Continua, tralasciando
alcuni che non fecero
storia, la ricerca di coloro
che governarono la Serenissima: i Dogi.
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Vitale II Michel (data nascita sconosciuta – Venezia, 28 maggio 1172) fu il trentottesimo doge di Venezia, l’ultimo doge eletto dall’assemblea Generale (o popolare), perché successivamente il minor consiglio (un’assemblea di nobili formalmente costituita sotto il dogado di Pietro Polani) si sarebbe attribuito il diritto di eleggere il doge.
La situazione estera era critica: nel 1156 Emanuele Comneno, imperatore di Bisanzio, concesse a Genova privilegi commerciali pari a quelli già concessi a Venezia e Pisa, a motivo degli screzi che si erano verificati con il doge precedente; l’imperatore d’occidente Federico Barbarossa scese per sottomettere i liberi comuni (ed anche Venezia, formalmente possedimento bizantino). Oltre a ciò Venezia dovette riconquistare Zara ed invadere il Friuli dove si era rifugiato il patriarca di Aquileia Ulrico di Treffen, filoimperiale, dopo aver distrutto il patriarcato e la città di Grado, veneziana per eccellenza. Nel 1163, il Patriarca Ulrico fu sconfitto ed imprigionato: per l’intercessione del papa Alessandro III ed in nome dell’alleanza contro il Barbarossa che verrà sancita dai comuni italici con l’accordo di Pontida del 1° dicembre 1167 -e che Venezia aveva segretamente appoggiato-, il patriarca Ulrico fu liberato in cambio di un tributo proveniente dalla sua diocesi e costituito da 12 grossi maiali, di dodici grossi pani e di un toro a sostegno dei carcerati e del popolo meno abbiente, da fornirsi l’ultimo giorno prima delle ceneri, che cade sempre di venerdì. Dodici perché furono dodici notabili, dodici prelati ed un patriarca a distruggere e violentare Grado. Da questi fatti scaturì la tradizione del giovedì grasso ed il detto popolare tagliare la testa al toro nel senso di porre fine ad una questione.
Nel 1171, a Costantinopoli furono arrestati circa 10.000 veneziani, rotti tutti i trattati e misconosciute le bolle imperiali; i beni di Venezia, navi comprese furono confiscati. Il doge spedì una flotta, ma l’imperatore d’oriente aveva già stretto nuovi accordi sia con i pisani che con i genovesi; la flotta fu decimata dalle armi delle altre due repubbliche italiche e dalla peste.
Ci fu una sommossa popolare a Venezia; Vitale II tentò di svolgere un’azione diplomatica verso l’impero d’oriente ma questo, precedentemente mutilato ed umiliato dal doge Domenico Morosini rifiutò ogni tentativo di riconciliazione. Vitale II Michiel morì pugnalato da Marco Casolo all’interno del monastero di San Zaccaria il 28 maggio 1172. Appoggiarono la rivolta anche gli ambasciatori a Costantinopoli, Ziani e Mastropiero, che sarebbero diventati dogi.
Sebastiano Ziani (1102 circa – Venezia, 13 aprile 1178) fu il trentanovesimo doge di Venezia, dal 1172 al 1178. Fu il padre del quarantaduesimo doge Pietro Ziani.
Elezione
Fu il primo doge eletto da un’assemblea ristretta di nobili e non dall’assemblea di tutto il popolo. La sua elezione avvenne quattro mesi dopo la morte del predecessore, dopo un conclave di tre giorni. Fu eletto il 29 settembre 1172, all’età di settant’anni, in concorrenza con Orio Mastropiero. Pare che sia stato il primo doge a distribuire denaro al popolo dopo l’elezione, inaugurando un’usanza che sarebbe sopravvissuta fino alla caduta della repubblica con l’ultimo doge Lodovico Manin.
Figlio di Marino Ziani, era molto ricco. Prima di essere doge era stato giudice e diplomatico a Costantinopoli, rettore di Sebenico. Sposato ebbe quattro figli.
Il dogado
Il suo primo atto fu la condanna a morte dell’assassino del predecessore. L’evento più importante fu l’incontro tra Federico Barbarossa ed il papa Alessandro III che avvenne a Venezia, significando la fine almeno momentanea delle dispute tra il papato e l’impero.
Secondo la tradizione nel 1172 vennero erette, ad opera di Nicolò Barattieri, le due colonne della piazzetta San Marco, sormontate l’una dal leone alato e l’altra da Todaro. Sempre secondo la tradizione esisteva una terza colonna che finì nel bacino di San Marco (di fronte alla piazza) durante lo sbarco e che non fu più possibile recuperare.
Sebastiano Ziani abdicò il 12 aprile 1178 e si ritirò nel monastero di San Giorgio Maggiore, dove morì il giorno dopo e dove fu sepolto. La sua tomba fu distrutta quando la vecchia chiesa fu demolita (1611), i suoi resti fuono inumati nella cappella dei morti nella nuova chiesa e gli fu costruito un monumento in pietra d’Istria a sinistra della facciata della chiesa.
Orio Mastropiero (data nascita sconosciuta – data morte sconosciuta) fu il quarantesimo doge di Venezia, eletto il 17 aprile 1178.
Biografia ed elezione
Prima del dogado era stato ambasciatore presso l’Impero Romano d’Oriente ed Avogadore di San Marco, ed aveva appoggiato la rivolta in cui era stato ucciso il trentottesimo doge Vital II Michele. Alla morte di questi era stato eletto doge, ma in quell’occasione aveva rifutato.
Fu il primo doge eletto da un’apposita assemblea elettorale espressa dal minor consiglio. I dogi, fino a Vital II Michele erano stati eletti dall’assemblea popolare; il predecessore fu eletto dal minor consiglio, formato da undici persone; Orio Mastropiero fu eletto da un’assemblea elettiva di quaranta membri nominati dal minor consiglio.
Il dogado
Uno dei primi editti del doge Mastropiero fu denominato Promissione dal maleficio: fu un compendio delle leggi in vigore ed una revisione delle pene. Furono inoltre istituiti l’organo detto quarantìa che fungeva da corte d’appello per le cause civili, e la carica di avogadore de comun ovvero procuratore della repubblica. Dapprima si alleò con i normanni dell’Italia meridionale contro l’imperatore d’oriente Andronico, poi strinse accordi commerciali e di alleanza militare con il successore Isacco Angelo, che lo nominò protosebasto, (titolo nobiliare dell’Impero bizantino istituito dall’imperatore Alessio I di Comneno).
In adriatico, Bela III re d’Ungheria riconquistò Zara e tutta la Dalmazia, che il doge non riuscì a riprendere.
Nel vicino oriente, il saladino aveva conquistato Siria ed Egitto, dove le repubbliche marinare avevano basi e privilegi commerciali.
Nel 1188 papa Gregorio VIII proclamò la III crociata, cui presero parte Riccardo Cuor di Leone re d’Inghilterra e Filippo Augusto re di Francia; le tre repubbliche marinare si unirono ai crociati e presero Tiro, San Giovanni d’Acri e altre località costiere della Siria.
Partì anche per via di terra Federico Barbarossa, ma morì annegato (in seguito alla caduta dal suo cavallo) in Anatolia mentre guadava un fiume. Nel 1192, per vecchiaia, abdicò. Non è nota la data della sua morte, ne’ il luogo della sua sepoltura.
Enrico Dandolo (Venezia, 1107 – Costantinopoli, 21 giugno 1205) fu il quarantunesimo doge di Venezia, eletto il 21 giugno 1192. Era nipote dell’omonimo Enrico, patriarca di Grado.
Eletto a tardissima età riuscì, grazie alla sua incredibile forza d’animo e coraggio, a sfruttare al massimo i benefici che si potevano trarre dalla IV crociata.
Riuscì ad ottenere per Venezia prestigiose conquiste e ne fece una potenza europea, dandole il predominio sul Mediterraneo per molti secoli.
È considerato uno dei più grandi dogi di Venezia.
Biografia
Prima di essere doge, era stato ambasciatore a Ferrara, elettore del doge precedente e bailo (ambasciatore) a Costantinopoli, dove gli era stato attribuito dall’imperatore anche il titolo di protosebasto. La sua discendenza avrebbe contato altri tre dogi: Giovanni Dandolo, Francesco Dandolo e Andrea Dandolo.
Il dogado (primo periodo: 1192-1202)
Giunse al dogato in tarda età (ad oltre ottant’anni) e, secondo alcune cronache, durante il suo regno avrebbe perso la vista, ma avrebbe comandando lo stato con pugno di ferro e saggezza nonostante questa grave menomazione.
La sua elezione, il 21 giugno 1192, giunse probabilmente per un accordo tra fazioni avversarie, che, desiderando tutte il potere, preferirono proporre un vecchio che, all’apparenza, sarebbe morto entro breve. Da doge, riuscì a concludere accordi con Verona, Treviso, con il patriarca d’Aquileia, con il re d’Armenia e con gli imperatori d’oriente e d’occidente; vinse una guerra contro Pisa, che appoggiava la ribellione delle popolazioni della Dalmazia.
Il dogato (secondo periodo: 1202 - 1205) - La IV crociata
Attorno al 1201 - 1202 le condizioni di ostilità che avevano caratterizzato l’Adriatico nel decennio precedente, s’erano ormai placate ed il dogato del Dandolo si prospettava ormai in discesa. Eppure nuovi eventi erano giunti a maturazione ed avrebbero coinvolto direttamente Venezia ed il suo anziano doge.
Nel 1198 fu eletto papa Innocenzo III; questi bandì una crociata, la quarta, che avrebbe dovuto partire via mare da Venezia nel 1201. Quando però le truppe crociate giunsero in laguna, la somma convenuta per pagare la flotta non c’era. Dandolo, astuto politico, decise di farsi pagare rinuciando al denaro pattuito e chiedendo invece i “servigi” guerreschi dei soldati crociati.
I crociati accettarono e la flotta partì, sotto il comando di Enrico Dandolo. Il pagamento convenuto fu la presa di Trieste, Muggia e la riconquista di Zara a beneficio di Venezia.
Durante il periodo dell’assedio giunse a Zara il deposto principe di Costantinopoli Alessio IV che promise al gruppo, se l’avessero aiutato a riconquistare il potere, denaro e terre. La spedizione cambiò rapidamente “motivazione”, trasformandosi così da crociata religiosa a mera invasione di mercenari al soldo d’una fazione.
Nel 1203 quindi la flotta si diresse a Costantinopoli, con lo scopo ufficiale di reinsediare sul trono l’imperatore spodestato Alessio IV. Il papa, insoddisfatto della nuova piega che aveva assunto la situazione, lanciò la scomunica su Venezia, ma era troppo tardi; la città fu presa (17 luglio 1203) e, dopo alcuni convulsi mesi di lotte interne e tradimenti, tutti i precedenti pretendenti imperatori bizantini che lottavano tra di loro furono dichiarati decaduti e l’impero d’oriente fu spartito tra i crociati: a Venezia spettarono un quarto e mezzo (i tre ottavi) dei territori dell’impero d’oriente, tra cui Creta e molte altre isole del mar Egeo; a Baldovino di Fiandra, importante feudatario francese, spettò la corona di imperatore. Durante i primi burrascosi mesi dalla conquista della città, il Dandolo, pur ormai vecchissimo e debilitato dal lungo viaggio via mare, riuscì ad ottenere ampi vantaggi per Venezia, stando sempre attento a non farla coinvolgere troppo nella situazione politica interna dell’ormai decadente impero bizantino. Enrico Dandolo non tornò più a Venezia: rimase a Costantinopoli a combattere i bulgari, morì il 1° giugno 1205 e fu sepolto nella basilica di Santa Sofia.
Fu definito “un vecchio gigante che ha ancora la forza di galoppare, per affrontare con la sua abituale fierezza, anche l’ultimo nemico: la morte”.
Pietro Ziani (Venezia, data nascita sconosciuta – Venezia, 13 marzo 1229) figlio del doge Sebastiano Ziani, fu il quarantaduesimo doge della Repubblica di Venezia dal 15 agosto 1205 al febbraio 1229.
Eminente uomo di stato alla sua elezione rischiò di dover condurre una guerra contro un suo concorrente alla carica ma poi tutto si risolse. Uomo di polso, degno successore del doge Enrico Dandolo, abdicò nel febbraio 1229, ritirandosi, per i pochi giorni di vita rimanenti, in un monastero.
Vita
Lo Ziani, ricchissimo di famiglia, presto intraprese una importante carriera politica che lo portò ad esser eletto podestà, conte, consigliere ducale, comandante di armate. L’estrema capacità e la nobiltà d’animo lo misero presto in ottima luce facendogli acquisire prestigio ed influenza. Col passare degli anni la sua fama di uomo saggio e ponderato s’accrebbe e spesso fu chiamato a far da pacere in numerose contese. Sposatosi con Mara Baseggio (morta nel 1209), si sposò poi con Costanza, figlia del re di Sicilia. Ebbe un figlio e due figlie. Aveva da poco assunto il titolo di conte di Arbe quando giunse la notizia della morte del doge Dandolo e venne eletto lui come successore.
Dogado
Il doge Dandolo era morto a Costantinopoli il 1 giugno 1205 ma la notizia giunse a Venezia solo ad agosto. Nel frattempo, (nel quartiere veneziano della città), i maggiorenti che avevano seguito la IV crociata avevano eletto Marino Zen che non voleva cedere il potere. Presto, grazie alla maggior forza militare ed al fatto che dal punto di vista legale il titolo spettava allo Ziani, l’avversario dovette rinunciare. Al doge Ziani spettò il compito di gestire i nuovi affari ed i territori che Venezia s’era annessa durante la conclusione della crociata: per una piccola città era impossibile gestire potenti eserciti che presidiassero tutte le nuove isole e, quindi, si decise di permettere ai nobili interessati di fondare nuove dinastie e comandare su singole isole date in “concessione” dietro determinate condizioni e garanzie. In breve, salvo le isole principali, in mano al governo i nobili veneziani si spartirono numerosi arcipelaghi fondando piccoli regni personali ma sempre sotto l’ala protettrice della madrepatria. Tra il 1207 ed il 1210 Corfù, Modone, Corone e l’isola di Creta divennero parte integrante del dominio veneziano sul Mediterraneo orientale.
In quegli anni Ziani risistemò l’amministrazione giudiziaria istituendo nuove magistrature e riorganizzando la città che doveva trasformarsi da potente città – stato ad impero marittimo. Nel 1214 la città fu in guerra con Padova ma la vinse facilmente e poi non vi furono altri conflitti, grazie soprattutto ai patti commerciali e politici con l’imperatore Federico II ed il papato. Il problema maggiore del dogato, l’eccessiva autonomia dei coloni veneziani a Costantinopoli, tornò presto a ripresentarsi e nel 1224 addirittura qualcuno propose di trasferire la capitale da Venezia alla città bizantina, cosa che non passò per un solo voto! Per il resto il dogato trascorse in modo tranquillo anche se, negli ultimi anni, il doge dimostrò sempre meno interesse per la vita politica, forse troppo vecchio per poter avere l’energia d’un tempo, e nel febbraio del 1229, volontariamente o no, come suggeriscono alcuni, decise d’abdicare. Prostrato dall’età, o amareggiato per la deposizione simulata, a seconda delle ipotesi, morì pochi giorni dopo, il 13 marzo 1229.
Secondo alcuni, a dimostrazione del fatto che in realtà venne deposto, si rifiutò di vedere il suo successore, Jacopo Tiepolo, eletto il 6 marzo, quasi non ne riconoscesse la legittimità. Occorre notare che, se fosse vera quest’ipotesi, anche lo stesso Tiepolo, che s’avvantaggiò dalla deposizione mascherata da abdicazione, vent’anni dopo ne soffrì le conseguenze, dovendo lasciare il trono con circostanze che ricordano questa.
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