Chiunque si interessi della cultura del mondo occidentale non può non conoscere la storia del popolo ebraico, della sua cultura, della sua religione ed il rapporto della Serenissima (Repubblica di Venezia) con i suoi abitanti di religione ebraica è parte importante di questa storia. E' in questa prospettiva che si è deciso di andare a Venezia, a visitare il Ghetto.
"Ebrei, nostri fratelli maggiori" Giovanni Paolo II
La visita al Ghetto
Il Ghetto è
il quartiere ove, fin dal 1516, per disposizione della Signoria(1), gli
ebrei (in precedenza insediati in zone presso il Mercato di Rialto(2))
avranno le loro case che, per l'angustia dello spazio, costruirono altissime
(alcune raggiungono ancor oggi gli otto piani) ed i loro luoghi di studio
e di culto:
le Sinagoghe (dal greco sunaghè=riunione), dal Medio Evo dette anche
Scholae e, più recentemente, templi.
Il nome "Ghetto" deriva dall'esservi state precedentemente
in questa parte della città fonderie destinate a "gettare"
(fondere) metalli (su un documento del XIV secolo si legge: "Geto
de rame del nostro Comun") ed a fabbricare cannoni. I primi ebrei,
di origine tedesca, che vi si insediarono pronunciavano l'iniziale "g"
della parola "Geto" come "gh" e così pare essere
nata la parola Ghetto che definì a Venezia e poi in tutto il resto
del mondo il luogo dove gli ebrei erano confinati. Solo con Napoleone il
motto della Rivoluzione Francese "libertà, eguaglianza e fraternità"
fra tutti gli uomini al di là della loro cultura e religione fu
esteso anche agli ebrei e le porte dei ghetti (anche quelle di Venezia)
furono divelte.
Il nostro itinerario inizia con una breve visita al Museo della cultura
ebraica che si trova nel campo del Ghetto Novo(3). Vi si conservano, fra
l'altro, arazzi, paramenti sacri, oggetti di culto fra cui il caratteristico
Sefer-tic per contenere il rotolo della legge, cioè il testo
della Torah(4) scritto su pergamena; lo Shofer, strumento a fiato fatto
con il corno di un montone; i Teffilin, piccoli astucci di pelle che vengono
legati per la preghiera del mattino i giorni feriali; le Menorah, candelabri
a sette bracci.
Il percorso continua con la visita a tre delle otto sinagoghe presenti
a Venezia e precisamente: la Scuola Grande Tedesca, la Scuola Canton, la
Scuola Grande Spagnola o Ponentina (le altre sono: la Scuola Levantina,
la Scuola Italiana, la Scuola Luzzatto, le Scuole Coanim e Meshul-lamin).
Prima di descrivere gli edifici visitati, bisogna però fare alcuni
cenni alla storia del popolo ebraico ed alle comunità (o nazioni)
che lo compongono la cui autonomia è testimoniata dal fatto che
ognuna di esse si è costruita un luogo di ritrovo, una sinagoga
propria.
Un po' di storia
Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Romani nel
70 d.C., la diaspora (emigrazione, dispersione) degli ebrei, che erano
presenti a Roma e in altre città del Mediterraneo fin dai tempi
antichi, si intensificò. A partire dal X secolo, Ebrei cominciarono
ad emigrare in Germania dove svolgevano attività mercantile e finanziaria
(da lì, nei secoli XVI e XVII, parte di loro si trasferì
in Polonia dove, dopo le persecuzioni della metà del secolo XVII,
dalle città dove avevano svolto attività lucrose, si trasferirono
in villaggi dove facevano i contadini)(5). Questi ebrei si dicono ashkenaziti
dalla parola Ashkenazi che nella letteratura rabbinica medioevale indicava
l'Europa centrale ed in particolare la Germania. Essi parlavano l'jiddisch,
una lingua con elementi di ebraico mescolati a tedesco. Verso la metà
del XIV secolo, molti ebrei ashkenaziti si diressero verso sud spinti dalla
peste del 1348 della quale venivano spesso indicati come responsabili ed
allora vi furono molti loro insediamenti nel Veneto. Ad essi venne dato
il permesso di svolgere, oltre all'attività di "strazzaroli",
l'attività di prestito di denaro, occupazione proibita dalla
Chiesa cristiana ai suoi fedeli.
Altri Ebrei che, sin dall'inizio della diaspora e poi seguendo la grande
espansione degli Arabi, si erano stabiliti in Spagna hanno dato origine
all'altra grande comunità i cui membri, arrivati più di un
secolo dopo degli Ebrei tedeschi, abitavano nel Ghetto: la comunità
sefardita (da Sefari che in ebraico vuol dire Spagna). La storia di questa
comunità è la storia di tanti ebrei spagnoli e portoghesi
che dopo il 1492 (anno della "Reconquista" cioè della
definitiva cacciata dei musulmani dal territorio spagnolo) furono cacciati
dalla penisola iberica e si dispersero in tutta l'Europa. Accolti in un
primo momento con diffidenza dalla Repubblica, vennero poi accettati in
città grazie alla loro notevole abilità commerciale, finanziaria
e diplomatica. La comunità sefardita divenne ben presto la più
ricca fra tutte le nazioni(6) ebraiche e ne è testimonianza la ricchezza
della Scuola Grande Spagnola.
Se la chiusura degli Ebrei nel Ghetto inizia con il secondo decennio del
secolo XVI, le Sinagoghe (che, lo ripetiamo, oltre che luogo di culto,
sono anche luogo di raduno e di studio) vennero erette più tardi,
verso la metà del secolo e la quasi totalità degli arredi
pervenutaci è databile dal secolo XVII (il periodo dell'età
barocca) al secolo XIX.
Le Sinagoghe
L'aspetto esterno delle Sinagoghe, soprattutto delle
più vecchie, quelle del Ghetto Nuovo, è semplice e questo
non tanto per prescrizioni religiose, ma piuttosto per motivi pratici e
legali: le vie del Ghetto non si adattavano all'opulenza barocca e le leggi
statali imponevano che i luoghi di culto non cristiani non dovevano farsi
notare dal di fuori, che dovevano essere mimetizzati con l'ambiente circostante
(si noti che nel 1512 fu impedita la costruzione di una chiesa cristiana,
ma di rito greco-bizantino, "ortodosso" richiesta dalla comunità
greca presente a Venezia).
L'interno delle sinagoghe veneziane è caratterizzato da una pianta
bifocale: presenta infatti due fulcri di interesse: la Bimah e l'Aron-ha-Kodesh,
mentre il pubblico sta ai due lati di quest'asse.
La parte più importante è l'Aron-ha-Kodesh (l'Arca Santa);
praticamente un armadio che contiene i rotoli della legge (Torah) e che
è posto in direzione di Gerusalemme. L'altro elemento è la
Bimah (chiamata Tevah dai sefarditi) che è il pulpito da cui viene
letta la Torah.
Per quanto riguarda i sedili, la panca della sinagoga è costituita
da un seggio per ciascun membro della comunità ed ogni sedile ha
davanti a se una cassetta che contiene il Chummash (Sacre Scritture) ed
i Siddurim (libri di preghiere) appartenenti al singolo. Nella sinagoga,
i sedili occupano gran parte della superficie a dimostrazione che il pubblico
prende parte attiva alla funzione.
Un'altra, ma non meno importante traccia di elementi comuni a tutte le
sinagoghe, è il Matroneo, solitamente situato al secondo piano,
nel retro ed ai due lati dell'ambiente (in alcuni casi, come a Venezia,
circonda tutto il tempio). In esso, spesso nascoste dietro una fitta grata,
stanno le donne che non devono essere viste per non turbare gli uomini
che nella sala sottostante pregano, discutono e si avvicendano nella lettura
dei Testi sacri. (Anche nella chiesa della Pietà, a Venezia una
fitta grata nasconde il volto delle donne, ma esse, come vocaliste e musiciste,
svolgono una parte attiva e non sono, come le donne ebree, solo spettatrici).
Rispetto alle coeve chiese cristiane barocche, ricche di quadri e statue,
l'interno delle sinagoghe è povero di elementi decorativi. La cultura
ebraica non si è mai legata ad una vera e propria concezione di
arte figurativa poiché questa non rientra nella tradizione di quel
popolo che tende in ogni modo a staccare la divinità da ogni tipo
di rappresentazione; si considera l'idolatria uno dei peccati più
gravi dell'umanità e per questo ci si astiene dal riprodurre D-o(7)
e le sue creature. (Fa eccezione la Scuola Canton che presenta, nella fascia
sopra le finestre, otto medaglioni a rilievo, dipinti a tempera, raffiguranti
episodi biblici tra cui quello del popolo d'Israele che riceve la Torah).
1) Si accentua nel corso del Cinquecento l'intenzione delle magistrature veneziane di controllare, anche attraverso l'edilizia, ogni forma associativa dei forestieri. E' in questo senso che va intesa l'istituzione dei "fondaci" destinati alle nazioni straniere. Tedeschi, turchi, persiani, greci, armeni, fiorentini, lucchesi, avevano così potuto furire per gli scambi di una casa a loro destinata. Non bisogna dimenticare che veneziani e genovesi avevano in oriente, a Costantinopoli e nei paesi islamici, i loro quartieri di residenza.
2) "Bisognerà mandarli tutti a stare in Geto Novo, ch'è come un castello; e far ponti levadori et serar di muro; avino solo una porta la qual etiam la serano e stagino lì" (da i Diari di M. Sanudo)
3) La cui istituzione è, come già detto del 1516 mentre quella del Gheto Vecchio è del 1541 e quella del Gheto Nuovissimo del 1633.
4) Torah; il termine significa nella sua accezione fondamentale "dottrina", in senso particolare il termine designa il Pentateuco (cioè i 5 libri Mosaici): Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio che costituiscono la parte fondamentale ed immutabile della Bibbia.
5) E' da questi villaggi polacchi che furono deportati in campo di sterminio il maggior numero di ebrei morti durante la seconda guerra mondiale.
6) Era presente in Ghetto, oltre alla comunità ashkenazita e sefardita una comunità italiana proveniente dall'Italia meridionale e soprattutto da Roma (dove vi era la comunità italiana più antica) che cominciò la sua salita verso il Nord sul finire del Tredicesimo secolo in seguito a persecuzioni. Dedicandosi i suoi membri in gran parte al prestito di denaro essi finirono per mescolarsi ai nuclei ebraici ashkenaziti e quindi agli ebrei italiani toccò la sorte di essere inglobati nella nazione tedesca. Una quarta nazione che mantenne invece la sua identità e quella levantina (ebrei orientali) composta di levantini abitanti a Venezia e levantini "viandanti", ebrei, cioè che ogni qualtanto ritornavano a Venezia per i loro affari.
7) Gli ebrei secondo il precetto che impone di non nominare il nome di Dio invano, non scrivono mai Dio, ma bensì D-o.