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Il professore di storia, Massimo Costantini, ha delineato una
sintesi storica delle Regioni Balcaniche; in particolare ha posto l'attenzione
sul fatto che l'Europa non ha avuto nelle vicende un ruolo preciso e non ha
voluto affrontare il drammatico problema quando questo stava emergendo. Problema
che ha origini remote e che hanno a che vedere con l'impero turco e quindi con
la disgregazione dell'Impero Austro-Ungarico. Si trovano in quest'area a
convivere popolazioni di diverse etnie e diverse religioni (cattolici, ortodossi
e mussulmani). Nel 1929 ha origine quella che poi sarà chiamata Jugoslavia. La
seconda guerra mondiale diventa momento particolarmente importante per queste
regioni: nel 1941 infatti la Germania sottomette la Jugoslavia e attacca
l'Unione Sovietica.
Sarà il Maresciallo Tito a organizzare la più importante
resistenza europea contro il nazi-fascismo. Tale resistenza avrà come esito la
liberazione e la costituzione della Federazione Jugoslava formata da sei
repubbliche e due provincie autonome (Vojvodina e Kosovo).
La ricercatrice, dottoressa Melita Richter, preciserà poi
che Tito, data la sua particolare formazione culturale, sarà attento alle
minoranze.
La morte di Tito, avvenuta nel 1980, costituirà l'inizio
delle difficoltà a causa dell'accentuarsi dei nazionalismi; difficoltà che
diverranno più marcate a partire dal 1991.
Iniziano infatti i separatismi favoriti anche dall'Europa che
riconosce i separatisti concedendo loro prestiti in cambio di privatizzazioni ed
austerità con l'obbiettivo di controllare i Balcani (in concomitanza con il
processo di globalizzazione mondiale dei mercati).
Altro fatto importante da rilevare è la crisi dell'Unione
Sovietica e il crollo del muro di Berlino del 1989. La Russia è sempre più
preoccupata che la crisi slava sia la premessa del proprio dissolvimento.
La dottoressa Richter ha evidenziato come la richiesta di
indipendenza di alcune repubbliche risultasse realizzabile solamente con
spargimento di sangue e crimini per la presenza all'interno delle singole
repubbliche di culture e religioni molto diverse, rilevando nel contempo i
ritardi della NATO e della stessa Europa.
Proprio perchè è difficile armonizzare queste diverse
culture e sensibilità religiose, che influiscono pesantemente sui comportamenti
delle singole popolazioni, il professor Giuseppe Gosis, altro docente
universitario intervenuto, ha auspicato una "liberazione della
memoria" che superi "la sacralità etnica". Ciò può avvenire,
ha proseguito il docente, mediante un accordo tra le diverse chiese presenti nei
Balcani, da un lato, ma, dall'altro attraverso un ripensamento che deve operare
l'Occidente, detentore di una cultura razionale che isola sè dal resto del
mondo, ma che per fortuna può anche essere autocritica. Proprio per questa
capacità di autocritica deve rivedere il proprio ruolo di guardiano
internazionale dei diritti umani, un compito positivo se utilizzato a vantaggio
del bene dei popoli, negativo se legato all'interesse tecnologico
imperialistico. Ha individuato nella città di Venezia l'ambito possibile adatto
per un confronto finalizzato alla pace. Occorre anche promuovere un
atteggiamento che elimini "la paralisi dell'informazione" perché
questa difetta e prevalga invece la comunicazione. Il professor Gosis ha
evidenziato un'ulteriore contraddizione: la superiorità tecnica dei paesi della
NATO nei confronti di un paese relativamente povero.
La crisi nei Balcani è una crisi veramente complessa, ha
concluso il professor Umberto Curi, ultimo docente intervenuto, anche perchè
gli schemi interpretativi che storicamente sono stati adottati risultano ora del
tutto inadeguati proprio a causa della caduta del muro di Berlino e del
comunismo.
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"balcanizzazione":
una parola arrivata sul dizionario
Come è immediatamente evidente il termine “balcanizzazione” deriva da
Balcani, la regione (o penisola) che si estende dal Mar Nero all’Adriatico.
Fra fine ‘800 e inizi ‘900 quella zona, dalla realtà assai complicata sotto il profilo etnico e religioso, sottoposta a numerose pressioni esterne, fu particolarmente “calda”: non solo i paesi, di recente indipendenza, che la formavano erano internamente turbolenti, ma anche i loro reciproci rapporti erano infuocati.
In rapporto alle condizioni della penisola balcanica durante questo periodo, nei giornali britannici viene coniato il termine to
balkanize, col significato - registrato già nel 1931 da Alfredo Panzini - di “ridurre un paese alle condizioni di disordine e violenza [...] usuali negli Stati balcanici”. Un importante dizionario francese, il
Robert, dà al sostantivo balkanisation il significato di “spezzettamento politico d’un paese, d’un impero” e ne data la comparsa al 1920 circa in relazione ai Balcani e la sua estensione ad altre aree del globo addirittura al 1966.
Oggi, sfogliando l’ultimo Zingarelli, noi italiani possiamo leggere alla voce
balcanico, oltre al primo significato che si riferisce ovviamente a tutto ciò che è relativo alla penisola
balcanica, un secondo che recita: “caotico, violento, secondo la maniera di governo ritenuta tipica degli antichi stati balcanici”.
E chi vuol capir, capisca. |