un vicino inquieto

le origini del conflitto nella ex Iugoslavia

di Elena Ramacciotti

Balcani: una penisola protesa tra il mar Adriatico, lo Jonio, il Mediterraneo, l'Egeo e il mar Nero. Un mosaico di popolazioni: greci, albanesi, valacchi, armeni, romeni, slavi, bulgari, ebrei, tzigani. Varie le confessioni religiose: cattolica, ortodossa, protestante, musulmana, ebraica. Una divisione politica tra Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia, Albania, Grecia, Bulgaria e Turchia. Tutto questo è la regione balcanica. E' subito facile intuire che questa zona sia stata esposta più di altre nel passato al pericolo di squilibri, tensioni, nazionalismi, guerre. Purtroppo possiamo inoltre affermare, con sufficiente sicurezza, che i problemi deflagrati allora sono oggi ancora piuttosto lontani da una positiva e definitiva risoluzione. Il conflitto che definiamo genericamente come quello che ha dilaniato la ex Iugoslavia non è che l'ultimo atto in quella che già gli storici hanno definito la "crisi dei Balcani". Tutte le inquietudini che hanno percorso questa regione hanno origini lontane nel tempo scoppiate già violentemente tra la fine dell'800 e i primi anni del XX secolo. Nel 1878 il Congresso di Berlino aveva cercato di dare sistemazione ai possedimenti turchi in Europeo, sanzionando l'indipendenza della Serbia, del Montenegro e della Romania. Successivamente la Turchia subì un'altra perdita territoriale, con l'annessione di Creta alla Grecia. Era ormai chiaro che l'impero ottomano, da secoli in crisi, stava entrando in una fase di irreversibile disgregazione. In vista della sua definitiva rovina si trattava di vedere chi ne avrebbe beneficiato. Su questo si aprì la competizione tra le grandi potenze: la Germania non nascondeva di mirare ad una durevole egemonia sulla regione così come la Gran Bretagna aveva interessi sia economici che militari e, non ultima, la volontà di impedire un eccessivo rafforzamento tedesco. Impero austro-ungarico e Russia invece manifestavano una rivalità più diretta: il primo voleva allargarsi a spese della Turchia e d'altra parte intendeva porre sotto controllo il nazionalismo balcanico in particolare serbo che sempre più rappresentava una minaccia. La Serbia infatti aspirava all'egemonia su tutti i popoli slavi dell'area, compresi quelli sottoposti alla corona asburgica. La Russia, di contro, appoggiava il nazionalismo serbo per accrescere la propria influenza sulla regione e per dar compimento al suo progetto di arrivare ai mari caldi servendosi dell'ideologia panslava. Anche l'Italia non nascondeva il desiderio di allargare i suoi territori sull'Adriatico. Per chiudere il quadro dobbiamo ricordare infine che i nazionalismi della regione erano ormai maturi, socialmente e politicamente, per l'indipendenza.

La situazione, già confusa e contraddittoria, precipitò con il 1908, quando una rivolta delle truppe turche in Macedonia, portò al potere a Istanbul il gruppo progressista - costituzionalista dei «giovani turchi» che però non riuscirono a trasformare il loro stato da un impero multinazionale debole in uno stato nazionale forte. I primi contraccolpi di questa rivalità costituzionalista portarono alla proclamazione dell'indipendenza bulgara e l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parete dell'Austria. L'espansione territoriale austriaca provocò l'ostilità sia della Serbia (privata di uno sbocco al mare), sia dell'Italia. Nel 1910 dopo la Serbia, la Romania e la Bulgaria nasceva un altro stato indipendente balcanico: il Montenegro. I comuni interessi antiturchi avrebbero rapidamente portato Serbia, Bulgaria, Montenegro e Grecia a unirsi nella Lega balcanica e, nel 1912, ad attaccare quello che restava dell'Impero ottomano. Uniti nella guerra, però, gli stati balcanici si trovarono ben presto divisi sulla pace: nel 1913 scoppiò infatti la guerra tra Bulgaria e Serbia per la spartizione della Macedonia che coinvolse, a fianco della Serbia, gli altri stati della Lega. La Serbia risultò vincitrice ma continuò a vedersi impedito lo sbocco al mare essenzialmente se non esclusivamente per l'opposizione dell'Austria che non trovò altra soluzione che tenere i serbi sotto un controllo soffocante. Questo portò ad una violenta e rapida crescita del nazionalismo serbo e ad una tendenza allo scontro con l'Impero asburgico. Era una situazione così esplosiva che l'intervento nella regione di una qualsiasi delle grandi potenze europee avrebbe minacciato di trasformare il conflitto locale in un conflitto di dimensioni assai più vaste, in una verifica degli equilibri e dei rapporti di forza di tutto il continente. Verifica a cui si fu inevitabilmente costretti pochi mesi dopo, quando a Sarajevo il serbo nazionalista Gavrilo Pricip uccise l'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie: era il 28 giugno 1914. La prima guerra mondiale scoppierà poco dopo proprio nella polveriera balcanica.