di Francesca Angelico
Imparare insegnare fare
un’esperienza di artigianato
Dieci anni fa ho deciso di “uscire” dal mio laboratorio artigiano, dove produco abbigliamento su misura e pelletteria, per iniziare una diversa esperienza: quella di insegnare ad altre persone il mestiere (straordinariamente creativo!) al quale mi dedico da anni.
Molte persone mi hanno chiesto come e perché sia maturata in me questa esigenza. La risposta è semplice. Chi conosce anche dall’esterno il mondo artigiano, e ancor più chi lo frequenta da vicino, può pensare che si tratti di un mondo “chiuso”, ricco sì di figure piene di professionalità, ma tradizionalmente portato a proteggersi, se non a “difendersi”.
Il patrimonio di conoscenze e di esperienze, maturato spesso nel corso di lunghi anni viene per lo più custodito gelosamente: del resto, proprio in riferimento ai maestri artigiani, si diceva una volta che “il mestiere si ruba con gli occhi”.
E tuttavia, da sempre, il mondo artigiano è anche un luogo nel quale è centrale la trasmissione del sapere, forse una trasmissione selettiva, a un solo “allievo” per volta, ma molto importante per mantener vive tradizioni e pratiche talora uniche.
È un mondo dunque nel quale conta moltissimo la figura del “maestro”, di un esperto in grado di trasmettere tutto quello che sa, e desideroso di farlo, perché forse domani il suo allievo superi il maestro, con nuove creatività e nuove idee, ma nel solco di una ideale continuità.
Sappiamo tutti, però, che oggi questo modello è in crisi, e che per molte attività vi è un rischio concreto che la catena finisca spezzata.
Questo per effetto dei molti cambiamenti che il mondo del lavoro ha incontrato e incontra quotidianamente, ma anche per il venir meno dell’occasione di incontro tra generazioni.
E così si arriva al lamento, buono per lacrimosi articoli di giornale, sulle “botteghe che chiudono”, sull’ultimo “maestro” capace di fare questo, sul laboratorio artigiano che chiude, perché “non si è trovato nessuno a cui passare la mano”, e così via.
Io posso dire di aver avuto, anni fa, uno straordinario maestro, un maestro che però ho perso presto.
Dopo, ho incontrato molte difficoltà nell’individuare e incontrare altre persone disponibili a saziare le mie curiosità e domande sulla lavorazione della pelle. Per tutti questi motivi, credo che si debbano e che si possano creare occasioni e luoghi per far incontrare la “domanda” di chi cerca di imparare, e la “offerta” di chi ha un mestiere da trasmettere.
E in anni nei quali la già irresistibile marcia della industrializzazione e della produzione in serie mostra i propri limiti, si è visto che alcuni mestieri cosiddetti “scomparsi”, quelli che “nessuno vuole più fare” costituiscono invece un’opportunità concreta e seria di lavoro e di sviluppo della creatività.
L’artigianato, capace di fornire prodotti personalizzati e sapienti, ha dunque molto da dire.
Sentendo in me la voglia di coinvolgere altre persone nella creazione di prodotti artigianali, ho cercato a lungo il modo per attivare un canale di incontro con potenziali “allievi”: e l’occasione me l’ha data nel 2011/12 l’Associazione “Nicola Saba”, con la quale ho iniziato a collaborare, proponendo l’anno passato un corso di sartoria, rivolto alle persone interessate ad acquisire gli elementi primi.
Lavorare con adulti (adulte!) è stato interessante, soprattutto perché si è visto come, in un tempo frenetico, tecnologico, consumistico, le corsiste hanno trovato la motivazione, la voglia e il tempo di usare le mani, con la “lentezza” che il lavoro artigianale impone.
L’interesse suscitato dal corso è provato dal fatto che con il 2012/13 i corsi sono diventati due. E si è poi aperta una nuova prospettiva quando, su proposta della Dirigente della Scuola Media “Giulio Cesare” prof. Gabriella Mazzone, mi è stato affidato un corso di sartoria, rivolto però a degli “apprendisti” davvero giovani, cioè studenti e studentesse della scuola media.
Il corso si è chiamato “sarti in erba”, proprio per mettere in evidenza che esso è stato pensato e organizzato su misura(!) per i suoi destinatari.
Da tempo cercavo l’incontro con giovani e giovanissimi: ma avevo incontrato altre difficoltà, e resistenze.
Ora invece ho trovato il luogo per incrociare la mia voglia di trasmettere un “know how” e la naturale propensione di ragazzi e ragazze per il “fare”.
Alle prese con gli strumenti del mestiere (forbici, aghi, filo, stoffe), i giovani hanno sperimentato come è difficile tenere insieme la creatività e la precisione; per parte mia ho compreso che lo sguardo e la motivazione dei più giovani, così attirati dal risultato immediato, sono differenti da quelli di corsisti più grandi, e richiedono un approccio differente.
C’è di mezzo, certo, anche un “gap” generazionale. Non ha senso lamentarsene: esso invece deve essere tenuto nel massimo conto, proprio per consentire, in questi corsi e altrove, quel “passaggio di consegne” che mi appare (e non solo a me, credo) così importante.