Dibattiti

Vogliamo iniziare, da questo numero, una discussione sulla lingua: in particolare vorremmo conoscere l’opinione dei lettori sull’uso ormai endemico delle parole straniere.
Ci sono atteggiamenti di totale indifferenza, oppure all’opposto voglie di repressione e di autarchia, o anche tolleranza. Qual è la vostra opinione in proposito?


 

“Tony l’aveva conosciuta durante un week-end ad un fast food noto meeting di una jeunesse dorée. Fra un hamburger ed un long drink, il reciproco feeling si trasformò tout court in un flirt ...”

Comincia così il nuovo “Dizionario delle parole straniere in uso nella lingua italiana” avvertendo che sono 6500 i vocaboli stranieri in uso nel nostro linguaggio e che gli italiani sono in assoluto il popolo che più di ogni altro ricorre all’uso di termini stranieri.

Quando abbiamo letto quel pezzo di “letteratura moderna non vero ma verosimile” ci è venuto un colpo.
Siamo andati a rileggere uno dei raccontini che faceva parte della ricerca fatta dagli allievi del corso di informatica delle 150 ore della “Bandiera e Moro” nel lontano 1987 e sentite cosa scriveva un corsista:

“Andai ad un meeting a Venezia dove c’erano i vip dell’economia. Parlavano del boom economico.
Il leader era un boss di un’industria. Giovanni è un play boy, lavora part-time, durante il week end indossa i jeans e mangia nei fast food ... “

Sorprendente la somiglianza vero?

Ma non c’è bisogno di inventarsi nulla; sentite il titolo in una rivista mensile “seria”:

‘Arriva lo spot in tivù. Un’indagine mette in evidenza che la audience di network e Rai ha i suoi alti e bassi stagionali. E scopre i crolli dei break pubblicitari”.

Nel nostro piccolo avevamo confezionato un dizionarietto di 313 parole che poi erano il risultato dell’esame di soli quattro quotidiani. Ci riproponiamo di darvi i risultati di quella ricerca in un’altra occasione.

Intanto vi presentiamo alcuni pareri di esperti autorevoli. Il primo è di Guido Mini, autore di ‘Parole senza frontiere”.

 

la Repubblica

del 23/11/94

l’italiano straniero

Dopo aver affermato che spesso è impossibile trovare un corrispettivo italiano di certi termini, prosegue:
Spesso, ma non sempre. E proprio questo è il punto, afferma Mini. Perché usare trend e non tendenza, perché dire foulard e non fazzoletto, glacée e non ghiacciato, bigb societye non alta società? Sono circa 120 mila i lemmi principali che compongono in media un vocabolario e circa 45.000 i vocaboli che ha teoricamente a disposizione una persona di buona cultura. Ne discende, dallo studio di Guido Mini membro della National Geographic- Society di Washington - che quasi il 15 per cento dei nostri modi di dire potenzialmente non è italiano cioè una parola ogni dieci.
La polemica (attenzione, non la querelle) è ormai nota. Fomentata per giunta, dall’orgoglio nazionale della vicina Francia che da tempo ormai, fa quadrato intorno alla sua lingua.
Fausto Colombo, docente di Teoria e tecnica delle comunicazioni sociali all’università Cattolica di Milano, ha una sua teoria in proposito. “Mi viene in mente uno studio dell’inglese David Forgacs che si intitola ‘L’industrializzazione della cultura italiana: 1880-1980' nel quale si rispondeva all’interrogativo: gli italiani hanno subito, si sono fatti colonizzare, imperializzare, dai modelli culturali americani? La risposta è no. No perché in realtà gli italiani hanno sempre assimilato e poi rielaborato questi modelli. Per il linguaggio mi sembra che si potrebbe rispondere allo stesso modo. Dobbiamo capire però se ciò a cui si tende è una sorta di purezza assoluta del linguaggio, una specie di lingua ariana per ogni nazione. Ma se così non è, allora bisogna ricordare che molto spesso quando arriva una parola nuova, quella parola porta con sè un nuovo concetto, un nuovo significato; in questo senso, allora, è un arricchimento della cultura che lo riceve. Altro è quando un termine straniero si sostituisce ad un altro già esistente: questo è si insopportabile e si riconduce a due diversi tipi di persone. O indica un atteggiamento altezzoso, di chi vuole distinguersi dalla massa: faccio vedere che io so e mi destreggio con altre lingue; o indica una persona di bassa cultura che usando passivamente e acriticamente termini stranieri dimostra la propria povertà di linguaggio. In questo senso certamente l’uso di termini non italiani è un impoverimento. Aveva ragione Moretti: “chi parla male pensa male”. O pensa poco: e non si sa che è peggio.

IL GAZZETTINO

deL 17/02/1995

“l’anglooamericano è un pericolo reale”

Nel 2400 la lingua di Dante, Boccaccio e Petrarca, ma anche di Manzoni, potrebbe essere per gli italiani una grande sconosciuta. L’italiano è in via di estinzione?
Non è una domanda retorica, ma un pericolo reale per il linguista Giancarlo Oli, il compilatore del noto vocabolario Devoto-Oli, di cui fra pochi mesi uscirà la nuova edizione. “Esiste la concreta possibilità che nel giro di qualche secolo la lingua italiana si dilegui -ha spiegato- rimanga cioè solo la gloriosa testimonianza letteraria dal medioevo all’ottocento, non più però patrimonio collettivo dei parlanti. C’è da meravigliarsi? Nient’affatto, del resto non è scritto da nessuna parte che una lingua sia eterna”.
Dopo il recente allarme dell’Accademia della Crusca per la sciatteria che dilaga nella scrittura, il glottologo e filologo fiorentino di fama europea lancia un segnale di forte preoccupazione. E lo fa alla vigilia della sua partenza per il Canada e gli Stati Uniti, dove fra marzo e aprile, su invito delle principali università nordamericane (Toronto, Montreal, Ottawa, Chicago, Detroit, New York), terrà lezioni e conferenze a migliaia di studenti e centinaia di insegnanti di italianistica sulla crisi e la decadenza della nostra lingua.
A preoccupare il professor Oli non è il fenomeno in sè dell’invasione dei forestierismi, specialmente quelli angloamericani, che sempre più sono presenti nel lessico quotidiano degli italiani, quanto l’incapacità della nostra lingua di riuscire ad adattare i prestiti stranieri come era accaduto nei secoli passati “Fino alla fine del secolo scorso il fiorentino come lingua di riferimento dell’italiano praticava l’adattamento di tutte le parole straniere - ha ricordato il linguista - anche perché tradizionalmente non ammetteva vocaboli terminanti per consonante.
Così ad esempio il lemma angloamericano ‘jacket’ venne italianizzato in ‘giacchetta’ e ‘beef-steak’ in ‘bistecca’. Ma ora le premesse culturali che portavano a queste innovative operazioni lessicali non esistono più. E’ tramontata infatti la possibilità di accogliere nel tessuto della nostra lingua il forestierismo, che quindi rimane come non assorbito, una presenza evidentemente non omogenea”.
Quali le conseguenze della scomparsa della capacità di adattamento dal patrimonio collettivo linguistico del novecento?
“Sono nefaste. Non ci sono più le premesse perché l’italiano progredisca, si aggiorni e si consolidi. Con il passare dei decenni - ha sostenuto Oli - l’italiano sarà destinato a un indebolimento continuo, sarà sempre più prigioniero della terminologia angloamericana e la lingua della grande letteratura classica rimarrà solo un oggetto da studiare filologicamente, poiché non avrà più alcun rapporto con la realtà del momento”.

la Repubblica

del 06/10/1992

l’italiano? una lingua forestiera

Una lingua sempre più bastarda, lievemente snob, ovvero spocchiosa, e anche un po’ ridicola, infarcita com’è di anglismi, una parola si e una no target, audience, share, look, top, spot ... E’ l’italiano di oggi, tre quarti ‘puro” un quarto inglese o sedicente tale. Roba da far rabbrividire gli Accademici della Crusca che, infatti, lanciano l’ennesimo allarme. Troppi ‘forestierismi’, anche quando non serve, anche quando la madrelingua fornisce soluzioni più che degne. Protestano i puristi e invocano attenzione.
In tempi di disgregazione, separatismi e razzismi, quest’ultima sortita a difesa dell’identità linguistica nazionale ha un sapore diverso, quasi arrivasse da una possibile trincea.
Giovanni Nencioni, presidente della Crusca, nonché professore emerito alla Normale di Pisa ammonisce: ‘La lingua nazionale non si può buttare via come uno straccio vecchio, è la nostra carta d’identità, è una delle conquiste sociali degli ultimi decenni. Dirò di più! può persino avere effetti riparatori, servire da contrappeso nei confronti del rischio di disgregazione politica che stiamo vivendo ... ‘.
Ma è proprio cosi minacciato l’italiano? Si, secondo il professor Nencioni, i sintomi “dell’imbastardimento” della “contaminazione” sono evidenti. I killer della lingua (anzi, gli assassini) sono quei connazionali, inguaribilmente transnazionali, che usano look al posto di una parola bellissima come immagine... Solo un esempio fra i tanti.
Inguaribili italiani, sempre ossequiosi verso l’invasore linguistico, commenta Beppe Sevegnini, autore de “L’inglese. Lezioni semiserie” e avverte: “Non sono preoccupato per l’integrità della lingua però mi spaventa il ridicolo e gli italiani hanno una vocazione nazionale per il ridico…”

“La soluzione è la scuola dice il presidente della Crusca - Per oltre un decennio si è praticato lo spontaneismo. Ma non si trasmette una civiltà, una cultura, con la lingua spontanea. Agli studenti vanno insegnate le strutture reali della lingua ...”

Ritorno massiccio alle poesie a memoria, alle letture in classe come propone Jack Lang in Francia, preoccupato dall’analfabetismo delle ultime generazioni? Forse. Ma per il momento la Crusca si accontenterebbe di rimandare al mittente le parole inglesi superflue. No a look e top. Si all’uso, solo linguistico, del fast food, definito “costumanza straniera” perciò legittimamente conservato in versione originale”...