a cura di  Mario Meggiato


Si è tenuta a Mestre, martedì 20 aprile, una conferenza organizzata dal sindacato C.G.I.L. sulla attuale crisi nei Balcani.

 

Il professore di storia, Massimo Costantini, ha delineato una sintesi storica delle Regioni Balcaniche; in particolare ha posto l'attenzione sul fatto che l'Europa non ha avuto nelle vicende un ruolo preciso e non ha voluto affrontare il drammatico problema quando questo stava emergendo. Problema che ha origini remote e che hanno a che vedere con l'impero turco e quindi con la disgregazione dell'Impero Austro-Ungarico. Si trovano in quest'area a convivere popolazioni di diverse etnie e diverse religioni (cattolici, ortodossi e mussulmani). Nel 1929 ha origine quella che poi sarà chiamata Jugoslavia. La seconda guerra mondiale diventa momento particolarmente importante per queste regioni: nel 1941 infatti la Germania sottomette la Jugoslavia e attacca l'Unione Sovietica.
Sarà il Maresciallo Tito a organizzare la più importante resistenza europea contro il nazi-fascismo. Tale resistenza avrà come esito la liberazione e la costituzione della Federazione Jugoslava formata da sei repubbliche e due provincie autonome (Vojvodina e Kosovo).
La ricercatrice, dottoressa Melita Richter, preciserà poi che Tito, data la sua particolare formazione culturale, sarà attento alle minoranze.
La morte di Tito, avvenuta nel 1980, costituirà l'inizio delle difficoltà a causa dell'accentuarsi dei nazionalismi; difficoltà che diverranno più marcate a partire dal 1991.
Iniziano infatti i separatismi favoriti anche dall'Europa che riconosce i separatisti concedendo loro prestiti in cambio di privatizzazioni ed austerità con l'obbiettivo di controllare i Balcani (in concomitanza con il processo di globalizzazione mondiale dei mercati).
Altro fatto importante da rilevare è la crisi dell'Unione Sovietica e il crollo del muro di Berlino del 1989. La Russia è sempre più preoccupata che la crisi slava sia la premessa del proprio dissolvimento.
La dottoressa Richter ha evidenziato come la richiesta di indipendenza di alcune repubbliche risultasse realizzabile solamente con spargimento di sangue e crimini per la presenza all'interno delle singole repubbliche di culture e religioni molto diverse, rilevando nel contempo i ritardi della NATO e della stessa Europa.
Proprio perchè è difficile armonizzare queste diverse culture e sensibilità religiose, che influiscono pesantemente sui comportamenti delle singole popolazioni, il professor Giuseppe Gosis, altro docente universitario intervenuto, ha auspicato una "liberazione della memoria" che superi "la sacralità etnica". Ciò può avvenire, ha proseguito il docente, mediante un accordo tra le diverse chiese presenti nei Balcani, da un lato, ma, dall'altro attraverso un ripensamento che deve operare l'Occidente, detentore di una cultura razionale che isola sè dal resto del mondo, ma che per fortuna può anche essere autocritica. Proprio per questa capacità di autocritica deve rivedere il proprio ruolo di guardiano internazionale dei diritti umani, un compito positivo se utilizzato a vantaggio del bene dei popoli, negativo se legato all'interesse tecnologico imperialistico. Ha individuato nella città di Venezia l'ambito possibile adatto per un confronto finalizzato alla pace. Occorre anche promuovere un atteggiamento che elimini "la paralisi dell'informazione" perché questa difetta e prevalga invece la comunicazione. Il professor Gosis ha evidenziato un'ulteriore contraddizione: la superiorità tecnica dei paesi della NATO nei confronti di un paese relativamente povero.
La crisi nei Balcani è una crisi veramente complessa, ha concluso il professor Umberto Curi, ultimo docente intervenuto, anche perchè gli schemi interpretativi che storicamente sono stati adottati risultano ora del tutto inadeguati proprio a causa della caduta del muro di Berlino e del comunismo.

 

"balcanizzazione": una parola arrivata sul dizionario 

Come è immediatamente evidente il termine “balcanizzazione” deriva da Balcani, la regione (o penisola) che si estende dal Mar Nero all’Adriatico.
Fra fine ‘800 e inizi ‘900 quella zona, dalla realtà assai complicata sotto il profilo etnico e religioso, sottoposta a numerose pressioni esterne, fu particolarmente “calda”: non solo i paesi, di recente indipendenza, che la formavano erano internamente turbolenti, ma anche i loro reciproci rapporti erano infuocati.
In rapporto alle condizioni della penisola balcanica durante questo periodo, nei giornali britannici viene coniato il termine to balkanize, col significato - registrato già nel 1931 da Alfredo Panzini - di “ridurre un paese alle condizioni di disordine e violenza [...] usuali negli Stati balcanici”. Un importante dizionario francese, il Robert, dà al sostantivo balkanisation il significato di “spezzettamento politico d’un paese, d’un impero” e ne data la comparsa al 1920 circa in relazione ai Balcani e la sua estensione ad altre aree del globo addirittura al 1966.
Oggi, sfogliando l’ultimo Zingarelli, noi italiani possiamo leggere alla voce balcanico, oltre al primo significato che si riferisce ovviamente a tutto ciò che è relativo alla penisola balcanica, un secondo che recita: “caotico, violento, secondo la maniera di governo ritenuta tipica degli antichi stati balcanici”.
E chi vuol capir, capisca.