Racconti
di Valter Fontanella

 


 

È proprio un ricordo che viene dai primi anni della fanciullezza, pensa Mario Cicognara, mentre passeggia lento in Piazza Ferretto, e ora talvolta trova anche occasione e pretesto per riaffiorare pressoché intatto.
Molti anni prima poteva capitare, soprattutto quando la mamma lo portava con sé per fare delle compere in centro, oppure alla domenica mattina, che percorressero un tratto di Via Cappuccina e si fermassero per un poco nell’omonima Chiesa. Lui sedeva tranquillo sulla panca accanto alla mamma e seguiva con curiosa attenzione tutto quello che gli accadeva intorno. Poco dopo la mamma si segnava, lo prendeva per mano e si avviava lenta verso l’uscita. Subito prima che uscissero dalla porta della chiesa, accadeva molto spesso che la mamma scambiasse poche parole con un padre cappuccino dalla lunga barba bianca. Al momento di congedarsi, il frate non mancava mai di fargli una leggera carezza sui capelli, e poi, con un rapido gesto, tirava fuori dal saio una piccola immagine sacra e gliela porgeva, esclamando con un bel sorriso “santino”. Nessun dubbio, il frate era certo di fare cosa assai gradita al fanciullo. Mario accettava il santino e, a denti stretti, mormorava un timido grazie, sollecitato ogni volta dalla mamma. Ma, si sa come sono i ragazzini, cosa preferiscono. Mario avrebbe desiderato ricevere dal buon frate una figurina di calciatore, magari una che lui ancora non aveva, per poterla aggiungere alla sua raccolta, oppure, in caso contrario, scambiarla proficuamente con un amico. O anche avrebbe ben gradito ricevere la figurina di un ciclista famoso, il vincitore di tante corse, per ritagliarla, incollarla su un tappo di bottiglietta di birra, il famoso e ormai dimenticato “cimbano”, e, con quello, auspici le tante vittorie conquistate dal famoso ciclista, ingaggiare delle belle gare vincenti con gli amici su una pista tracciata sulla terra del giardino di casa. Un bel Giro d’Italia, magari. E così accadeva che il santino, donato con tanto affetto da quel padre cappuccino, finiva per perdersi quasi immediatamente nei meandri del disinteresse dell’innocente e distratto ragazzino. Molti e molti anni sono passati da quei giorni, eppure c’è una particolare occasione in cui il ricordo del gesto e della parola del frate non manca mai di riaffiorare, facendo sorridere Mario, ma anche generando in lui un sottile impaccio e una notevole inquietudine.
Anni e anni di scuola, e poi l’università, e poi gli impegni di lavoro, ma anche un interesse per la scrittura creativa, un interesse per lungo tempo sopito, mai però svanito del tutto. Ecco perché, a una certa età, aveva cominciato a scrivere per piacere esclusivamente personale. Dapprima aveva messo sulla carta qualche breve racconto. Convinto della bontà dei risultati raggiunti con quelle prime prove, si era in seguito cimentato nella stesura di un lavoro ben più impegnativo: un romanzo. Su quelle pagine, scritte quasi d’impulso e con una certa frenesia, aveva passato molte ore, gradevoli e faticose, a rileggere, limare, correggere, fino a quando se ne era sentito moderatamente soddisfatto. Era stata anche l’occasione in cui aveva scoperto l’indubbia utilità del computer e di un programma di scrittura. Ovviamente era certo di aver scritto delle pagine, se non impareggiabili, per lo meno un poco interessanti e certamente assai ben curate. Questo però lo pensava esclusivamente lui, si era detto in preda a qualche dubbio. Non c’era stata nessuna prova del fuoco. Non c’era stata ancora nessuna verifica esterna, che confermasse la sua convinzione. Non c’era stata la verifica della pubblicazione, del vaglio dei lettori e della loro critica. A lungo Mario aveva esitato. Alla fine aveva preso la sua brava decisione. Aveva infilato il dattiloscritto del romanzo in una busta e aveva indirizzato il plico a una notissima Casa Editrice. Dopo mesi e mesi di inquieta attesa era ormai convinto che il plico non fosse mai arrivato a destinazione, che si fosse smarrito per strada, perché non una parola di riscontro gli era mai giunta dalla Casa Editrice. Aveva anche telefonato per avere notizie. Gli era stato risposto che i manoscritti non venivano mai restituiti al mittente. In preda a profonda delusione, per un poco Mario aveva accantonato l’idea di pubblicare il suo bel romanzo, ma poi, ripreso animo, si era di nuovo deciso. Si era rivolto, una dopo l’altra, a varie e note Case Editrici. Il risultato di questi ulteriori tentativi era stato quasi identico al primo e faceva intravedere un panorama piuttosto monotono di silenziosa ripulsa. A onor del vero, due Editori si erano anche premurati di rispondere, per precisare che il romanzo non rientrava nei piani editoriali della Casa. Uno aveva aggiunto che il momento era poco favorevole alla narrativa. Fossi amico di un amico che pubblica con quella casa editrice, oppure fossi comparso più di qualche volta in televisione, a sbraitare e litigare furiosamente come fanno certi personaggi, oppure anche fossi diventato noto per una qualche azione delittuosa o particolarmente spregevole, si può scommettere che la situazione sarebbe ben diversa e che il romanzo rientrerebbe agevolmente nei piani editoriali, aveva pensato Mario con una certa malignità e un sorriso acido.
La storia che aveva scritto gli sembrava veramente bella e interessante, e cominciava a pensare che sarebbe stato un vero peccato, se fosse rimasta là ignorata, a invecchiare in triste e solitario abbandono.
Si era allora messo a chiedere nelle librerie del centro se esisteva qualche possibilità, qualche modalità diversa per pubblicare un romanzo. Con un sussulto intimo si era sentito rispondere da un libraio che il romanzo si poteva facilmente pubblicare. Bastava rivolgersi a un piccolo editore, sborsare una certa cifra di euro, non eccessiva del resto, per le spese di edizione e il romanzo sarebbe stato bene e presto pubblicato. Ma non solo, a lui sarebbe stato assegnato un numero non piccolo di copie, che avrebbe potuto distribuire tra parenti e amici. E forse poteva partecipare a qualche premio letterario, anche se, pure in questo caso, come per la pubblicazione presso una Casa Editrice nazionale, le cose potevano farsi molto, molto difficili. Era sufficiente scorrere l’elenco degli esiti di qualche premio letterario, per vedere agevolmente che ogni volta comparivano in classifica le solite Case Editrici.
Dopo esitazioni e dubbi, alla fine aveva pubblicato la sua opera prima. E aveva cominciato con il distribuire copie del romanzo tra i parenti più stretti e gli affini. In seguito, Mario aveva preso l’abitudine, quando, nel tardo pomeriggio, l’ora degli amici, usciva a passeggio in centro, in Piazza Ferretto e nelle circostanti zone pedonali, di portare con sé una borsa in cui aveva riposto alcune copie del romanzo. Quando si imbatteva in un amico o in un conoscente, dopo i convenevoli d’uso e dopo aver barattato alcune parole generiche, magari sul tempo bizzoso che imperversava da giorni, faceva in modo di portare il discorso sulla bellezza di avere del tempo libero e sulle possibilità che il tempo libero concedeva. Allora, tirava fuori lesto dalla borsa la sua opera per donarla con un sorriso all’amico o al conoscente. Dopo qualche tempo però Mario aveva cominciato a provare un certo imbarazzo per un atto così semplice e in qualche modo quasi spontaneo, perché aveva cominciato a sembrargli sempre più simile a quello del vecchio frate cappuccino della sua infanzia.
E ora si aspetta che, una volta o l’altra, mentre porge il libro, dalle sue labbra esca spontaneamente “santino”, e non può non pensare alla fine ingloriosa che avevano fatto le immagini sacre della sua fanciullezza.