Gite ed escursioni

In Aprile dello scorso anno i corsisti delle 150 ore hanno avuto una singolare opportunità: visitare l’osservatorio astronomico di Trieste.

Arriviamo a buio (naturalmente) su una specie di altipiano nei dintorni di Trieste.
Per fortuna è una serata abbastanza limpida e senza nuvole; rischiavamo altrimenti di fare il viaggio inutilmente.
Tuttavia la visibilità non è perfetta e ci accorgiamo che questo dipende dalla luminosità diffusa causata dalle luci della città. Apprenderemo in seguito che proprio per questa ragione l’attività dell’osservatorio come istituto di ricerca, si è ormai spostata altrove e usa altri mezzi; i grandi telescopi ottici si trovano ormai in altre parti del mondo dove la purezza dell’aria e la mancanza totale di luci artificiali consentono un’osservazione assai più accurata.
Ci accoglie uno dei ricercatori dell’Osservatorio che ci darà prima una breve descrizione del cielo in questa stagione, con le sue stelle più luminose e le costellazioni visibili, in modo da avere un orientamento di massima e poi, ci promette, ci farà osservare al telescopio alcuni di questi oggetti celesti.
E’ una persona molto cordiale e preparata; parla in modo semplice e comprensibile: non crediate che sia da tutti!
Qualcuno di noi ha registrato la sua voce:

Vi do una brevissima descrizione del cielo che vediamo adesso, in primavera.
Ci sono tre stelle di riferimento, che costituiscono il cosiddetto “Triangolo di primavera” (in ogni stagione ci sono stelle di riferimento): se guardate in direzione sud, vedrete una stella abbastanza luminosa. E’ una stella della costellazione della Vergine e si chiama Spica; è una stella dalla colorazione bianco-azzurra una temperatura superficiale piuttosto elevata.
Se adesso vi spostate in diagonale, in alto a sinistra, vedrete un’altra stella molto luminosa, dal colore un po’ rossiccio. Si tratta di Arturo, una stella che in astrofisica si definisce “gigante rossa”; ha infatti un diametro che è circa 30 volte quello del nostro Sole, una temperatura superficiale piuttosto bassa, dell’ordine di qualche migliaio di gradi (bassa rispetto ai 6000 gradi del nostro Sole, che è una stella “gialla”). E’ però 100 volte più luminosa del Sole ed è così grande perché si trova in una fase evolutiva più avanzata (il nostro Sole sarà così tra circa 5 miliardi di anni; aumenterà il suo diametro di circa 27 volte e la sua luminosità di un centinaio di volte). Quindi Arturo è una stella più vecchia del sole, dista circa 36 anni-luce e si trova nella costellazione di Boote o Bifolco. La costellazione di Boote è quella che assomiglia vagamente ad un aquilone; riuscite ad individuarla? Sotto Boote potete osservare un arco di stelle che costituisce la cosiddetta Corona Boreale.
Se ora vi spostate in basso a sinistra, vedrete un trapezio di stelle: si tratta della costellazione di Ercole e quel trapezio è, appunto il torso di Ercole fate attenzione riuscirete ad individuare anche le gambe. In quella costellazione osserveremo poi, al telescopio, un ammasso stellare che si chiama M13. E’ un ammasso di circa 300000 stelle, più o meno della stessa età e che distano circa 25000 anni-luce.
A questo proposito, una cosa interessante da dire è che quando noi guardiamo il cielo, in realtà guardiamo nel passato. Infatti questi oggetti sono così distanti che la luce (che è l’entità fisica che si muove più rapidamente nell’universo: circa 300000 km al secondo, un miliardo di km in 1 ora) sta un certo tempo per arrivare fino a noi. Quindi ad esempio Arturo, che dista 36 anni-luce, ha emesso la luce che noi vediamo ora, in realtà 36 anni fa: dunque noi vediamo Arturo com’era 36 anni fa, teoricamente potrebbe essere già spenta. Ecco perché dicevo che quando si guarda l’universo, si guarda indietro nel tempo e tanto più indietro quanto più sono lontani gli oggetti che osserviamo. Se ora, da Ercole ci spostiamo in basso a sinistra, vedremo una stella molto luminosa: è Vega, che fa parte della costellazione della Lira, lì ci sarebbe una bella nebulosa planetaria che varrebbe la pena di osservare al telescopio.
Torniamo ora al punto dal quale siamo partiti, cioè la costellazione della Vergine: vedete che c’è un punto molto luminoso. Quello non è una stella, ma un pianeta. Lo capiamo subito perché il suo aspetto è quello di un dischetto e la sua luce è più stabile rispetto a quello delle stelle, che baluginano. Si tratta di Giove.


Il pianeta Giove

Il cielo di primavera


Più tardi lo osserveremo al telescopio e vedremo anche le sue 4 lune, che sono quelle scoperte da Galileo Galilei nel 1600 e perciò dette anche lune galileiane o anche astri medicei: sono lo, Europa, Ganimede e Callisto. Successivamente la sonda Voyager ha scoperto altre lune, per un totale di 16.
Giove è il maggiore pianeta del sistema solare; ha un diametro di 140000 km, 1/10 di quello del Sole e 10 volte quello della Terra e dista 37 minuti-luce.
Più in alto, rispetto alla costellazione della Vergine c’è un ammasso di galassie, non visibile ad occhio nudo; un ammasso di 3000 galassie (le galassie a loro volta sono ammassi di stelle legate gravitazionalmente e ciascuna di esse ne contiene da 100 a 400 miliardi). Questo ammasso è molto importante perché anche la nostra galassia ne fa parte e in realtà è un cosiddetto super-ammasso. Infatti la materia non è distribuita uniformemente nell’universo, ma è concentrata in galassie che si associano in ammassi di galassie e che poi a loro volta si associano in super-ammassi di galassie. Se adesso ci spostiamo a destra della costellazione della Vergine, potete osservare una configurazione di stelle “a falcetto”. In realtà, quella specie di falcetto è la testa del leone, della costellazione, appunto, del Leone. La stella più luminosa, alla base del falcetto, è Regolo, una stella bianco-azzurra distante 85 anni-luce. Sempre facente parte del falcetto vi è un oggetto molto interessante, una stella doppia; sono due stelle di colore aranciato e che poi osserveremo al telescopio.

A questo punto la nostra guida viene interrotta da un “ooho” di meraviglia e di sorpresa, perché sulle nostre teste è sfrecciata una “stella cadente”. La guida non si lascia sfuggire l’occasione per commentare l’avvenimento con la consueta competenza:

Stavo per dirvi che questa sera potremo vedere delle stelle cadenti perché siamo nel culmine del periodo delle Liridi, che sono dei meteoriti provenienti dai residui di una cometa che ha un periodo di 415 anni.
Invece quei due oggetti luminosi a destra sono Polluce e Castore e appartengono alla costellazione dei Gemelli. Castore ha la particolarità di essere in realtà costituita da 6 stelle, o meglio, da 3 stelle doppie (mi dimenticavo di dirvi che almeno il 50% delle stelle sono sistemi binari, vale a dire sono 2 stelle che ruotano intorno a un centro comune e quindi le stelle singole come il nostro sole sono più rare di quello che sembra).
Ancora più a destra trovate la costellazione dell’Auriga e la sua stella più luminosa, che si chiama Capella.
Sopra le nostre teste vedete la più conosciuta delle costellazioni: il Grande Carro o Orsa Maggiore. Se voi prolungate la linea che congiunge le due stelle estreme del Carro, per una lunghezza di 5 volte, trovate la Stella Polare che fa parte del Piccolo Carro e segna il Nord geografico.


Due galassie
La guida ci invita adesso a recarci al telescopio per fare le osservazioni che ci aveva promesso. Qualcuno del gruppo però si accorge che nella esposizione manca qualsiasi riferimento alla “terza stella”, quella che deve completare il famoso “triangolo di primavera”. La guida si scusa e ammette di essersene dimenticato: si tratta, dice, di Regolo, costellazione del Leone, alla quale aveva accennato poco prima.


Il castello Basevi sede principale dell'Osservatorio
L’OSSERVATORIO DI TRIESTE

L’origine dell’Osservatorio Astronomico di Trieste risale alla fondazione della Scuola Nautica. voluta in questa città dall’imperatrice d’Austria Maria Teresa nel 1753. Affidata al locale Collegio dei Gesuiti, operò per quasi un secolo nella sede del Collegio presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore. Nel 1865 fu posta al servizio della Marina da Guerra Austro-Ungarica e trasferita a Pola, mentre la struttura triestina veniva convertita ad uso civile nel 1866 quale Osservatorio Marittimo Statale dedicato al servizio della Marina Mercantile dell’impero. Nel 1876 vi si aggiunse l’Osservatorio Meteorologico e la sede fu spostata presso l’Accademia del Commercio e della Nautica di Trieste.
Nel 1898 le strutture dell’Osservatorio, reso autonomo quale Imperial Regio Osservatorio astronomico e meteorologico dell’imperial Regio Ministero per il Culto e l’istruzione di Vienna, vennero spostate nel cosiddetto Castello Basevi, dove si trova tuttora la sua sede principale. Nello stesso anno l’Osservatorio fu dotato di una Sezione Sismica. Nel 1906 l’istituzione passò alle dipendenze dell’Imperial Regio Governo Marittimo di Trieste ed assunse il nome di Imperial Regio Osservatorio Marittimo di Trieste. Con il crollo dell’impero Austro-Ungarico, nel 1919 Trieste fu annessa all’Italia e l’Osservatorio Astronomico fu staccato dalle Sezioni Meteorologica e Sismica, chiudendo così la prima fase della vita dell’istituzione.
La nascita dell’Osservatorio Astronomico di Trieste quale struttura scientifica dedicata all’Astronomia risale di fatto al 1919, con la nomina a direttore di ruolo di Luigi Carnera. Nel 1923 l’istituzione fu inserita nel ruolo degli Osservatori Astronomici Regi d’Italia e venne ufficialmente inaugurata nel 1925. La vita dell’Osservatorio si svolse regolarmente fino agli anni ‘30, quando lo sviluppo urbano di Trieste inglobò la sede del Castello Basevi. Nel 1932 la direzione passò da Luigi Carnera a Giuseppe Favaro, che si preoccupò di segnalare tale situazione al Ministero della Pubblica istruzione. La seconda guerra mondiale interruppe ogni sviluppo a partire dal 1940. Nel 1942 l’incarico della direzione venne affidato a Giovanni Battista Lacchini in seguito all’abbandono della carica da parte del predecessore. Nel 1944 l’Osservatorio fu bombardato e mitragliato e messo quasi completamente fuori uso, nonostante il coraggio di Lacchini, rimasto solo ad affrontare la situazione, che continuò in tali condizioni il servizio del tempo e svolse perfino, con modestissimi strumenti portatili, osservazioni visuali di stelle nuove e di eclissi. Con il 1946 si chiuse così la seconda fase della travagliata vita dell’Osservatorio, iniziata con l’inaugurazione nel 1925. L’attività ufficiale, sospesa per cause belliche dal 1942 al 1946, riprese nel 1946 con la nomina di Ettore Leonida Martin a direttore dell’Osservatorio, ora Istituto Superiore autonomo del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana. Data da quest’anno l’inizio storico della cooperazione fra l’Osservatorio Astronomico e l’Università di Trieste nella persona del Martin, incaricato di Astronomia presso l’Università di Trieste dal 1946 fino alla modifica legislativa del 1956, che lo assegnava alla cattedra di Astronomia della Stessa sede con l’obbligo della direzione dell’Osservatorio. Un cenno particolare merita la biblioteca dell’Osservatorio, costituita di fatto nel 1753, Il materiale librario e documentario, comprendente nel 1946 oltre 16,000 unità, venne smembrato e riaccorporato varie volte in seguito all’evoluzione giuridica dello status dell’istituzione ed alle vicende belliche. Il primo censimento, riordino e catalogazione del materiale, cresciuto fino all’odierno ammontare di oltre 8.000 volumi, cui si aggiungono i fascicoli di circa 100 riviste scientifiche internazionali ed i contributi inviati dagli osservatori di tutto il mondo, iniziato dal Martin nel 1946 e continuato successivamente in più fasi da Margherita Hack, è attualmente in corso di completamento con l’utilizzo di procedure informatiche aderenti agli standard nazionali per la gestione delle biblioteche.
La trasformazione dell’Osservatorio Astronomico di Trieste in moderno istituto di ricerca a carattere internazionale ha inizio con la direzione di Margherita Hack nel dicembre 1964. Alla Hack, che mantenne la direzione fino al gennaio 1987, va il merito di avere sviluppato programmi, organico e strutture dell’Osservatorio fino a superare la dimensione critica di attività e produttività scientifica necessarie ad una partecipazione competitiva al contesto astronomico internazionale.
Negli anni dal 1966 al 1971 Margherita Hack promosse la crescita dell’organico sia scientifico che tecnico ed affrontò il problema della sede dell’Osservatorio con la realizzazione della Succursale di Basovizza, a 400 m. di quota sul Carso triestino a 12 km dalla sede principale del Castello Basevi a Trieste.
Nella succursale vennero installati nel 1967 il riflettore Cassegrain da 0,3 m. ed il riflettore Newton da 0,5 m., inutilizzabili nella sede cittadina, e nel 1971 fu costruito ed installato un riflettore Cassegrain da 1,05 m. Tutti e tre i telescopi vennero dotati in tempi successivi di fotometri fotoelettrici ed i due maggiori di spettrografi a reticolo a media dispersione.
Sempre negli anni ’60 venne attivato e sviluppato un programma di radioastronomia solare, tuttora attivo, con la realizzazione ed installazione nella Succursale di Basovizza del primo radiotelescopio VHF con antenna fissa a diedro nel 1966/67, del radiotelescopio VHF-UHF a paraboloide equatoriale di 10 m di diametro nel 1969, e dell’interferometro a base semplice EW di 73 m a 408 MHz nel 1970.
Nel 1987 la direzione venne assunta da Giorgio Selmak, che proseguì l’opera di promozione dell’Osservatorio sia in ambito nazionale che internazionale.


Il nuovo Osservatorio di Basovizza
L’osservazione al telescopio è per certi versi affascinante e deludente. Affascinante perché permette alla maggior parte di noi di penetrare un po’ più nelle profondità dell’universo e scrutare oggetti mai visti; deludente perché forse ci aspettavamo di più: pensavamo di vedere i pianeti come siamo ormai abituati dalle fotografie delle sonde spaziali, la galassie e le nebulose come appaiono dai grandi telescopi.
Invece il nostro telescopio è “solo” mezzo metro di diametro e l’effetto non è così sconvolgente. Inoltre siamo in tanti, comincia a far freddo e stare in coda per una ventina di minuti per poi avere a disposizione una manciata di secondi per guardare, ci pare abbastanza frustrante. Alla fine però siamo contenti e la prima impressione di delusione scompare. In fondo abbiamo avuto l’opportunità di osservare per la prima volta quello che pochi possono vedere: un ammasso stellare, cioè una aggregazione di moltissime stelle, che appare come una nebulosità con un nucleo più denso: si trattava di M13 nella costellazione di Ercole; il pianeta Giove, con i suoi satelliti, gli stessi che aveva osservato Galileo per la prima volta col suo rudimentale telescopio: una stella doppia che si trova nella costellazione del Leone.

Credo che abbiamo imparato moltissimo da questa visita e avremo tanto da Raccontare a casa, anche se è difficile raccontare le emozioni.