richiamati dall’esilio. Nemerio Polani sposò una nipote del patriarca di Grado Enrico Dandolo. In politica estera, il nuovo doge era considerato meno filobizantino del predecessore per cui il papa ritirò la scomunica che pendeva su Venezia, e lo nominò dominator Marchie. Cercando inoltre di rappacificarsi con le altre repubbliche marinare, a Pisa furono concessi quartieri privilegiati a Costantinopoli, mentre a Genova fu permesso di commerciare in Dalmazia.
Domenico Morosini morì nel febbraio del 1156.