a cura del laboratorio di Filosofia


Ogni promessa è un debito e così eccoci qua ad onorare l’impegno preso con “La pagina di Rosetta”, lo spazio giornalistico riservato alla filosofia. Su questa materia l’associazione “Nicola Saba” organizza da tempo due corsi monografici; quest’anno il primo è dedicato alla filosofia greca antica da Talete a Socrate, il secondo alla filosofia moderna con l’occhio puntato su Marx, Kirkegaard, Compte, Spencer, Ardigò, Nietzsche. In questa puntata, un po’ per coinvolgere nuovi appassionati un po’ per onorare la memoria di Rosetta che su tale questione ci si buttava con passione e creatività, parleremo di “Cos’è e come nacque la filosofia nella Grecia del sesto secolo avanti Cristo”.

 

Alla lettera filosofia significa "aver cura del sapere". Tenendo presente che nella parola sòphos (sapiente) risuona, così come in saphès (chiaro manifesto evidente vero) il senso di phàos (la luce), allora filosofia significa: "aver cura per ciò che, stando nella luce, non può esser in alcun modo negato" o anche in maniera più esplicita "aver cura della verità". Da allora ad oggi la filosofia è "tesa alla ricerca della verità" (Gino) e lo fa "alla luce della ragione che interrogandosi sul senso delle cose mette in questione, attraverso il dubbio, le affermazioni ovvie e scontate; è proprio il caso di dire che il filosofo, a proposito dell’interpretazione generale dell’universo e del tutto, vuol vederci chiaro" (Mary).
Alla luce della ragione per prima cosa la filosofia mette in discussione quella che per millenni era stata la guida indiscutibile ed infallibile per l’uomo: il mito. Che non significa come l’intendiamo oggi leggenda favola o fola, bensì parola sentenza annunzio, realtà stessa nella sua intima essenza. Insomma il mondo degli dei e la sua organizzazione sancita dal fato era la verità assoluta attraverso cui l’uomo interpretava e viveva le vicende della, e sulla terra.
La filosofia mette in crisi, anzi distrugge il mito perché, evocando un senso mai udito prima (inaudito) della verità, si rivolge alla Totalità delle cose. Esiste un’inscindibile connessione tra verità e Tutto. Il pensiero attraversa, senza lasciarsi distrarre, l’infinita e svariata ricchezza delle cose (visibili e invisibili, corporee e incorporee, il mondo umano e quello divino, le illusioni, le speranze e ogni universo), per rivolgersi al Tutto al di là del quale non esiste niente e dentro cui invece si raccolgono insieme in suprema unità le cose più differenti ed antitetiche.
La filosofia fin dal suo nascere non si rivolge a questa o a quella dimensione particolare della realtà (neppure a una scienza o disciplina specifica come la matematica la medicina od altro) ma al Tutto (che costituisce quindi l’oggetto che ne qualifica la natura) per chiedersi quale sia la verità innegabile. "Penso sia assurdo cercare di comprendere il Tutto; far questo tentativo significherebbe chiudere definire limitare il Tutto, riducendolo ad un tutto qualsivoglia e quindi non più al Tutto" (Gino).
I primi filosofi hanno chiaro il concetto di Tutto come l’oggetto del pensiero, non da comprendere, ma da veder, con chiarezza, alla luce della ragione. Il Tutto non è un aspetto dell’essere, ma l’essere stesso, la "regione" in cui stanno tutti gli enti ed oltre la quale non c’è nulla. Le cose che nascono non provengono da una dimensione che si trovi al di là del Tutto e morendo non vanno a finire oltre i confini estremi del medesimo (dove peraltro per logica non può esserci nulla). Le cose, gli enti (acqua, sole terra aria, ma anche idee opere e traffici umani, ecc.) sono abitatrici del Tutto non solo nel senso che si trovano in esso, ma anche perché l’origine da cui vengono e il termine ultimo cui andandosene (finendo o morendo) pervengono, stanno essi stessi nel Tutto. Guardate le piante: spuntano dalla terra nascendo e tornano ad essa morendo, ma in qualche modo esistono già nella terra prima di nascere e nella terra continuano ad esistere anche dopo esser marcite; la terra le tiene raccolte in un’unità che alla superficie (molteplice e cangiante quindi diveniente) non si lascia vedere.
Questa metafora spiega come le cose che abitano il Tutto vengano da un’unità e tornino nell’unità che è il centro del Tutto, la loro origine (Archè), il loro principio unificatore. Diceva Eraclito (VI-V sec. a.C.): "Tutte le cose sono Uno, da tutte le cose l’Uno e dall’Uno tutte le cose". L’archè è il principio eterno ed incorruttibile da cui proviene ogni cosa corruttibile soggetta al divenire temporale. Oltre tale principio non c’è nulla perché, come afferma Parmenide (VI-V sec. a.C.): "il nulla genera nulla". In base a questi serrati ragionamenti forse ora è più facile comprendere perché gli dei del mito greco furono la prima "vittima" illustre della filosofia. Il fatto che fossero molteplici già costituiva una chiara contraddizione con l’Uno-Tutto che pretendevano di essere; per di più erano eterni solo…a metà, eh sì, perché non morivano, ma nascevano e la loro origine rimandava ad una regione (il caos) che, per quanto indistinta ed invisibile, segnava un qualcosa che stava al di là, oltre i confini di un tutto che pertanto portava in sé una contraddittoria e cattiva infinità. Non dimentichiamo che il famoso filosofo Socrate nel 399 a.C. viene processato e condannato a morte perché accusato di corrompere i giovani di Atene insegnando loro che gli dei (quelli in cui la gente credeva e sui quali la società ed il potere si fondava) erano una fantasia e un’invenzione umana, che in pratica non esistevano.
Riprendendo il ragionamento sull’oggetto della filosofia, cioè il Tutto, abbiamo visto che esso ha due caratteristiche basilari: è Uno e Archè, vale a dire che è principio unificatore delle cose. Ma ve n’è anche una terza, molto importante: è l’Identità o l’unità del diverso.
La molteplicità (differenza) e il divenire (generazione crescita e morte) delle cose è possibile solo all’interno dell’Uno che altro non è se non ciò che vi è di identico, di comune in ognuna di esse. Ora, stabilito l’ambito della ricerca filosofica, cioè il Tutto con le sue caratteristiche (vere alla luce della ragione), il lettore si chiederà: bene ho capito qual è il campo d’azione della filosofia, ma questo benedetto Tutto cos’è o chi è?
È proprio qui che comincia il cammino del pensiero filosofico, il percorso originale di ogni pensatore che tenendo conto delle riflessioni altrui, elabora rappresentazioni personali della realtà e del Tutto che, invisibile, la pervade ed unifica. Per Talete (VI sec. a.C.) ad esempio, il primo filosofo greco da cui ogni manuale fa iniziare la storia della filosofia, il Tutto da cui ogni cosa si origina e in cui ritorna è l’Acqua: "l’elemento primo costitutivo di ogni cosa per Talete è l’acqua, che rappresenta ciò che vi è di identico nella diversità delle cose. Lo indicò perché probabilmente in essa vedeva l’origine della vita - il brodo primordiale - da cui nascono piante animali uomini (nel grembo materno il feto sta nell’acqua)" (Clara).
L’acqua comunque di cui parla Talete non è l’acqua sensibile di cui ci si bagna e che si beve; l’acqua sensibile è soltanto una delle molte e diverse cose dell’universo che derivano dall’Acqua intesa come Tutto. Sarà! Certo che il ragionamento non convinse Anassimandro, suo conterraneo e coetaneo il quale pensò bene di battezzare l’Archè, il principio unitario, col nome di Apeiron che alla lettera significa infinito illimitato immenso. Per lui il Tutto non può esser costituito da qualcosa di limitato o particolare, perché altrimenti che principio unitario può essere? Perciò l’acqua di Talete non aveva le caratteristiche adatte per sorreggere il peso dell’universo; a tal scopo meglio s’attagliava l’idea di un principio non limitato non finito non particolare, l’Apeiron appunto, l’infinito da cui ogni cosa finita deriva, l’identico che pervade il diverso.
E a tal proposito Anassimandro introduce per primo l’idea che tale Tutto debba aver in sé anche la Regola secondo cui viene organizzato l’universo. Per lui la generazione dell’universo è generazione dei contrari: notte e giorno, caldo e freddo, vita e morte. "L’Apeiron è unità degli opposti, in esso è racchiusa dall’eternità l’opposizione, senza della quale non ci sarebbe vita (che è alternanza di vita e morte) e si rischierebbe la prevaricazione: l’equilibrio è fondato sul principio del contrasto" (Clara). Naturalmente questo ragionamento non comodò al filosofo che per terzo troviamo sempre nel nostro famoso manuale, e cioè Anassimene.
Quali critiche mosse al conterraneo di Mileto e quali osservazioni propose? Ve lo diremo alla prossima puntata. Se vi ha incuriosito la dissertazione avete due possibilità: o consultare il famoso manuale o iscrivervi al corso di filosofia per il prossimo anno. Ah dimenticavo, la filosofia è speculazione (riflessione) teoretica (logica e razionale), ma anche scelta di vita: "Compito del filosofo è quello di giustificare razionalmente l’opzione esistenziale; la filosofia altro non è che l’esercizio propedeutico alla saggezza, peraltro mai raggiungibile. Il ragionamento teoretico innerva il comportamento che a sua volta sorregge il pensiero. Non si può ad esempio separare la riflessione filosofica di Socrate dalla sua stessa vita e dalla morte medesima che egli accettò per testimoniare le proprie idee; nell’antica Grecia la filosofia si pratica all’interno di un gruppo o di una scuola dove c’è un rapporto diretto fra il discepolo e il filosofo che è il maestro" (Mario).
Ed ancora: "La filosofia non è solo teoresi, ma anche etica, essa parla dei principi che regolano il comportamento dell’uomo; al di sotto di ogni nostro agire ci sta sempre una determinata filosofia che ispira le nostre azioni. La teoretica è la speculazione su ciò che è vero o falso, l’etica la riflessione su ciò che è bene o male" (Clara).
E in merito c’è da sbizzarrirsi a capire come nel corso della storia i filosofi l’abbiano pensata!

Il manuale usato nei corsi "N. Saba" e da cui son tratte molte delle osservazioni di tale articolo è di Emanuele Severino ed è intitolato:" La filosofia antica", ediz. Rizzoli.
I nomi propri tra parentesi sono dei corsisti di filosofia che hanno scritto di loro pugno i propri commenti sulle questioni trattate durante le varie lezioni.