La mostra del Longhi | |
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Introduzione alla mostra del Longhi della prof.ssa Marina Statuto (guida Amici dei Musei) febbraio 1994 |
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La visita alla mostra del Longhi al museo Correr è stata un’occasione per i corsisti delle 150 ore di rivisitare quel secolo inquieto e interessante che già una mostra su Goldoni aveva fatto intravedere.
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Pietro Longhi è nato a Venezia il 25 novembre 1701, nella parrocchia di S. Margherita. In realtà si chiamava Pietro Salca ed usò in vita lo pseudonimo di Longhi forse in riferimento alla propria statura; ma si tratta di una supposizione, infatti non si conoscono le vere motivazioni che lo spinsero a scegliersi un siffatto nome d’arte. Il padre, Alessandro Salca, era un “gettatore” di metalli, un argentiere per la precisione: “gettava alla staffa”, versava cioè i metalli fusi negli stampi. Da giovane il padre lo avviò alla bottega del Balestra, un artista veronese attivo allora a Venezia e famoso per il suo stile pittorico: dipingeva “alla grande”, dedicandosi a grandi temi decorativi. Alla bottega del Balestra Pietro Longhi rimane dal 1715 al 1719, anno in cui l’artista veronese ritornò nella propria città. Fu allora che Longhi lasciò Venezia e si recò a Bologna dove il pittore più quotato era il Crespi, il quale era noto soprattutto per i suoi quadri di costume nei quali rappresentava scenette “di genere”, monopolio fino ad allora degli artisti fiamminghi. Crespi seppe dare a soggetti di vita quotidiana dignità artistica. Non si può affermare con certezza che il Longhi abbia lavorato a fianco del Crespi, proprio perché il pittore bolognese non aveva una bottega. Ne fu però influenzato nello stile, caratterizzato da una pittura “di genere”, fatta di quadri piccoli che avevano per soggetto vicende di costume. Nel 1732 Longhi è nuovamente a Venezia: documenti d’archivio testimoniano che si sposò con una tal Caterina della parrocchia di S. Pantalon dove gli sposi presero dimora. Nel ’34 dipinge il grande affresco La caduta dei giganti per lo scalone di Palazzo Sagredo a S. Sofia: è la più alta dimostrazione di quello che Longhi sapeva fare nella decorazione alla grande di temi allegorici. Ma non è questo il suo genere. Lo stesso suo figlio Alessandro scrive che il padre, da allora in poi, si sarebbe dedicato alla pittura “di conversazione e riclusione”, descrivendo soprattutto il costume dei nobili nel ‘700. Un genere nel quale fu fortemente influenzato dai pittori francesi. Nella seconda metà degli anni trenta era infatti in auge a Venezia la bottega di Joseph Wagner, un incisore tedesco vissuto a lungo in Inghilterra e soprattutto a Parigi dove aveva ottenuto un grande successo. Dalla Francia Wagner si era portato molte incisioni e lo aveva seguito il Flippard, un quotato incisore parigino che diventa amico del Longhi. E’ così che l’artista veneziano viene in contatto con il mondo artistico francese e studia non solo le incisioni, ma anche i disegni,dai quali esse si ispirano, soprattutto quelli di Watteau che dipingeva scenette di vita quotidiana. Il Longhi fruisce di questo qualificato materiale che ha a disposizione e ne adotta i segni. La Francia insomma lo influenza ampiamente nei disegni che nella mostra sono raccolti nella prima sezione (la seconda è dedicata ai suoi dipinti e la terza alle incisioni tratte dai suoi quadri). Per eseguire i suoi disegni, Longhi non usa nè la penna nè il pennello, ma il carboncino ed il gessetto. Non fa il disegno come prova preparatoria per un quadro che ha già in mente. I suoi disegni sono spunti ed appunti che egli prende velocemente nella realtà vissuta. Nei suoi fogli infatti compaiono molte annotazioni scritte, non solo relative al luogo e alla data precisa degli appunti grafici, ma anche tese a definire con minuzia il colore di un vestito, l’atteggiamento di un personaggio, la forma di una tazzina, ecc. Col disegno vuole entrare nella realtà per catturarla. Su fogli di carta azzurra o bruna (simile a quella da pacchi segna le ombre per caratterizzare i punti di luce che egli studia con particolare attenzione. Nei suoi disegni non ha infatti nessun significato il volto delle persone, ma l’atteggiamento del soggetto e gli spazi circoscritti dove si posa la luce. Usa il gessetto e il carboncino come fossero matite, senza spreca nessuna parte del foglio. Annota tutto: cavalieri e servitori, dame e cameriere, pappagalli e conocchie. Il suo disegno è uno studio analitico della realtà che egli seziona pezzetto per pezzetto. Smonta scientificamente il reale per assemblarlo poi, a seconda delle esigenze, nelle sue invenzioni pittoriche. |
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La polenta (particolare) |
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