a cura di Aldo Ghioldi


A sud-est del Nuovo Mondo, tra il Chiapas ed il Tabasco, l'Honduras ed El Salvador,  in un'area di 250 000 Kmq interessata da diversi ecosistemi, nacque e si sviluppò la civiltà più alta, quella dei Maya. Nel X secolo sotto la spinta della penetrazione tolteca, i Maya dovettero emigrare verso nord, verso la penisola dello Yucatàn dove fondarono grandi città. La civiltà maya fiorì dal 1800 a.C. sino alla conquista spagnola del XVI secolo.

 

 

 

 

Nascita ed apogeo della civiltà Maya

A sud-est del grande paese, tra il Chiapas ed il Tabasco a ovest e l’Honduras ed El Salvador occidentali, si stende la terra dei Maya: 250 000 kmq di un territorio dai profondi contrasti geografici, dalle alte terre vulcaniche del sud alle pianure selvose di Petèn sino a quelle aride e calcaree dello Yucatàn. 
Ad un’agricoltura estensiva, praticata mediante il disbo-scamento e la bruciatura dei campi prima della semina, si accompagnò poco prima del 2000 a.C., nei villaggi delle valli dei fiumi Hondo e Nuevo (Belize), la comparsa della ceramica.
Quando, alla fine di questo periodo, la presenza della cultura della Costa del Golfo scomparve, restarono ai Maya i modelli di istituzioni politiche stabili ed ereditarie oltre alle conquiste intellettuali che per primi gli Olmechi avevano fornito alla Mesoamerica. 
Iniziò così l’apogeo della civiltà maya, con le grandi città-stato delle pianure, nelle quali il sovrano regnava per diritto divino e affidava ai membri della propria famiglia le cariche religiose e politiche più importanti.
Nella prima fase del Periodo Classico (250-550 d.C.) fu Tikal il centro di gran lunga più importante, dinamicamente proiettato verso un controllo totale degli altri centri di pianura. 
Successivamente, nel Tardo Periodo Classico (550-900 d.C.) altri centri si imposero, soprattutto Palenque nelle pianure del Chiapas e Copàn nella valle del Motagua (Honduras). 
Un vizio d’origine, ormai per fortuna lontano, aveva fornito fino a pochi decenni fa una mistificazione estemporanea e un’immaginosa visione della vita e della cultura maya. 
E, d’altra parte, nel secolo della conquista e della prima colonizzazione americana, ben pochi tra i conquistatori e i missionari seppero vedere al di là delle prime apparenze la sostanza e il senso delle culture precolombiane senza sovrapporvi, come pregiudiziale, schemi mentali angusti o il proprio stupore e turbamento di fronte a dimensioni del vivere così diverse. 
Ora la storia e l’archeologia hanno definitivamente fatto giustizia; i monumenti hanno perduto il fascino sinistro e tenebroso per acquisire quello più sereno di strutture vive; mentre la cultura maya, riportata nell’alveo di un’umanissima dimensione, sta svelando lentamente i suoi tanti gelosi misteri.

l’ambiente

Vista dall’alto, la penisola yucateca si presenta come un compatto quadrangolo di terra piatta, appena increspata a nord-ovest da poche e basse colline. 
Le scarse precipitazioni condizionano la vegetazione spontanea della foresta e rari sono gli alti ceiba, alberi maestosi sacri un tempo ai Maya. 
Per millenni i Maya continuarono a contendere all’insistente foresta gli spazi necessari alla milpa, appezzamento di terra disboscato col fuoco e con gli strumenti di selce, dove venivano seminati il mais, i fagioli, le cucurbitacee, (alla famiglia delle cucurbitacee appartengono il cocomero, il melone, la zucca e il cetriolo). 
Un lavoro, (totalmente manuale mancando animali in grado di aiutare l’uomo nella fatica), che garantiva il raccolto sufficiente per mantenere la famiglia e la classe elitaria che esercitava la sua egemonia sul territorio.

pratiche sciamaniche

Le arcaiche pratiche sciamaniche confluiscono in un più vasto sistema ideologico-religioso, la cui istituzionalizzazione si avvale di una classe sacerdotale e di un tempio compiutamente organizzato, in cui occupano un ruolo preminente divinità legate ai fenomeni naturali, al regno animale e alla vegetazione. 
Nel concetto del sacro che reclama dall’uomo il più completo annullamento e la più totale sottomissione, esigendone ogni forza vitale perché le divinità esistano e con esse anche l’umanità, hanno un ruolo determinante i sacrifici umani e l’autosacrificio.
Assiduamente praticati in vario modo, (offerte del cuore, scuoiamento, rogo, canniba-lismo rituale, decapitazione), i sacrifici umani permettono agli dei di vivere e continuare a superare l’angoscia esistenziale.
Con l’offerta del sangue si favorisce l’attività degli esseri sovrumani e si conquista il loro favore, con il pasto cannibale-sco si assorbe la potenza della divinità.
L’autosacrificio, (l’operazione di cavare sangue dal proprio corpo, solitamente dalla lingua, dalle orecchie e dal pene), è intimamente collegato col sacrificio umano poiché il sangue così versato serve a “comperare” cibo dagli dei in modo che il popolo non soffra.
Sacrifici e cerimonie in onore degli dei sono scanditi da una serie di calendari che eviden-ziano chiaramente il senso di un tempo percepito nella sua ciclicità, attraverso il perpetuo e immutabile riproporsi degli accadimenti.

il patrimonio culturale

Era credenza dei Maya che l’universo ciclicamente si rinnovasse, dopo il compimento di ogni epoca, che terminava regolarmente con una catastrofe universale. 
Essi fecero del tempo un vero e proprio culto e dell’astronomia una vocazione. E’ ormai accertato che molte delle strutture architettoniche monumentali servivano da punti di osservazione dei corpi celesti; la loro disposizione nell’ambito urbano non è mai casuale, così come non lo sono l’orientamento e le caratteristiche architettoniche. 
A Chichèn Itzà, ad esempio, la piramide denominata il Castello conta nelle quattro gradinate che danno accesso alla piattaforma superiore un totale di 365 gradini. Se si collega quest’evidenza con alcune conoscenze giunte per mano spagnola e con alcune scoperte fatte dagli studiosi, si comprende tutta l’importanza che veniva attribuita alla scansione del tempo. Accanto a un anno solare costituito da 18 mesi di 20 giorni più 5 infausti, esisteva un calendario sacro di 260 giorni, formato dalla combinazione di 13 numeri per 20 nomi di giorni. Il “secolo” maya è un periodo di tempo di 18.980 giorni, pari a 52 anni di 365 giorni, alla fine del quale il nome del giorno, il numero e la posizione del mese ritornano a essere quelli del punto di partenza. 
Evidentemente, per i Maya esistevano diversi piani di considerazione del tempo. 
La scansione temporale è inizialmente da porsi in relazione con la necessità di regolare e programmare i lavori agricoli. 

il periodo classico

Gli architetti maya elaborarono, partendo da poche ed emblematiche forme, tutta la vasta gamma delle creazioni urbano-architettoniche. 
Essi seppero plasmare l’ambiente con un sapiente gioco di terrazze, terrapieni a gradoni e con complessi monumentali variamente articolati. 
E’ indubbiamente la città templare il frutto più cospicuo e appariscente delle culture maya yucateche. 
Qui sorsero le prime piattaforme, sormontate da costruzioni di legno, cannicci e foglie, e le prime scalinate coperte di stucco. 
Le forme architettoniche elaborate dai Maya sono assai semplici, la sapienza compositiva ha suggerito, tuttavia, forme sempre nuove, grazie a un accorto uso delle pendenze, delle scale, e di un elemento tipico maya, la cresterìa, l’alta cresta posta in cima ai templi. 

il periodo postclassico

La sontuosa maestà dell’architettura classica è il segno tangibile di un equilibrio economico e di un certo benessere e, facilmente potremmo arguire, anche di una pace sociale non turbata né all’interno né all’esterno. 
Ma nel corso del IX secolo soprattutto, e agli inizi del X, le città maya classiche vivono il loro rapido e inarrestabile declino e anche se non vengono totalmente disertate cadono rapidamente in rovina i grandi monumenti. L’ipotesi più probabile a spiegare il fenomeno è che la cultura maya classica sia stata posta in crisi e abbattuta da ondate migratorie provenienti dall’attuale Messico, molte delle quali seminomadi o meno consuete con le forme associative urbane. 
La penisola yucateca ne fu interessata in quasi tutta la sua estensione e tra i più a insediarsi a Chichèn Itzà, intorno al 918 d.C. sarebbero stati gli Itzà, giunti per mare. Successivamente la città per un periodo di due secoli sarebbe stata sotto il dominio di altri invasori i Toltechi, provenienti da Tula, sugli altipiani centrali del Messico. I mutamenti sociali e del costume furono sicuramente molti e portano i segni di una militarizzazione prima sconosciuta ai Maya. 
Sorgono edifici come il Tempio dei guerrieri a Chichèn, contornato da miriadi di colonne che sostenevano le volte di lunghe sale di riunione; e non mancano le opere di difesa, quali grosse mura. 
Il culto di Quetzalcòatl-Kukulcàn, degenerato da eroe civilizzatore a divinità assetata di sangue, al pari di altri nuovamente introdotti, risponde all’esigenza di una cultura che vede nella guerra e nella lotta un motivo vitale. 
Così diventa familiare il sacrificio umano sopra altari simulanti giaguari o divinità, e un nuovo edificio, lo tzompantli, (rastrelliera dei crani), esibisce le teste scarnificate dei sacrificati.
Questo è un breve riassunto dal capitolo “Yucatàn, Civiltà Maya” di Mario Sartor inserito nel volume Splendori delle Civiltà Precolombiane Edito dalle Officine Grafiche De Agostini di Novara.

 

Maya: la mostra e il suo percorso
a cura di Graziella Mazzoni

Negli ultimi anni le 36 sale del settecentesco Palazzo Grassi, affacciato sul Canal Grande, hanno ospitato la realizzazione di una serie di mostre- evento: dai Fenici ai Celti ai Greci. Ora Venezia apre le porte alle grandi civiltà dei continenti extraeuropei. Il primo obiettivo di questa nuova fase mira a documentare i grandi progressi compiuti negli ultimi anni dagli studi su una importante cultura del mondo americano, quella delle popolazioni Maya, che tanto fascino ha da sempre esercitato. La comunità scientifica internazionale è riuscita a dissipare gradualmente i misteri che hanno avvolto a lungo questa straordinaria civiltà, indubbiamente una delle più grandi dell’antichità. Complessivamente la mostra documenta oltre 20 secoli della civiltà Maya dal 1000 a. C., con le maschere di giada e degli oggetti in pietra Olmechi, fino al 1400 d. C. e sono stati riuniti 600 oggetti di eccezionale valore che documentano i diversi periodi e provengono dalle diverse regioni del territorio occupato dai Maya. Il più grande di questi reperti è la Stele di Calakmul con tre metri di altezza e sette tonnellate di peso, il più piccolo è una mascherina in mosaico di giada che misura due centimetri e proviene da Chiapas. Aprono il percorso le sezioni dedicate all’ambiente naturale e al rapporto dei Maya con la natura, dove sono esposti vasi raffiguranti uccelli, pesci e animali considerati divinità come il giaguaro.
L’architettura e l’assetto urbanistico delle città riflettevano la struttura politica e sociale, le dinastie reali dominavano le città-stato che comprendevano migliaia di edifici e templi dove risiedevano i nobili, i sacerdoti, gli artisti e i cortigiani. Tra le splendide decorazioni dei tempil, che testimoniano raffinati stili architettonici, si può ammirare il fregio d’angolo (tenone antropomorfo) di un edificio, noto come “Regina di Uxmal”, in pietra calcarea scolpita, del periodo Classico Finale (Yucatan, Messico) dove una testa di donna emerge dalle fauci di un serpente.
Un momento suggestivo dell’esposizione di Palazzo Grassi è costituito dalla ricostruzione di una delle tre stanze affrescate di Bonampak, il sito archeologico al confine tra il Messico e Guatemala, scoperto nel 1946 che conserva in tre stanze situate sulla prima terrazza dell’acropoli, spettacolari affreschi raffiguranti le diverse fasi di una battaglia. Nella stanza, ricostruita a grandezza naturale, si può ammirare uno dei pochi esempi di divisione prospettica della pittura maya: sulle pareti è descritta una cruenta battaglia con l’esecuzione dei nemici sconfitti davanti al sovrano Chaan Muan e alla sua corte, la volta è dipinta con la rappresentazione del cosmo e delle costellazioni ed è databile intorno all’VIII secolo d. C. Tra i corredi funerari spicca la splendida maschera funeraria in giada, pirite e conchiglia databile al 300-600 d.C., rinvenuta a Tikal in Guatemala. Ai margini delle città monumentali vivevano i contadini e gli artigiani, e gli oggetti esposti offrono moltissime testimonianze delle attività legate all’agricoltura, la pesca, la caccia e l’artigianato: statuette, piatti, attrezzi per la coltivazione del mais, vasi di diverse forme e materiali, iscrizioni e un tessuto del periodo Postclassico proveniente dal Chiapas che costituisce uno dei pochi esempi di arte tessile conservati. Il tema della religione assume un’importanza centrale nella cultura maya e occupa uno spazio rilevante dell’esposizione che pone in apertura un altare proveniente da Copàn e la statua “Chac Mool” del periodo Postclassico Antico, proveniente da Chichèn Itzà nello Yucatan, raffigurante un personaggio che sorregge un vassoio su cui venivano offerti sacrifici agli Dei. In sette sale sono esposti oggetti di grande valore artistico e storico; alcuni architravi provenienti dalla città di Yaxchilàn nel Chiapas, che raffigurano scene di vita dei sovrani con offerte e sacrifici in onore dei governanti; il “Disco di Chinkultic” del periodo Tardo Classico, proveniente dal Chiapas, era utilizzato nel gioco della palla che serviva a propiziare il moto del sole, le statuette rituali dei giocatori di pallone, un supporto per incensiere in argilla modellata e dipinta proveniente dalla città di Palenque, uno dei siti archeologici più interessanti per la bellezza dei templi e delle sculture, e ancora una serie di coltelli di forme diverse, maschere, figure antropomorfe, vasi e statuette. Affascinante la sezione dedicata alla scrittura che presenta nelle iscrizioni su sculture e vasi i caratteri denominati “glifi” che costituiscono l’elaborato sistema di scrittura maya; grande spazio è dedicato al sistema di misurazione del tempo e al complesso calendario; al sistema numerico con l’uso dello zero, e allo studio degli astri, ambiti nei quali i Maya raggiunsero un alto grado di conoscenza.
Tra le opere che testimoniano l’alto valore artistico di questa grandiosa civiltà troviamo la “Testa di Pacal”, che raffigura Pacal II re di Palenque e l’effige di un personaggio femminile, provenienti dal Tempio delle Iscrizioni di Palenque e appartenenti al periodo classico.
A Venezia è possibile rimirare e quasi toccare con mano, perfettamente conservata e ricostruita, l’anima di questo grande popolo.

per approfondire: I Maya  lavoro realizzato dai ragazzi della classe 2A della Scuola Media "S.Ambrogio" Milano