a cura del laboratorio di Filosofia
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Alla lettera filosofia significa "aver cura del
sapere". Tenendo presente che nella parola sòphos
(sapiente) risuona, così come in saphès (chiaro manifesto evidente
vero) il senso di phàos (la luce), allora filosofia significa:
"aver cura per ciò che, stando nella luce, non può esser in alcun modo
negato" o anche in maniera più esplicita "aver cura della
verità". Da allora ad oggi la filosofia è "tesa alla ricerca della
verità" (Gino) e lo fa "alla luce della ragione che
interrogandosi sul senso delle cose mette in questione, attraverso il dubbio, le
affermazioni ovvie e scontate; è proprio il caso di dire che il filosofo, a
proposito dell’interpretazione generale dell’universo e del tutto, vuol
vederci chiaro" (Mary).
Alla luce della ragione per prima cosa la filosofia mette in discussione quella
che per millenni era stata la guida indiscutibile ed infallibile per l’uomo:
il mito. Che non significa come l’intendiamo oggi leggenda favola o fola,
bensì parola sentenza annunzio, realtà stessa nella sua intima essenza.
Insomma il mondo degli dei e la sua organizzazione sancita dal fato era la
verità assoluta attraverso cui l’uomo interpretava e viveva le vicende della,
e sulla terra.
La filosofia mette in crisi, anzi distrugge il mito perché, evocando un senso
mai udito prima (inaudito) della verità, si rivolge alla Totalità
delle cose. Esiste un’inscindibile connessione tra verità e Tutto. Il
pensiero attraversa, senza lasciarsi distrarre, l’infinita e svariata
ricchezza delle cose (visibili e invisibili, corporee e incorporee, il mondo
umano e quello divino, le illusioni, le speranze e ogni universo), per
rivolgersi al Tutto al di là del quale non esiste niente e dentro cui invece si
raccolgono insieme in suprema unità le cose più differenti ed antitetiche.
La filosofia fin dal suo nascere non si rivolge a questa o a quella dimensione
particolare della realtà (neppure a una scienza o disciplina specifica come la
matematica la medicina od altro) ma al Tutto (che costituisce quindi l’oggetto
che ne qualifica la natura) per chiedersi quale sia la verità innegabile.
"Penso sia assurdo cercare di comprendere il Tutto; far questo tentativo
significherebbe chiudere definire limitare il Tutto, riducendolo ad un tutto
qualsivoglia e quindi non più al Tutto" (Gino).
I primi filosofi hanno chiaro il concetto di Tutto come l’oggetto del
pensiero, non da comprendere, ma da veder, con chiarezza, alla luce della
ragione. Il Tutto non è un aspetto dell’essere, ma l’essere stesso, la
"regione" in cui stanno tutti gli enti ed oltre la quale non c’è
nulla. Le cose che nascono non provengono da una dimensione che si trovi al di
là del Tutto e morendo non vanno a finire oltre i confini estremi del medesimo
(dove peraltro per logica non può esserci nulla). Le cose, gli enti (acqua,
sole terra aria, ma anche idee opere e traffici umani, ecc.) sono abitatrici del
Tutto non solo nel senso che si trovano in esso, ma anche perché l’origine
da cui vengono e il termine ultimo cui andandosene (finendo o morendo)
pervengono, stanno essi stessi nel Tutto. Guardate le piante: spuntano dalla
terra nascendo e tornano ad essa morendo, ma in qualche modo esistono già nella
terra prima di nascere e nella terra continuano ad esistere anche dopo esser
marcite; la terra le tiene raccolte in un’unità che alla superficie
(molteplice e cangiante quindi diveniente) non si lascia vedere.
Questa metafora spiega come le cose che abitano il Tutto vengano da un’unità
e tornino nell’unità che è il centro del Tutto, la loro origine (Archè),
il loro principio unificatore. Diceva Eraclito (VI-V sec. a.C.): "Tutte le
cose sono Uno, da tutte le cose l’Uno e dall’Uno tutte le cose". L’archè
è il principio eterno ed incorruttibile da cui proviene ogni cosa corruttibile
soggetta al divenire temporale. Oltre tale principio non c’è nulla perché,
come afferma Parmenide (VI-V sec. a.C.): "il nulla genera nulla". In
base a questi serrati ragionamenti forse ora è più facile comprendere perché
gli dei del mito greco furono la prima "vittima" illustre della
filosofia. Il fatto che fossero molteplici già costituiva una chiara
contraddizione con l’Uno-Tutto che pretendevano di essere; per di più erano
eterni solo…a metà, eh sì, perché non morivano, ma nascevano e la loro
origine rimandava ad una regione (il caos) che, per quanto indistinta ed
invisibile, segnava un qualcosa che stava al di là, oltre i confini di un tutto
che pertanto portava in sé una contraddittoria e cattiva infinità. Non
dimentichiamo che il famoso filosofo Socrate nel 399 a.C. viene processato e
condannato a morte perché accusato di corrompere i giovani di Atene insegnando
loro che gli dei (quelli in cui la gente credeva e sui quali la società ed il
potere si fondava) erano una fantasia e un’invenzione umana, che in pratica
non esistevano.
Riprendendo il ragionamento sull’oggetto della filosofia, cioè il Tutto,
abbiamo visto che esso ha due caratteristiche basilari: è Uno e Archè, vale a
dire che è principio unificatore delle cose. Ma ve n’è anche una terza,
molto importante: è l’Identità o l’unità del diverso.
La molteplicità (differenza) e il divenire (generazione crescita e morte) delle
cose è possibile solo all’interno dell’Uno che altro non è se non ciò che
vi è di identico, di comune in ognuna di esse. Ora, stabilito l’ambito della
ricerca filosofica, cioè il Tutto con le sue caratteristiche (vere alla luce
della ragione), il lettore si chiederà: bene ho capito qual è il campo d’azione
della filosofia, ma questo benedetto Tutto cos’è o chi è?
È proprio qui che comincia il cammino del pensiero filosofico, il percorso
originale di ogni pensatore che tenendo conto delle riflessioni altrui, elabora
rappresentazioni personali della realtà e del Tutto che, invisibile, la pervade
ed unifica. Per Talete (VI sec. a.C.) ad esempio, il primo filosofo greco da cui
ogni manuale fa iniziare la storia della filosofia, il Tutto da cui ogni cosa si
origina e in cui ritorna è l’Acqua: "l’elemento primo
costitutivo di ogni cosa per Talete è l’acqua, che rappresenta ciò che vi è
di identico nella diversità delle cose. Lo indicò perché probabilmente in
essa vedeva l’origine della vita - il brodo primordiale - da cui nascono
piante animali uomini (nel grembo materno il feto sta nell’acqua)"
(Clara).
L’acqua comunque di cui parla Talete non è l’acqua sensibile di cui ci si
bagna e che si beve; l’acqua sensibile è soltanto una delle molte e diverse
cose dell’universo che derivano dall’Acqua intesa come Tutto. Sarà! Certo
che il ragionamento non convinse Anassimandro, suo conterraneo e coetaneo il
quale pensò bene di battezzare l’Archè, il principio unitario, col nome di Apeiron
che alla lettera significa infinito illimitato immenso. Per lui il Tutto non
può esser costituito da qualcosa di limitato o particolare, perché altrimenti
che principio unitario può essere? Perciò l’acqua di Talete non aveva le
caratteristiche adatte per sorreggere il peso dell’universo; a tal scopo
meglio s’attagliava l’idea di un principio non limitato non finito non
particolare, l’Apeiron appunto, l’infinito da cui ogni cosa finita deriva, l’identico
che pervade il diverso.
E a tal proposito Anassimandro introduce per primo l’idea che tale Tutto debba
aver in sé anche la Regola secondo cui viene organizzato l’universo.
Per lui la generazione dell’universo è generazione dei contrari: notte
e giorno, caldo e freddo, vita e morte. "L’Apeiron è unità degli
opposti, in esso è racchiusa dall’eternità l’opposizione, senza della
quale non ci sarebbe vita (che è alternanza di vita e morte) e si rischierebbe
la prevaricazione: l’equilibrio è fondato sul principio del contrasto"
(Clara). Naturalmente questo ragionamento non comodò al filosofo che per terzo
troviamo sempre nel nostro famoso manuale, e cioè Anassimene.
Quali critiche mosse al conterraneo di Mileto e quali osservazioni propose? Ve
lo diremo alla prossima puntata. Se vi ha incuriosito la dissertazione avete due
possibilità: o consultare il famoso manuale o iscrivervi al corso di filosofia
per il prossimo anno. Ah dimenticavo, la filosofia è speculazione (riflessione)
teoretica (logica e razionale), ma anche scelta di vita: "Compito del
filosofo è quello di giustificare razionalmente l’opzione esistenziale; la
filosofia altro non è che l’esercizio propedeutico alla saggezza, peraltro
mai raggiungibile. Il ragionamento teoretico innerva il comportamento che a sua
volta sorregge il pensiero. Non si può ad esempio separare la riflessione
filosofica di Socrate dalla sua stessa vita e dalla morte medesima che egli
accettò per testimoniare le proprie idee; nell’antica Grecia la filosofia si
pratica all’interno di un gruppo o di una scuola dove c’è un rapporto
diretto fra il discepolo e il filosofo che è il maestro" (Mario).
Ed ancora: "La filosofia non è solo teoresi, ma anche etica, essa parla
dei principi che regolano il comportamento dell’uomo; al di sotto di ogni
nostro agire ci sta sempre una determinata filosofia che ispira le nostre
azioni. La teoretica è la speculazione su ciò che è vero o falso, l’etica
la riflessione su ciò che è bene o male" (Clara).
E in merito c’è da sbizzarrirsi a capire come nel corso della storia i
filosofi l’abbiano pensata!
Il manuale usato nei corsi "N. Saba" e da cui son tratte molte delle osservazioni di tale articolo è di Emanuele Severino ed è intitolato:" La filosofia antica", ediz. Rizzoli.